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I miracoli libanesi
di Jacqueline Amidi

Fonte: www.effedieffe.com, 9-10-2006
Segnalato da: Agostino Sanfratello

       È difficile districarsi nella questione libanese, ma leggendo questo articolo, si potranno finalmente avere idee chiare su uno scenario tanto intricato e apparentemente contraddittorio. L'autrice, poi, è un'ottima fonte: libanese, cattolica e ben documentata.
       L'articolo infine è importante perché svela i retroscena della politica d'Israele, degli Usa, della Siria... e financo di alcuni governanti libanesi (vigliacchi e preoccupati più del loro meschino interesse, che di quello della Nazione). Non mancano i riferimenti a qualche politico nostrano e alla nostra cara Europa volutamente cieca, vile e giudeomane.

La Redazione

Grassetti, colori, parentesi quadre, sottolineature, corsivi
e quanto scritto nello spazio giallo sono generalmente della Redazione

        Chissà se lo slogan fanfarone «guerra dell’occidente contro la barbarie» è già tramontato? Chissà se la «ridefinizione geopolitica del Medio Oriente» è ancora all’ordine del giorno? Chissà se gli usraeliani «drogati di guerra» [1] e l’occidente «giudeomane» [2] approfittano della tregua per orchestrare una nuova guerra «globale» e si mobilitano per un altro «round»?
        Ciò che è certo è che l’ultima guerra che il Libano ha subìto ha cambiato i dati e rimescolato le carte in tavola.
        Israele non aveva calcolato una sorpresa: il fattore umano. Credeva di dominare la situazione aerea, navale e terrestre, ma è stato «il più importante e clamoroso fallimento militare israeliano», secondo Ilan Pappe [3].
       Come tutti coloro che finora avevano organizzato la caduta del Libano credendo di venirne a capo in pochi giorni, gli israeliani sono stati smentiti e battuti. Hanno avuto a che fare con fieri e indomabili combattenti, talmente efficaci da mettere in scacco tutti i piani dell’aggressore.
       Conseguenza degli insuccessi militari di Tsahal, è l’equilibrio interno stesso di Israele che è sul punto di spezzarsi: la crisi prende posto chiaramente e apertamente entro il governo e lo Stato maggiore israeliani, che si lanciano senza ritegno critiche aspre e scandalose.
       È l’immenso fiasco. «Il giorno successivo alla guerra sarà il “Giorno dei Lunghi Coltelli”. Ognuno accuserà tutti gli altri. Gli uomini politici si accuseranno a vicenda. I generali si accuseranno l’un l’altro. Gli uomini politici accuseranno i generali. E soprattutto, i generali accuseranno i politici. [...]
       Le accuse reciproche sono totalmente giuste. Questa guerra è una catena di insuccessi militari: per mare, per cielo e per terra. Questi insuccessi hanno le loro radici nella terribile arroganza in cui siamo stati allevati e che è diventata parte integrante del nostro carattere nazionale. Questa arroganza è ancora più tipica nell’esercito e raggiunge il culmine nelle forze aeree. Per anni, ci siamo detti che avevamo l’esercito migliore, migliore, migliore del mondo. Non ne abbiamo convinto solo noi stessi, ma anche Bush e il mondo intero. Dopo tutto, avevamo riportato una straordinaria vittoria in sei giorni nel 1967. Risultato, questa volta, quando l’esercito non ha riportato un’enorme vittoria in sei giorni, tutti ne sono sbalorditi. Perché, cosa è successo? [...]
       Ma al di là dell’arroganza e del disprezzo per l’avversario, c’è un problema militare di fondo: è semplicemente impossibile vincere contro una guerriglia. [...]
       Dio solo sa cosa abbia dato ai generali di oggi la convinzione ingiustificata che avrebbero vinto là dove i loro predecessori avevano così miseramente fallito. E soprattutto: anche il miglior esercito del mondo non può vincere una guerra che non ha obiettivi chiari. Karl von Clausewitz, il guru della scienza militare, ha dichiarato che “la guerra non è altro che la continuazione della politica con altri mezzi”. Olmert e Perez, due perfetti dilettanti, hanno trasformato questa frase in: “la guerra non è altro che la continuazione con altri mezzi della mancanza di politica”. [...] Ma Olmert e Perez non potevano fermarsi. Neofiti in materia di guerra, non sapevano [...] che in guerra l’imprevisto deve essere previsto, che non c’è niente di più passeggero della gloria militare. Erano ubriacati dalla popolarità della guerra, incitati da una banda di giornalisti servili, storditi dalla loro stessa gloria di capi militari. Olmert era stimolato dai suoi stessi discorsi incredibilmente tronfi, che ripeteva davanti ai suoi cortigiani. Perez, sembra, si metteva davanti a uno specchio e già si vedeva prossimo Primo Ministro, Signor Sicurezza, un secondo Ben Gurion. E allora, come i due scemi del villaggio, al suono dei tamburi e delle trombe, si sono messi alla testa della loro Marcia della Follia, diritti verso una disfatta politica e militare. È probabile che dopo la guerra la pagheranno. [...]
       La conclusione che si impone è: cacciare Olmert, mandare Perez a fare i bagagli e sloggiare Halutz.
       
