La Congregazione
per il Culto Divino, secondo il volere del Sommo Pontefice, ha di
recente emanato l'istruzione Redemptionis Sacramentum, allo
scopo di proibire gli abusi e correggere gli errori che
spesso si commettono nel celebrare il Sacrificio Eucaristico e le
liturgie che hanno come centro l'adorazione del SS. Sacramento. In
particolare, l'abuso principale
dal quale mette in guardia il documento consiste
nel lasciare che venga dimenticata o, talora, nel fare
in modo che venga volutamente, per concezioni proprie di chi officia,
messa in ombra la dimensione sacrificale
della S. Messa.
Secondo la bimillenaria
tradizione teologica della Chiesa, ancora una volta, in questo nuovo
pronunciamento, la S. Messa viene definita l'attualizzarsi, sull'altare,
del sacrificio con cui Cristo ha riacquistato l'umanità a Dio
e la percezione di questa certezza, come scrive S.S. Giovanni Paolo
II, nell'Enciclica Ecclesia de Eucharistia, continua a suscitare nell'uomo
un senso di immenso stupore che lo induce a prostrarsi alla presenza
reale della Vittima Divina. Lo stesso stupore non cessa col concludersi
della celebrazione eucaristica, ma caratterizza tutte le liturgie
della Chiesa Cattolica che hanno come centro focale e come punto di
arrivo l'Eucaristia. A questo proposito, scriveva S.S. Pio XII, nell'Enciclica
Mediator Dei: "In modo particolare, poi, è molto da lodarsi
la consuetudine secondo la quale molti esercizi di pietà entrati
nell'uso del popolo cristiano si concludono col rito della benedizione
Eucaristica. Nulla di meglio e di più vantaggioso del gesto
col quale il sacerdote, levando al cielo il Pane degli Angeli, al
cospetto della folla cristiana prostrata, e volgendolo intorno in
forma di croce, invoca il Padre celeste perché voglia volgere
benignamente gli occhi a suo Figlio, crocifisso per amor nostro, e
a causa di Lui che volle essere nostro Redentore e fratello, e per
suo mezzo, effonda i suoi doni celesti sui redenti dal sangue immacolato
dell'Agnello".
Le
reazioni di non pochi sacerdoti, di fronte all'emanazione del documento,
sono sconcertanti, poiché
nessuno si ritiene colpevole di abusi e nessuno, dunque,
concepisce di dover riscoprire, nella liturgia, lo spirito suggerito
dal S. Padre; perciò si rischia che
le celebrazioni divengano sempre più opache, tristi e
incapaci di esprimere il loro vero significato. Si giunge al paradosso
per cui quanto più ci si
sforza di renderle piane, prosastiche, se vogliamo addirittura banali,
tanto più divengono incomprensibili,
perché,
in luogo del prostrarsi, l'uomo,
a contemplare il mistero nella sua profondità e incommensurabile
grandezza, tenta l'impossibile operazione
di spiegarlo o renderlo accettabile in termini prettamente umani
e di un umanesimo moderno.
La situazione che viviamo
è terribilmente e sottilmente pericolosa; non si vogliono rilevare
eterodossie, perché non si sconvolgono in maniera completamente
rilevabile i momenti rituali della S. Messa o di altre liturgie e,
tuttavia, si giunge spessissimo
al massimo degli abusi: si priva
veramente la S. Eucaristia del senso del sacrificio, si sposta l'angolo
visuale dall'adorazione della Vittima Divina che si immola, alla considerazione
di un'assemblea reputata così limitata e così
afflitta dal protagonismo da essere incapace di entrare in una dimensione
di spiritualità e da aver necessità delle medesime manifestazioni,
più o meno discutibili, che le sarebbero proprie per le strade
o in piazza, in definitiva, si perde
il senso di sacralità proprio del momento.
Come può non essere
sconvolta o annullata la percezione della presenza del Divino in celebrazioni
quasi mai preparate(1), per le
quali i ministranti, raccattati poco prima, siano privi completamente
del senso del loro ruolo, come pure dei minimi rudimenti tecnici,
cosa che obbliga il celebrante ad un continuo parlottio o a continui
strattonamenti, nel tentativo di dare istruzioni mai eseguite? E questo
non è, purtroppo, l'unico male; il sacerdote officiante è
spessissimo distratto(2) -per
non volerlo tacciare di renitenza- e omette buona parte dei gesti
liturgici: chi ancora si inchina all'Et Incarnatus(3),
al nome di Gesù Cristo, al Gloria Patri, o, se previsto, durante
la preghiera euca-ristica?
