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Il Buon Pastore sarÀ
uno dei tanti Istituti Ecclesia Dei?

di Don Gregorio Celier
Comunicato della Fraternità Sacerdota
le San Pio X, distretto di Francia

Fonte: http://www.laportelatine.org/accueil/communic/2006/IBP/IBP.ph


Un nuovo istituto Ecclesia Dei?

Molto di recente, è stata pubblicata una sbalorditiva notizia: sotto la direzione di don Filippo Laguérie, un nuovo Istituto, che si chiama del Buon Pastore, è stato appena fondato dalla Commissione Ecclesia Dei. Come intendere, come interpretare un tale avvenimento, di cui parlano tutti i media?



  

       Ammiriamo la pacatezza della Fraternità San Pio X nel trattare con ex suoi confratelli, contrariamente al fastidioso astio che altri "ex" mostrano abitualmente nei suoi confronti, arrivando financo a gioire per questa ulteriore defezione di alcuni membri della Fraternità: gioire delle sventure altrui, di certo non è il massimo della carità cristiana. A che vale dirsi "tradizionalisti", se poi si ha sì poca carità?

La Redazione

Grassetti, colori, parentesi quadre, sottolineature, corsivi
e quanto scritto nello spazio giallo sono generalmente della Redazione

       L’8 settembre 2006, la Commissione Ecclesia Dei ha eretto, con un decreto firmato dal cardinale Castrillon Hoyos e da Mons. Perl, un nuovo Istituto di diritto pontificio, posto sotto il patrocinio del Buon Pastore.
       I primi membri di questo Istituto sono dei preti che hanno lasciato la Fraternità San Pio X negli anni scorsi, cioè don Paolo Aulagnier, don Enrico Forestier, don Cristoforo Héry, don Filippo Laguérie e don Guglielmo di Tanoüarn.
       La Commissione Ecclesia Dei ha nominato don Filippo Laguérie Superiore generale e posto la sede nella chiesa Sant’Eligio di Bordò.
Essendo stati dolorosi per molti gli avvenimenti umani degli ultimi anni che costituiscono l'occasione di questa fondazione, non abbiamo intenzione di emettere giudizi sulle persone e sulle loro intime evoluzioni. Su questo punto ci atterremo al comunicato pubblicato lo stesso 8 Settembre dalla Fraternità San PioX, che sobriamente afferma: "la Fraternità San Pio X ha preso atto (…) del decreto di erezione dell'istituto del Buon Pastore".
       Più interessante e più utile sarà l’esaminare ciò che questa erezione può insegnarci sull’attuale stato di cose a Roma.

 

   

Intermezzo comico

       Ci sarà tuttavia permesso, prima di iniziare quest’analisi e per allentare l'atmosfera, evidenziare un elemento veramente comico?
       Nel decreto della Commissione Ecclesia Dei, la storia di questa fondazione è infatti riassunta così:
      "Recentemente, nell'arcidiocesi di Bordò, è apparso un gruppo di alcuni preti sotto il patrocinio del Buon Pastore. I membri di questo gruppo si sforzano di aiutare Sua Eminenza il cardinale Ricard nel lavoro parrocchiale, innanzitutto per i fedeli risoluti a celebrare l'antica liturgia romana (1) . L'arcivescovo stesso, convinto della grande utilità di tali cooperatori, riceve nella sua diocesi questa comunità, affidandole la chiesa Sant’Eligio situata nella sua città episcopale, unitamente alla cura pastorale dei suoi fedeli".
      Diciamo col sorriso che i copisti romani sono dotati di una ricca immaginazione e anche di una capacità eccezionale nell’inventare fiabe per adulti. Il giorno in cui bisognerà riscrivere la storia della Fraternità San Pio X, potremo contare sulla loro notevole destrezza.
      Quanto al cardinale Ricard, la pillola per lui deve essere stata dura da inghiottirei: dovere accettare l'erezione di un Istituto sacerdotale in una chiesa che gli è stata ingegnosamente sottratta, e con un Superiore generale che è precisamente il prete che si è preso gioco di lui…

 

 
(1) Si noti l'espressione tipicamente conciliare: i fedeli che "vogliono celebrare"... con un prete "presidente"!