Per impegnarsi su una strada nuova, la sola che risolverà il problema, occorrono negoziati, e la pace con i palestinesi, i libanesi, i siriani. E con Hamas ed Hezbollah. Perché è solo con i propri nemici che si fa la pace» [4].
       
La politica del tipo: «O sei con me o sei estremista, integralista, terrorista, fascista, nazista e antisemita»(!), oppure quella del: «Io picchio e ammazzo, se non obbedisci», ebbene questa politica ha appena ricevuto il suo primo -tanto atteso!- colpo di clava, grazie alla difesa del tutto sorprendente, fantastica, dei resistenti dell’Hezbollah.
       In Libano essi figurano come i Sette samurai, che sono riusciti finalmente a difendere i “diseredati” dai continui saccheggi e crimini di delinquenti e criminali. Sul campo, al Libano toccava regolarmente di subire un’invasione, o israeliana o siriana (sempre con il via libera degli Usa), e di uscirne con danni sempre più gravi e insopportabili e con molti morti. E non appena di nuovo in piedi (questo non manca mai!), volta per volta Israele o la Siria, senza pietà, ricominciano il massacro e la devastazione. Come non aver simpatia, allora, e non esprimere riconoscenza ai resistenti? Essi rappresentano un «baluardo contro Israele» [5]. Hanno reso giustizia e onore a tutti i libanesi, di ogni comunità. E tutti li sostengono [6].
       Quale esercito non vorrebbe avere tra le sue file combattenti simili? Anche Israele li invidierebbe e li desidererebbe.
       Ma non è ancora giunto il tempo di cantare alto la vittoria.
       Il Libano ha due vicini avidissimi e insaziabili: Israele e Siria, che vogliono entrambi il loro bottino. A meno di un mutamento prodigioso.

 

 

   

1. Chi sono i nemici del Libano?

        Questo piccolo paese, che nella sua storia non ha aggredito neppure una volta un paese vicino, si è sempre trovato costretto a difendersi dagli attacchi altrui. In ogni periodo storico, nemici diversi.
I nemici di oggi sono: Israele, gli Stati Uniti, la Siria e i rifugiati palestinesi in Libano.
       
Arriveremo più tardi ai traditori.

 

   

A)  Israele

«Se gli israeliani non vogliono essere accusati di essere
nazisti
, devono soltanto smettere di comportarsi da nazisti»
(Norman Finkelstein) [7]

        Già prima della sua creazione nel 1948, i fondatori di Israele avevano i loro progetti per un grande “Regno di Israele”. Già disegnavano la rimodellazione del Medio Oriente.
        Secondo loro, bisognava mettere le mani sulle due principali “fonti di vita” del Medio Oriente: il petrolio e l’acqua.
       
Di qui l’accanimento dei sionisti, costi quel che costi, a dividere e a smantellare tutti gli Stati della regione, per indebolirli e accaparrarsi le loro materie prime tanto agognate [8].
       In Libano, non abbiamo petrolio.
       Ma siamo ricchi d’acqua, il nostro “petrolio bianco”.
       Si capisce allora perché Israele non lascia mai in pace il sud del Libano, e perché durante quest’ultima guerra di luglio-agosto insisteva per arrivare al Litani.
       La guerra di Israele contro il Libano è stata e sarà sempre anche la guerra dell’acqua.
       
