1. Guerra contro il Libano: un progetto che non è mai invecchiato!
Si era appena insediato in Medio Oriente e già lo Stato d’Israele tramava disordini e guerre contro il vicino Libano. La lettera di David Ben Gurion a Moshé Sharett, del 1954, già dimostra di cosa viva Israele: delle sventure altrui!
«[...] Il Libano è l’anello più debole della catena, nella Lega Araba. [...] La costituzione di uno Stato cristiano è in queste condizioni qualcosa di naturale. [...] In tempi normali, è qualcosa che è quasi impossibile da realizzare [...]. Ma in situazioni di confusione, di disordini, di rivoluzione o di guerra civile, le cose cambiano, e il debole può prendersi per un eroe. È possibile (in politica, non c’è mai certezza) che ora il momento sia favorevole per provocare la creazione di uno Stato cristiano accanto a noi. Senza la nostra iniziativa e il nostro aiuto, la cosa non avrà luogo. [...] e bisogna investire risorse, tempo, energie e agire con tutti i mezzi capaci di provocare un cambiamento fondamentale in Libano. [...] Bisogna che ci concentriamo con tutte le nostre forze su questo obiettivo. [...] Perdere questa occasione storica sarebbe imperdonabile. [...] Da parte nostra non c’è alcuna provocazione nei confronti dei Grandi di questo mondo. In ogni modo, non dobbiamo mai agire “in nome” di qualcuno. E bisogna, secondo me, agire rapidamente, a tutto vapore. Senza una riduzione delle frontiere del Libano, la cosa non è beninteso realizzabile. Ma se si trovano in Libano persone ed elementi che si mobilitino per la creazione di uno Stato maronita, non hanno bisogno di larghe frontiere né di una popolazione musulmana importante, e non sarà questo a essere fastidioso. Non so se abbiamo gente in Libano, ma ci sono mezzi di ogni tipo per realizzare il tentativo che propongo» (1).
Già si vede l’arroganza nella sicumera; Israele è infatti perfettamente tranquillo riguardo alla letargia, vigliaccheria e complicità dei «Grandi di questo mondo».
Nel 1973, Henry Kissinger (ebreo tedesco naturalizzato americano), all’epoca segretario di Stato sotto Nixon, decide di farsi carico personalmente (forte, forse, del Premio Nobel per la pace, proprio di quell’anno!) dei problemi del Medio Oriente. Vuole lanciare il suo processo di pace! Già l’America aveva i suoi progetti di “stabilizzazione” del Medio Oriente!
Conclusione: il famoso “Piano Kissinger”, per la realizzazione del programma le cui linee erano già state tracciate nella lettera di Ben Gurion. Cioè, fare a pezzi il Libano. Per impiantarvi i palestinesi. D’altronde, all’epoca della sua unica visita in Libano nel 1974, Kissinger aveva “gentilmente” confidato al presidente libanese Frangié: «Il cancro palestinese in Libano deve trovare una soluzione impiantando i palestinesi nel vostro paese. In quanto cristiani libanesi siete apprezzati in tutto il mondo. Tutti i paesi saranno pronti ad accogliervi».
E cosa dire della sua infatuazione e ammirazione per Hafez Assad?
Assad, il nemico giurato del Libano, il sognatore della “Grande Siria”, di cui il Libano sarebbe stato parte integrante (sognava!). Assad, di cui Kissinger nel 1989 –quando, al termine di un incontro con Mitterrand, fu interrogato sulla scalinata dell’Eliseo dai giornalisti sul suo parere riguardo il bombardamento selvaggio della Siria contro la popolazione libanese nella primavera del 1989– Kissinger dirà: «Che Dio mi perdoni, ma quest’uomo mi piace!». Assad, che rifornì largamente i palestinesi con armi e assistenza (in un discorso del 20-7-1976, Assad ammette di aver piazzato soldati siriani nei campi palestinesi in Libano).
Assad e Kissinger gestiranno dunque insieme la guerra del Libano.
Secondo Harold Saunders, che all’epoca era uno degli assistenti di Kissinger, le ripetute visite di Kissinger cominciarono a Damasco: il 15 dicembre 1973, la prima volta, una riunione durò sei ore e mezzo. Poi, dal 29 aprile al 29 maggio 1974, centotrenta ore di discussioni faccia a faccia. E proprio alla vigilia della guerra in Libano (che scoppiò il 13 aprile 1975), verso la metà di febbraio dello stesso anno, una riunione di Kissinger con Assad durò 17 ore nella stessa giornata (2).
Kissinger non avrebbe forse detto un giorno al Consiglio nazionale di sicurezza: «Se volete la pace in Medio Oriente, lasciate il Libano alla Siria»?
Ciò che d’altronde gli americani fecero nel 1990, imponendo l’accordo di Taëf che a sua volta imponeva l’occupazione militare siriana del Libano.