I problemi da esaminare

       Per cogliere l’importanza di questa erezione, conviene esaminare successivamente quattro punti:
                    lo statuto canonico della nuova fondazione;
                    il problema del vescovo;
                    il problema liturgico;
                    il problema del Concilio.
       Il primo punto è quello dello statuto canonico dell'Istituto del Buon Pastore. Fino ad ora, la Commissione Ecclesia Dei ha eretto, per quanto riguarda le fondazioni maschili, almeno una decina di istituti, se non di più.
       È consentito stupirsi di tale proliferazione: l'Istituto San Filippo Neri, di diritto pontificio, conta solamente due membri, mentre questo nuovo Istituto del Buon Pastore ne ha meno di dieci.
       Si possono raggruppare in tre generi gli Istituti eretti dalla Commissione Ecclesia Dei:
                    le società di vita apostolica (Fraternità San Pietro, Istituto                                    di Cristo Re);
                    i monasteri (Il Barroux, Chéméré);
                    le amministrazioni apostoliche (Campos).
      Per il momento gli altri strumenti giuridici (prelatura personale ecc.) non sono stati utilizzati.
       La struttura della società di vita apostolica è quella stessa che aveva scelto Mons. Lefebvre per la Fraternità San Pio X, ed essa è stata adottata per l'istituto del Buon Pastore. Quest’ultima società è dunque da mettere, giuridicamente, sullo stesso piano della Fraternità San Pietro, per esempio.
       È così, come ricorda il cardinale Ricard in La Croix dell’11 settembre, "che per quanto riguarda l'apostolato dipendono dal vescovo diocesano e sono obbligati ad avere l'accordo del vescovo diocesano per ogni insediamento in una diocesi". Triste prospettiva!

 

   

Il vescovo proprio

       Si ricorda che il problema del vescovo proprio fu al centro della rottura del 6 maggio 1988, quando Mons. Lefebvre riprese la sua firma apposta al Protocollo d’accordo.
       Il Motu proprio Ecclesia Dei afferma che la Commissione avrà per scopo di "facilitare la piena comunione ecclesiale (…) delle comunità religiose (…) alla luce del Protocollo."
       Tuttavia, nei fatti, il vescovo proprio non è stato accordato che una sola volta, nell'amministrazione apostolica di Campos, in considerazione della sua storia (aveva già un vescovo) e della sua struttura giuridica. Gli altri Istituti eretti dal Commissione Ecclesia Dei devono ricorrere ai vescovi "conciliari" (questa parola è usata qui a titolo puramente descrittivo).
      Questo è anche il caso dell'istituto del Buon Pastore che non beneficia di un vescovo proprio.

 

   

La questione liturgica

       Sulla questione liturgica, in compenso, sembra che possa esserci, con l'erezione dell'istituto del Buon Pastore, una piccola avanzata verso la liberalizzazione della liturgia tradizionale.
       Proviamo a spiegare in modo.
      Nell'atto di erezione della Fraternità San Pietro, in data 10 Settembre 1988, la Commissione Ecclesia Dei concedeva "la facoltà" di celebrare secondo le rubriche del 1962, "nelle loro chiese ed oratori propri" e, fuori, "solamente col consenso dell'ordinario del luogo, salvo per la celebrazione della messa privata".
       Nel caso dell'istituto del Buon Pastore, la Commissione "conferisce il diritto" di celebrare secondo le rubriche del 1962, e in più queste rubriche sono affermate essere "il rito proprio" dell'istituto.
       Secondo il comunicato dell'istituto del Buon Pastore in data 8 settembre, gli Statuti approvati precisano che l'Istituto è destinato "all'uso esclusivo della liturgia gregoriana", che è "il rito proprio dell'istituto in tutti i suoi atti liturgici".
       La nozione di "rito proprio" è una vecchia rivendicazione di parecchi Istituti Ecclesia Dei, che è stata appena ricordata da un testo del padre di Blignières e di don del Faÿ (Sedes Sapientiae di Giugno 2006).
       Fin qui, era stato risposto che una tale rivendicazione non poteva essere soddisfatta rigrardo al diritto liturgico, che considera la liturgia romana (nuova) come diritto comune, non essendo la concessione della liturgia tradizionale altro che un privilegio. Ora, nessuno è mai obbligato ad utilizzare un privilegio: dunque, ogni prete Ecclesia Dei avrebbe il diritto, anche contro il parere dei suoi superiori, di celebrare la liturgia nuova.
       In compenso, se la nozione di "rito proprio" fosse compresa in un senso realmente esclusivo, ciò significherebbe che i preti del Buon Pastore sarebbero destinati al rito tradizionale, che avrebbero l'obbligo di celebrarlo dovunque e sempre. Sarebbe una rottura nell'attuale concezione romana.
       Tale è l'interpretazione che ne dà il cardinale Ricard in La Croix dell’11 settembre: "Questi preti possono rifiutarsi di celebrare secondo il rito di Paolo VI, poiché l'uso del loro rito è esclusivo". Tuttavia, il cardinale sembra addurre qui una spiegazione personale, senza essersi accordato su questo punto con la Commissione Ecclesia Dei. Il futuro ci dirà dunque se, in realtà, Roma accetta di intendere in tal senso innovatore questa formula.