Secondo Israele, scrive Christian Chesnot [9], si devono a ogni costo ridisegnare le frontiere della terra del «Grande Israele»:
«In un rapporto del 1941, Ben Gurion ritorna sull’importanza delle acque del Libano meridionale per il futuro Stato di Israele: “Dobbiamo ricordarci che per giungere a radicare lo Stato ebraico, sarà necessario che le acque del Giordano e del Litani siano comprese entro i nostri confini” [10].
       Tuttavia, storicamente, il Litani è sempre stato incluso nei confini internazionalmente riconosciuti dello Stato libanese, cosa che per questo stesso ne fa un corso d’acqua esclusivamente libanese. Ma i dirigenti israeliani non hanno mai abbandonato l’idea di poter utilizzare un giorno a loro vantaggio una parte delle acque del Litani e dei suoi affluenti.
       
“Il Libano è un errore storico e geografico”, amava ricordare Moshe Arens, già ministro israeliano della difesa. Fino dalla sua fondazione, Israele ha considerato il Libano, e più in particolare la sua parte meridionale, come una delle sue sfere naturali d’influenza, sulla quale si riservava il diritto di intervenire militarmente o no.
       
“Al tempo della prima guerra arabo-israeliana, lo Stato ebraico ‘rosicchia’ in maniera insignificante il suo vicino del nord, impadronendosi di quattro villaggi che restituisce prima di concludere l’accordo di armistizio firmato a Ras el Naqoura il 23 marzo 1949, che prevedeva l’istallazione di una commissione mista e di sei postazioni di osservazione in territorio libanese”[11]. L’accordo di armistizio tra i due Stati fissa allora come linea di demarcazione il confine del 1920 tra il Libano e la Palestina.
       
Questo statu quo territoriale fu sempre contestato più o meno apertamente dallo Stato ebraico.
       
Da un punto di vista strategico, Israele considera il Libano come l’“anello debole”del mondo arabo, per riprendere l’espressione di Ben Gurion. La sua destabilizzazione potrebbe servire agli interessi dello Stato ebraico che, un tempo, auspicò l’emergenza di mini-Stati confessionali in Medio Oriente. Moshe Dayan e Ben Gurion tentarono in quest’ottica di suscitare un movimento separatista maronita.
       
Negli anni Cinquanta, i dirigenti israeliani immaginarono così la creazione di un Libano cristiano che sarebbe stato vassallo di Israele, come lo ricorda nel suo diario Moshe Sharett: “Secondo lui [Moshe Dayan, capo di stato maggiore di Tsahal], basterebbe trovare anche soltanto un ufficiale, anche un semplice maggiore. Potremmo conquistare la sua simpatia o comprarlo per incitarlo a proclamarsi salvatore dei maroniti. Allora, l’esercito israeliano entrerebbe in Libano, occuperebbe il territorio necessario e installerebbe un regime cristiano che si alleerebbe con Israele. I territori a sud del Litani sarebbero integralmente annessi a Israele e tutto andrebbe per il meglio”» [12].
       