Nel suo libro La guerra del Libano, l’ambasciatore libanese Antoine Jabre scrive: «Avendo giudicato necessaria la collaborazione con Assad per imporre nella regione una pace americana, Kissinger e i suoi successori si sarebbero attivati per rendere inevitabile la guerra del Libano, per farla evolvere a loro piacimento, per consentire alla Siria di intervenire nel paese e di avere i mezzi di soddisfare la sua avidità: egemonia sul Libano, annessione di territori o annessione tout court – in cambio il problema del Golan sarebbe stato risolto con soddisfazione di Israele e il trattato di pace tra Damasco e Tel Aviv avrebbe potuto essere firmato. Era almeno ciò che gli americani davano per scontato, lavorando alla distruzione del Libano» (3).
Non per nulla Kissinger, attraverso i suoi scritti e le sue dichiarazioni pubbliche, continuerà a manifestare la sua immensa ammirazione per Assad, indirizzandogli felicitazioni per essere riuscito a perpetrare la guerra in Libano. Kissinger avrebbe potuto realizzare il suo progetto di «risolvere il problema palestinese in Libano» solamente attraverso il suo amico Assad.
Sarebbe bene, un giorno, dedicare un articolo esclusivamente alla guerra del Libano, pianificata e decisa da questi due miserabili strateghi machiavellici. Sperando così che non ci si parli più di «guerra civile» in Libano. La guerra civile è quella che Israele e Usa soprattutto, e la Siria in qualità di partner, hanno sempre cercato di provocare, attraverso attentati, assassinii politici e massacri, avendo come esecutori un pugno di politici corrotti, di capibanda miliziani – autentiche forze di tradimento – e di loro compari; tra i quali non pochi alti notabili maroniti laici ed ecclesiastici (complici o ignobilmente deboli), cosa che come cristiana libanese mi tormenta e mi rivolta.
Questo dal 1975 a oggi, agosto 2006.
La trappola della pretesa «guerra civile» non è mai riuscita, benché nell’ambito dell’attuale e provvisoria “maggioranza” lo stesso pugno di partigiani dei nostri aggressori usa-israeliani (fino a ieri partigiani dei nostri aggressori usa-siriani) vi si affaccendino invano ancora oggi.
Nel 1980, Oded Yinon, già funzionario del ministero israeliano degli esteri, dove aveva operato nel dipartimento della programmazione, scrive questo articolo: «Strategia per Israele negli anni 80».
Vi descrive lo smantellamento dell’insieme del Medio Oriente:
«A lungo termine, il Medio Oriente non potrà sopravvivere nelle sue strutture attuali, senza passare per trasformazioni rivoluzionarie. [...] Ma oggi a noi si aprono immense possibilità di rovesciare totalmente la situazione, ed è ciò che dobbiamo compiere nel prossimo decennio, sotto pena di sparire come Stato. Negli anni 1980, lo Stato d’Israele dovrà operare una mutazione radicale del suo regime politico ed economico così come della sua politica estera, per rispondere ai nuovi dati in Medio Oriente e nel mondo intero. [...] La scomposizione del Libano in cinque province prefigura la sorte che attende l’intero mondo arabo, compresi l’Egitto, la Siria, l’Iraq e tutta la penisola araba. [...] Bisogna ormai disperdere le popolazioni, è un imperativo strategico. In mancanza di questo non possiamo sopravvivere, quali che siano le frontiere»(4).
Nel suo articolo, Yinon non ha tralasciato [di indicare] la stessa sorte per l’Iran.
Il professore e scrittore israeliano Israel Shahak, che ha tradotto personalmente questo articolo, il 13 giugno 1982 firmava un’Introduzione al documento di Yinon e osservava:
«Il seguente articolo di Oded Yinon mi sembra che presenti in maniera esatta e dettagliata il progetto che è quello dell’attuale regime sionista –il regime di Sharon e Eytan– riguardante il Medio Oriente, cioè la divisione della regione in piccoli Stati, e lo smantellamento di tutti gli Stati arabi.
«Vorrei, a titolo di preambolo, attirare l’attenzione del lettore su alcuni punti:
«1. L’idea che tutti gli Stati arabi debbano essere frammentati in piccole entità a opera di Israele, è un’idea ricorrente nel pensiero strategico israeliano.
«2. Si percepisce molto chiaramente lo stretto legame che esiste tra questo progetto e il pensiero neo-conservatore americano, in particolare nelle note dell’autore al suo stesso articolo. [...]
«Il progetto riproduce fedelmente le teorie “geopolitiche”che avevano corso in Germania negli anni 1890-1933, che furono adottate tali e quali da Hitler e dal nazismo, e che guidarono la loro politica nell’Europa dell’Est. Gli obiettivi fissati da queste teorie, in particolare lo smantellamento degli Stati esistenti, ebbero un principio di realizzazione dal 1939 al 1941, e solo una coalizione a scala mondiale ne impedì l’applicazione a lungo termine» (5).
Noi siamo oggi in attesa della «coalizione su scala mondiale» che sappia mettere fine ai crimini usraeliani, ai loro progetti di «parto del Nuovo Medio Oriente» –di cui Condy Rice vorrebbe fare la levatrice– e ai loro programmi totalitari di «Nuovo ordine mondiale».