 

   

La critica del Concilio

       Secondo il comunicato dell'Istituto, gli Statuti affermano che l’Istituto "rispetta il Magistero autentico della Sede romana", nell'ambito di "una fedeltà intera al Magistero infallibile della Chiesa". La formula è piuttosto classica, abbastanza vicina all'articolo 2 del Protocollo del 5 maggio 1988.
       In ciò che riguarda precisamente il Concilio, l’Istituto si sarebbe impegnato ad una "critica seria e costruttiva". La formula, se è un po’ più vigorosa di quella dell'articolo 3 del Protocollo ("atteggiamento positivo di studio e di comunicazione con la Sede apostolica, evitando ogni polemica"), non è tuttavia sostanzialmente differente.

 

   

I nostri dubbi

       "Un passo importante è stato appena fatto", proclama il comunicato dell’Istituto. Molto francamente, all'esame degli elementi obiettivi di questa nuova fondazione, non vediamo una differenza essenziale con la fondazione della Fraternità San Pietro, per esempio, anche se c'è un leggero progresso sulle parole in ciò che riguarda la liturgia e la critica del Concilio.
       Tutta la differenza verrebbe dunque dalle persone, da questi preti che finora non hanno masticato le loro parole in ciò che riguarda il concilio Vaticano II, questi "tontons fligueurs della Tradizione", come li ha soprannominati ironicamente Sofia de Ravinel in Le Figaro del 9 settembre? Ma un’opera, soprattutto nel contesto della crisi, può basarsi unicamente su delle qualità personali e dei combattimenti passati?
       Intervenendo su una radio, il cardinale Ricard si è stupito di ciò che chiama la "freddezza" del comunicato della Fraternità San Pio X. «Pertanto, ha aggiunto, abbiamo applicato a questo nuovo Istituto lo schema preparato per l'accordo con la Fraternità San Pio X." Proviamo a spiegare a Sua Eminenza perché un tale accordo non ci trova d’accordo in nessun modo.

 

   

Trattare con Ecclesia Dei?

       Innanzitutto, questo accordo è passato con la Commissione Ecclesia Dei. Ora, questa Commissione ha origine, storia, metodi e risultati che possiamo soltanto ricusare.
       L'origine della Commissione, è il Motu proprio Ecclesia Dei che condannò Mons. Lefebvre, accusandolo di avere una nozione incompleta e contraddittoria della Tradizione. Fare un accordo con Ecclesia Dei, significa porsi, volente o nolente, nell'ottica falsa ed ingiuriosa del Motu proprio.
       La storia del Commissione Ecclesia Dei, non è quella di manovre costanti per strappare le opere e gli uomini al buon combattimento della Tradizione?
       I metodi della Commissione non sono quelli di consentire le belle promesse che si vorranno fare, formule tanto ambigue quanto falsamente rassicuranti, purché si accetti di "rientrare nella piena comunione", sapendo che presto i più agguerriti finiranno per lasciarsi sfuggire l'essenziale?
       I risultati della Commissione Ecclesia Dei, non li conosciamo? Quante comunità è riuscita a strappare al combattimento della Tradizione? Che ne è del Barroux? Che ne è di Campos?
       È per queste ragioni che le autorità della Fraternità San Pio X non hanno voluto trattare mai con questa Commissione. Hanno incontrato il rappresentante del papa finché si vorrà, ma di questa struttura nemica della Tradizione, non hanno mai voluto tenere alcun conto.

 

   

La messa per tutti o per alcuni?