«Il movimento sionista -scrive Gilles Munier [13]- non ha mai accettato la divisione del Medio Oriente compiuta dalla Gran Bretagna e dalla Francia all’indomani della Prima Guerra Mondiale. La dichiarazione di Balfour del 1917, che prometteva la creazione di un “focolaio nazionale per il popolo ebraico” in Palestina, non era sufficiente. I capi sionisti volevano disegnarne la carta. Reclamavano le due rive del Giordano, la sua sorgente, e il Litani. Il 29 dicembre 1919, Haïm Weizmann -presidente dell’Organizzazione sionista mondiale- chiese a Lloyd George, primo ministro britannico, che il futuro Stato“inglobi la valle del Litani fino a una distanza di circa 25 miglia -cioè quasi 40 km-  a monte del gomito, così come i fianchi orientale e meridionale e sud del monte Hermon”. [...]
       Nel 1940, Yossef Weitz, direttore del Fondo nazionale ebraico, scriveva: “Bisogna spiegare a Roosevelt, e a tutti i capi di Stato amici, che la terra di Israele non è troppo piccola se tutti gli Arabi se ne vanno, e se le frontiere sono un poco ampliate verso il nord, lungo il Litani, e verso est, sulle alture del Golan” [14]. [...]
       Le prime aggressioni del Libano meridionale ebbero luogo già a partire dal 1948. La Haganah -antenata di Tsahal- occupò diversi villaggi del Djebel Amel, massacrando un centinaio di abitanti. Dal 1949 al 1964, si contarono 140 aggressioni israeliane in questa regione, più di 3000 tra il 1968 e il 1974! [15].
       Per i politici israeliani -di estrema destra o laburisti- la guerra arabo-israeliana del 1948 finirà -al nord–  soltanto dopo la conquista del Litani. Nello spirito di David Ben Gurion, le frontiere del Grande Israele -Eretz Israël[Terra di Israele]-  erano tutte provvisorie. [...] Riguardo al Libano, si legge nel suo diario in data 21 maggio 1948: “La supremazia musulmana in questo paese è artificiale, e può facilmente essere rovesciata; deve essere instaurato uno Stato cristiano in questo Paese. La sua frontiera meridionale sarebbe il fiume Litani”».
       
È chiaro che finché Israele non avrà instaurato il suo “ Nuovo Ordine ” in Libano, questi progetti di guerra, fino alla sottrazione della nostra acqua, saranno tradotti in atto: invadendo la terra libanese con una -o più d’una- «Operazione Litani», nome che Israele aveva dato alla grande invasione del Libano del 14 marzo 1978.
       Le fattorie libanesi di Chebaa, oggi occupate da Israele e ricchissime d’acqua, non gli basterebbero. Deve dunque rosicchiare ancora il Libano per dissetarsi, Israele, questo vicino perennemente assetato, d’acqua e di sangue.
       
È inoltre da sottolineare che tale accanimento nel tentativo di creare a ogni costo questo preteso “Stato cristiano” non è assolutamente animato da chissà quale amore o amicizia verso i cristiani libanesi. Questi “cristiani” gli sarebbero serviti unicamente come strumenti di odio e di guerra contro tutte le altre comunità e alla fine contro i cristiani stessi, schiacciati in questa macina di guerra, di distruzioni e di sangue.
       I “clienti” cristiani di questi programmi, in Libano Israele li ha trovati. Ma finora il loro obiettivo non è stato ancora raggiunto, malgrado l’aiuto diretto del Mossad in territorio libanese!
       Non sarà inopportuno un giorno ricordare pubblicamente certi fatti e certe verità amare sulle responsabilità e sui responsabili, passati e presenti, vivi e morti («La morte non è una scusa!», suggeriva Léon Bloy) delle nostre cancrene.
       Ancora oggi, infatti, il Libano paga per i silenzi che sono durati tanto a lungo e continuano a precipitarci nell’accecamento e nell’angoscia.
       Un popolo a cui si fa economia della verità, sarà presto ridotto a fare economia della fiducia e della speranza.
       Ma un’altra guerra è voluta da Israele a danno del Libano, oltre alla guerra dell’acqua: il sabotaggio dell’economia libanese.
       
Il prospero sistema economico di cui ha sempre goduto il Libano nella regione, spiace a Israele, come d’altra parte alla Siria: i due approfittano ampiamente di ogni situazione di guerra in Libano.
       Il Libano, crocevia di tre continenti e soglia delle civiltà, delle culture e dei mercati del Levante, beneficiava da sempre, malgrado le guerre, di un successo economico senza rivali. E questo per il clima di fiducia che attraeva gli investimenti e l’afflusso di importanti capitali privati provenienti dall’estero. Il settore bancario mostrava una solidità straordinaria.
       Il Libano rappresentava dunque, fino alla vigilia di quest’ultima aggressione israeliana, la prima piazza finanziaria e commerciale e il principale centro d’affari per l’insieme dei paesi del Medio Oriente, ruolo nel quale nessun’altra piazza della regione aveva potuto sostituirlo. È anche tutto questo, che Israele ha voluto distruggere.
       
Ma i libanesi sono noti per la loro rapida ripresa. Israele non potrà demolire anche l’anima libanese.

