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Ad Arturi (Gazzetta) su Di Canio
di Franco Damiani

Grassetti, colori, parentesi quadre, sottolineature, corsivi
e quanto scritto nello spazio giallo sono generalmente della Redazione

       Caro Arturi,
       conosciamo tutti Paolo Di Canio, e sappiamo che è essenzialmente un generoso, un cavaliere all'antica. Non è ammissibile pensare che il suo "fascismo", come per molti (penso ai cosiddetti "ragazzi di Salò", persone ben in là con gli anni e che mai hanno rinnegato i loro ideali) non sia bieco razzismo genocida ma amore di una certa visisione romantica, cavalleresca e anticonformista dell'esistenza, basata sul senso dell'onore, del coraggio e della lealtà?
       E perché dunque strepitare e stracciarsi le vesti ogni volta che fa il saluto romano?
       Lei scrive che non riesce a capire come alcuni possano sentirsi fascisti e simpatizzare per quel regime, peraltro morto e sepolto da sessant'anni (mentre il comunismo è ancora vivo e vegeto e in Cina miete ancora le sue vittime).
       Andiamo, caro Arturi, non faccia torto alla Sua intelligenza: si legga almeno uno dei libri di Carlo Mazzantini o di Giano Accame o di Filippo Giannini o di Enzo Erra (per esempio il magnifico "Le radici del fascismo"), una delle tante riviste dei reduci della RSI, uno qualsiasi dei libri delle  edizioni Settimo Sigillo, o magari il bellissimo "Quando l'Italia era Italia - Conoscerla per rifarla" di Franco Monaco, che le stesse cose le vien scrivendo settimanalmente su "Linea", che ospita pure i pezzi ardenti di spirito giovanile dell'ottantaquattrenne Rutilio Sermonti : tutti libri e riviste che a rigor di logica dovrebbero essere etichettati da Lei come altrettante "apologie di fascismo".
       Lei parla di "leggi razziali" e di "alleanza coi nazisti sterminatori", dimenticando che le prime leggi razziali (divieto di matrimoni misti) le fecero i "democraticissimi" Stati Uniti, nostri padroni da sessant'anni e responsabili, oltre che del genocidio dei pellerossa, di stragi ignorate, con buona pace del signor Cartabbia che Le scrive, da tutti i libri di scuola, come quella dei bambini di Gorla o quella del milione di civili tedeschi lasciati morire, secondo lo storico James Bacque, di stenti a guerra finita nei campi  (vogliamo chiamarli di sterminio?) in Germania.
       E che dire dei dieci milioni di morti fatto dal comunismo sovietico, senza contare l'altro centinaio provocato dal comunismo in tutto il mondo? Ma naturalmente  il pugno chiuso non evoca quei morti, bensì "le lotte operaie d'inizio Novecento". E perchè allora, scusi, il saluto romano dovrebbe evocare solo stragi e non anche, poniamo, l'Accademia d'Italia, le bonifiche, l'Opera Maternità e Infanzia, l'IRI, le imprese sportive, le opere di civiltà in Africa, il prestigio internazionale dell'Italia negli anni Trenta?
       Infine mi lasci aggiungere ancora qualcosa su quegli "stermini": noi, con le nostre leggi democratiche, ci siamo macchiati e continuiamo a macchiarci ogni giorno, impenitenti, di un miliardo, sì, un miliardo di morti innocenti con il crimine dell'aborto. Nell'Italia fascista non c'era aborto, non c'era divorzio, c'era austerità di costumi, la famiglia unita, e nessuno rubava.   
       Sono io a domandarLe. com'è possibile che dopo sessant'anni di ruberie, scandali, immoralità, permissivismo (abbiamo già discusso della liceità della bestemmia), degrado morale e mediocrità ci sia ancora qualcuno che si scandalizza per un saluto romano?

Franco Damiani
Villafranca Padovana (PD)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Vedasi anche l'altro arcicolo "Caso Paolo di Canio"

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