       L’Istituto del Buon Pastore ha ottenuto la libertà della liturgia gregoriana. Ma per chi l’ha ottenuto? Per i preti dell’Istituto. Per i fedeli che, puntualmente, assisterebbero alle loro messe. In breve, esclusivamente per il proprio lavoro, e nei limiti di questo lavoro proprio.
       Ora, questo ottenimento limitato ci sembra nettissimamente insufficiente. Non ci battiamo per noi stessi: ci battiamo per la Chiesa intera, affinché tutti i preti possano celebrare la liturgia gregoriana, affinché tutti i fedeli ne possano vivere.
       Probabilmente, in teoria, è un bene che sempre più opere siano consacrate alla liturgia gregoriana: ciò rappresenta un modo di reintrodurre questa liturgia nel cuore della Chiesa.
       Ma nella pratica, nel momento in cui la Fraternità San Pio X e le opere amiche hanno impegnato tutte le loro forze nel combattimento per la liberalizzazione totale della liturgia tradizionale, questo non è rompere l'unità del fronte a vantaggio degli avversari di questa liturgia?
       Non c'è in questo accordo che riserva questa liturgia gregoriana ai soli fedeli dell’Istituto del Buon Pastore un piccolo sentore "comunitarista", come ha fatto notare con precisione il comunicato della Fraternità San Pio X? Questo non è relegare la liturgia tradizionale in un "ghetto", in una "riserva indiana", contro cui i fondatori dell’Istituto del Buon Pastore si sono battuti costantemente?

 

   

Un accordo solamente pratico?

       Riguardo alla crisi attuale, pensiamo che i fondatori dell’Istituto del Buon Pastore abbiano lo stesso giudizio che avevano qualche mese fa. Per essi, il Concilio comporta errori reali ed ambiguità, che conviene correggere; la liturgia nuova comporta reali insufficienze ed ambiguità che sono la sorgente di disordini teologici e spirituali, e conviene correggerli, soprattutto riconoscendo alla liturgia gregoriana la più ampia libertà.
       La domanda che si pone è dunque la seguente: il combattimento per la correzione del Concilio e della nuova liturgia può e deve svolgersi all’interno d’una struttura canonica gradita, o all'esterno? Tale è oramai il punto di divergenza tra l’Istituto del Buon Pastore e la Fraternità San Pio X.
       Ora, a nostro avviso, la rottura canonica del 1975 non è frutto del caso. Un'abilità tutta umana avrebbe potuto ritardare quella rottura di alcuni mesi, ma non impedirla. Quella rottura è al contrario il risultato ineluttabile del fossato dottrinale profondo posto tra quelli che sono totalmente legati alla Tradizione della Chiesa e le attuali autorità romane.
       E le autorità romane sono purtroppo, ancora oggi profondamente attaccate al concilio Vaticano II nella realtà del suo testo, così come alla nuova liturgia nella sua espressione autentica, dunque con tutti gli errori e le ambiguità loro. E questo, nonostante il discorso del 22 dicembre 2005, che è lontanissimo dal costituire il programma di un vero ritorno alla Tradizione, anche se afferma delle cose interessanti.
       Firmare solamente un accordo pratico con Roma, senza una sufficiente evoluzione dottrinale preliminare da parte sua, e questo anche se le autorità romane offrono condizioni apparentemente vantaggiose, può concludersi solamente con una nuova rottura a breve scadenza, se si resterà fedeli alla realtà del combattimento della Tradizione.

 

   

Una scelta pericolosa

       Ci si dirà: Giudicate in anticipo! Lasciateli fare le loro prove! Siete in malafede!
       Non è esatto. Il passato non deve essere luce per l'avvenire?
       Non è imprudente sottovalutare la capacità della Roma attuale nell’assorbire e riciclare anche i suoi più feroci avversari?
       Non è temerario credersi più furbi o più forti dei nostri predecessori?
       Stiamo attenti: gente più coriacea di noi vi si è rotta i denti.
       È per questo che possiamo predire che se i fondatori dell’Istituto del Buon Pastore restano fedeli al loro nobile e costante combattimento per la Tradizione cattolica, e se, come esse fanno oggi, le autorità romane restano fedeli al Vaticano II e alla nuova liturgia, l’Istituto del Buon Pastore finirà per subire le stesse sanzioni che ha subito la Fraternità San Pio X durante la sua esistenza.
      Se al contrario, sotto la pressione e per l'attrazione della Chiesa conciliare, l’Istituto del Buon Pastore abbandona poco o tanto il combattimento della Tradizione contro gli errori reali ed obiettivi del Concilio e della nuova liturgia, allora sarà soltanto un Istituto in più nel novero degli Istituti Ecclesia Dei.
       Preghiamo affinché non sia così.

Don Gregorio Celier †
Suresnes, 12 settembre 2006,

   
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