La scrittrice e giornalista ebrea Livia Rokach nel giugno 1983, nel suo Dossier intitolato «Israele in Libano. Testimonianza di un genocidio», commentava così l’articolo di Yinon:
«Da notare in particolare: [...] L’«Operazione Libano» [l’invasione israeliana del Libano nel 1982], iniziata quattro mesi dopo la pubblicazione [nel febbraio 1982] di questo piano, è stata realizzata, e continua a essere eseguita, esattamente lungo le direttive tracciate in questo scritto [...].
«L’“ideologia” dietro al piano [...], [è] riassumibile in poche parole: L’occidente è troppo debole per potersi salvare dalla minaccia sovietica [oggi, “minaccia islamica”]. [...] Spetta quindi a Israele indicare la strada al mondo libero, a partire dal proprio autopotenziamento, che lo renderebbe, eventualmente, grazie alla sua conquista delle fonti di energia nella regione, indipendente anche dallo stesso occidente» (6).
Nella nota 4 al documento, Livia Rokach osserva: «Fin dall’inizio dell’occupazione del Libano, il governo israeliano ha agito, tramite l’esercito e i servizi segreti, per rinfocolare le ostilità tra le diverse comunità [...]».
È necessario fare un commento su questi dati? Non è vigliaccheria e omertà la più triviale, quella di chiamare «complottisti» quanti cercano e dimostrano la verità, che giungono fino a dedicare e sacrificare la loro vita a questa caccia alla verità?
Qual è il comune denominatore nel ragionamento di Ben Gurion, Kissinger, Yinon (e in seguito degli Sharon e Olmert)? Lo stesso leitmotiv, vecchio come Matusalemme: «Divide et impera», «Per comandare, dividi».
I maggiordomi di Israele in occidente si indignino pure per il fatto di sentir chiamare nazisti gli israeliani a causa delle azioni crimini perpetrate dallo Stato ebraico.
Hanno ragione [*], risponde lo scrittore e musicista ebreo Gilad Atzmon: «Questo modo di parlare deve finire una volta per tutte [...]. Israele ha già stabilito una nuova concezione di malvagità che è riuscita a superare ogni altra cattiveria. È venuto il momento di accettare il fatto: Israele e il sionismo sono l’ultima malvagità, senza uguali, e come non bastasse, diversamente dal nazismo, che appartiene al passato, la malvagità del sionismo è un delitto che avviene sotto i nostri occhi e che peggiora. [...] Ma devo ricordare [...] che Hitler non ha mai spianato un paese senza la minima ragione, mentre è esattamente questo che hanno fatto gli israeliani in Libano per quattro settimane, e a Gaza per anni e anni. Assistere al massacro e alla devastazione del Libano non lascia spazio ad alcun dubbio. L’attuale brutalità di Israele non è altro che malvagità per il gusto della malvagità. Una punizione che non conosce pietà. Israele è la devastante resurrezione collettiva del biblico Sansone. È la rappresentazione moderna dell’uomo che massacra donne, bambini e vecchi, il padrone ebraico vittorioso, della cieca rappresaglia indiscriminata» (7).
I piani e le strategie di Israele, da quando si è insediato in Medio Oriente, non sono cambiati.
Yinon annuncia la distruzione, tra gli altri, dell’Egitto, della Siria, dell’Iraq, dell’Iran e del Libano. E quali sono oggi i risultati?
Iraq, già fatto (precariamente). Libano, tentativi – vani! – in corso da più di tre decenni. Siria e Iran, prossimamente (almeno per l’Iran, già si parla di un appuntamento imminente: ottobre!).
Per l’Egitto, Yinon precisa (e rassicura!): «Israele non prenderà l’iniziativa di rompere il trattato [...], a meno di esservi economicamente e politicamente costretto e a meno che l’Egitto offra a Israele un “pretesto” per prendere il Sinai per la quarta volta nella nostra breve storia». Se Israele continua di questo passo, come sta dimostrando in quest’ultima aggressione contro il Libano nei mesi di luglio-agosto 2006, la sua storia rischia veramente di essere molto breve! «[...] Israele – prosegue Yinon – si troverà costretta ad agire, direttamente o indirettamente, per riprendere il Sinai in quanto riserva strategica, economica ed energetica a lungo termine» (8).
Sempre nel documento di Livia Rokach, alla nota 3, a sottolineare la tattica dei «pretesti» esercitata indefinitamente da Israele, la Rokach osserva: «L’11 ottobre 1953, l’allora ministro degli esteri israeliano del tempo, Moshe Sharett, annotò nel suo diario di aver fatto visita, poco prima, al presidente dello Stato, Itzhak Ben Zvi: “Ben Zvi sollevò alcune domande ispirate [...] per esempio se fosse possibile occupare il Sinai, e quanto sarebbe magnifico se gli egiziani, iniziando un attacco che noi sconfiggeremmo, ci dessero il pretesto per invadere quel deserto”» (9).
Domanda: Chi sono, dunque, i complottisti?
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