Quali riflessioni proporre,
poi, riguardo gli offertori commentati? Quelle pantomime per cui un
commentatore si porta all'ambone -il luogo riservato alla proclamazione
delle Sacre scritture- e descrive i doni presentati all'altare? Qualcuno
potrebbe stupirsi(4), considerando
che sul significato del pane e del vino non sono necessarie grandi
prolusioni, e avrebbe ragione, ma i doni portati all'altare sono ben
altro e così ridicoli da far accaponare la pelle: affiorano
alla memoria uno specchio, offerto come simbolo del sacrificio del
narcisismo umano, delle vecchie scarpe da ginnastica dismesse a significare
qualcosa che sarebbe lungo approfondire, del fil di ferro. Chi può
ancora, in tale clima da avanspettacolo,
durante il quale la gente ride, concentrarsi sul sacrificio della
Vittima Divina?
Cosa pensare, poi, riguardo
il deputare i ministri straordinari della comunione a distribuirla
ordinariamente insieme al celebrante, pur senza reale necessità
-necessità che difficilmente si presenta nelle nostre parrocchie-
e a volte trovandosi in chiesa un pugno di fedeli? Ma il peggio consiste
nel fatto che i nostri sacerdoti, divenuti ormai capaci "conduttori",
si fanno arbitri delle parole della liturgia proponendo
delle variazioni di formule perfette ed equilibrate, facendone
scempio grammaticale e sbiadendone il senso. Possiamo citare l'inserimento,
ad esempio, di orribili nessi relativi considerati di esplicazione,
come il seguente: "Vi benedica Dio Onnipotente, che è
Padre, Figlio e Spirito Santo", contro il terso, profondo: "Vi
benedica Dio Onnipotente Padre, Figlio e Spirito Santo" in cui
le parole Padre, Figlio e Spirito Santo hanno piuttosto il valore
pregnante di complemento almeno predicativo, se non addirittura attributivo,
che di misera apposizione relativa. A volte, poi, si giunge, addirittura,
alla parafrasi del passo evangelico da proclamarsi.
Quanto all'omissione dei
gesti di cui si è fatta menzione, vi è poco da preoccuparsi:
se alcuni vengono eliminati, altri nuovi vengono inseriti: chiunque
può aver avuto l'occasione di sentire questo o quel sacerdote
invitare, durante la S. Messa, contenitore di tutto, i fedeli all'applauso,
per le ragioni più varie.
Ancora, si propongono spesso
tre prediche(5), durante la S.
Messa, una all'inizio, una dopo il Vangelo e una alla fine, tutte
sono piuttosto lunghe, in genere, e per questo, ad evitare che il
rito duri troppo, si eliminano le parti cantate. La ragione, però,
è verosimilmente un'altra: i nostri preti non sono più
in grado di cantare. A parte quanti hanno difetto di intonazione o
di voce -motivi in parte passibili di correzione con l'impegno e la
costanza-, la maggior parte sembra non avere conoscenze musicali di
nessun tipo, neppure dei recitativi gregoriani, indispensabili per
il dialogo canoro tra celebrante, schola cantorum e assemblea, per
cui è necessario assistere costantemente a celebrazioni in
cui un coro canta, l'assemblea interviene ogni tanto sparutamente
e il sacerdote celebrante recita sempre, senza proferire una sillaba
in canto, sebbene il Messale Romano preveda una gerarchia nel canto
liturgico che pone in primo piano le parti del sacerdote e poi, a
seguire, quelle di schola e assemblea.
Nessuno,
dalla parte del clero, sembra essere disposto a porre riparo
(6), analizzando queste realtà
poco consolanti e, quando si è disposti ad ammettere che le
cose non vanno benissimo, la colpa non è mai del prete, così
oberato da non aver tempo per preparare le celebrazioni -Può
un presbitero avere incombenze più importanti? -, ma dei fedeli
laici che, incapaci di ottemperare al dettato del Concilio Vaticano
II, sarebbero poco disposti ad aiutare per migliorare gli aspetti
tecnici, eppure i laici sono molto spesso preparati, molti celebranti
non alla loro altezza.
Non
si può demandare ad altri ciò che è competenza
stretta di un ruolo, lo si ricordi e ci si assuma
le proprie responsabilità, soprattutto quando si tratta di
far comprendere, attraverso atti concludenti e non attraverso volatili
parole, il senso stesso dell'azione liturgica che da essa sola, senza
la necessità di sovrastrutture, promana. Si rifletta sul fatto
che tutti gli sconfinamenti, pur
lievi in se stessi, possono far perdere il
senso della deviazione, edulcorare lo scandalo, far acquisire abitudini
o far cadere nel torpore i fedeli, giungendo a distruggere, pian piano
e irrimediabilmente, la sacralità di ogni celebrazione e con
essa il senso della presenza reale di Dio e del suo Sacrificio che
deve rifulgere al di sopra della volontà di protagonismo dell'uomo
e deve vincere l'infingardia.
Gianluca R. P. Arca
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(1) Qui dissentiamo:
sembra che la colpa di tutto sia principalmente la mancata preparazione,
noi invece crediamo che la colpa di tutto stia interamente nel Novus
Ordo che, diversamente dal tridentino, permette tutto e apre all'inventiva
del singolo e dei tanti. La colpa è di chi ha tolto tutte le
rubriche precedenti (inchini, genuflessioni, lavabo, adorazioni)...
si è parlato tanto di cena (e non di Sacrificio), di Pasqua (e
non di Passione)... che ora lamentarsi dell'atteggiamento (prima voluto
libero e inventivo) sa tanto di presa in giro...
Prima si è maliziosamente
cercata l'irriverenza verso il Santissimo (niente genuflessioni, Comunione
in mano, vasi sacri e Ostie a portata di tutti, donne sull'altare, donne
diaconesse in atteggiamenti niente affatto mistici che si affrettano
a distribuire Ostie come se fossero bioscottini; confessione sostituita
da un proponimento di confessione)... con che faccia oggi si lamenta
chi prima ha voluto il guasto?!
Per
noi il rimedio è semplicissimo, elementare: tornare
alla Messa tridentina, con la rigorosa osservanza di tutte le sue rubriche.
Allora sarà quasi naturale raccogliersi in preghiera innanzi
al più grande dei misteri.
Si smetta una volta per tutte
di battere le mani in chiesa, di disturbare e sconcentrare il prossimo
e se stessi con stupidi (e soprattutto falsi) scambi di segni di pace.
La pace, la vera pace, quella di Cristo, è un'altra, è
una cosa seria.
(2) È logico:
viene distratto dal pubblico, da chi entra, da chi esce, da chi chiacchiera,
da chi sculetta...., prima invece, se alzava gli occhi, vedeva un tabernacolo,
statue, croci, ceri, immagini sacre... era difficile potersi distrarre!
(3) Don Giuseppe
Tomaselli, salesiano, scrive che Papa Innocenzo III starà in
Purgatorio fino alla fine del mondo perché spesso aveva omesso
d'inchinarsi quando nelle celebrazioni pronunciava il nome di Gesù.
Ma una tal notizia farà sicuramente ridere i sacerdoti moderni,
anche perché già non credono all'inferno (l'inferno non
esiste e, se esiste, è vuoto!), immaginarsi se possono temere
il Purgatorio!
(4) Perché
stupirsi? È tutto un teatro!... una divertente commedia (non
tragedia!)!!!
Invitiamo a vedere quanto pubblicato in altro
articolo.
(5) È normale,
perché la "liturgia della parola", e non quella del
"Sacrificio", piace tanto ai protestanti ed è un ottimo
mezzo per piacere ai protestanti, non importa se si dispiace Dio, tanto
Lui è buono, perdona tutti e non castiga nessuno, mentre i protestanti
non perdonano facilmente...
(6) Recita un vecchio
adagio: il pesce puzza dalla testa. Ripetiamo quanto già detto
a proposito di altro articolo: In un'aula indisciplinata
non è sufficiente (e non serve a niente) che l'insegnante
dica di far silenzio e richiami all'ordine,
ma è necessario che agisca perché il chiasso
sia tacitato e l'ordine ristabilito, diversamente
quell'insegnante è un incapace e inadatto a ricoprire quel posto!
Sullo stesso argomento vedere anche ABUSI
LITURGICI
Agli assassini della Liturgia
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