 

 

   

B)  Gli Stati Uniti

«Lo zio Sam sta redigendo un copione per un occidente terrificante di buoni contro i cattivi, fino alla morte»
Gideon Samet, in Haaretz [16]

         Negli Stati Uniti non sono Bush o la sua Amministrazione a governare, ma i neoconservatori, o neocons, una banda di esperti e strateghi, chiamati anche «i falchi», che conducono tranquillamente la politica statunitense, rispolverando periodicamente, da una trentina d’anni, il vecchio piano sionista di rimodellazione del Medio Oriente, ovviamente a favore di Israele.
        A titolo di esempio, ecco un neocon: Eliott Abrams, ebreo, che enuncia considerazioni molto singolari sull’identità religiosa e nazionale degli ebrei americani.
       Abrams –scrive Tom Barry– sostiene che «gli ebrei non dovrebbero dare appuntamenti amorosi o frequentare la scuola primaria con dei non-ebrei» [17].
       Secondo Abrams, «Al di fuori della terra di Israele, gli ebrei che credono nell’Alleanza conclusa tra Dio e Abramo devono senza alcun dubbio mantenersi separati dalla nazione in cui vivono. È la natura stessa dell’essere ebrei il mantenersi separati –tranne che in Israele– dal resto della popolazione», e «insiste sul fatto che gli ebrei devono essere fedeli a Israele perché “sono in un’alleanza con Dio, la terra di Israele e il suo popolo. Il loro impegno non si affievolirà mai, anche se il governo israeliano persegue politiche impopolari”» [18].
       
Ecco quindi un esemplare di questa casta di neocons, di cui sono innamorati i vari Bush, Rice, Cheney e Rumsfeld.
       Personaggi appartenenti a un’ideologia del genere, che predicano senza pudore l’istigazione all’odio razziale, questi feroci xenofobi si sono dunque attribuiti il diritto di mettere le mani sull’intero Medio Oriente! E Bush e la sua amministrazione dovevano abbracciare le opinioni dei neocons, nella preoccupazione di portare la libertà e la “democrazia” ai paesi mediorientali.
       Portarle a «[...] un Medio Oriente in cui Israele sarà molto meno al sicuro e in cui gli Stati Uniti saranno ancora più odiati» [19]? Perché la pace con la forza, la pax americana, è una grande illusione da Terminator alla Arnold Schwarzenegger (oggi governatore della California e fan dell’attuale politica dell’amministrazione Bush).
        Chi sono i neoconservatori?
       - Sono adepti del guru Léo Strauss
.
        Il prof. Léo Strauss, «ebreo tedesco emigrato [in Usa], è la sorgente diretta -scrive Emmanuel Ratier- della dottrina politica della Casa Bianca. Mentre diffondeva un insegnamento pubblico, selezionava soprattutto i suoi studenti più ambiziosi per impartire loro un insegnamento segreto, che chiamava “il Regno segreto”. Un metodo di governo fondato sulla manipolazione perpetua delle masse. I suoi discepoli, i neoconservatori sionisti, hanno ottenuto tutti i poteri con George Bush». «Eppure nessuno più di lui ha dato al neoconservatorismo (che non ha esattamente nulla a che fare con il conservatorismo americano classico) i suoi tratti caratteristici: senso della crisi, [...] rifiuto del pluralismo, apprendimento del nichilismo, [...] fondamentalismo religioso, ruolo principe di Israele nel concerto delle nazioni ecc.». «In altre parole, non esiste nessuna moralità, né bene né male, e la storia umana è senza significato di fronte all’universo. E per far rigar dritto l’umanità, occorre far credere all’esistenza di un “padre fustigatore” cosmico» [20].
       Ideologi neocons, dunque, che conducono la loro «crociata per la democrazia» in Medio Oriente e sono gli arbitri delle linee direttrici della politica estera degli Usa per un «Nuovo Medio Oriente», il cui centro sarebbe evidentemente Israele (a proposito, il Libano è già, da più di sessant’anni, una repubblica veramente libera, o “democratica”: non avevamo bisogno di una guerra che ce lo facesse capire!). Gli appelli tormentosi di Bush per la «rivoluzione democratica globale» e la sua politica del «potere attraverso la forza» sono di ispirazione esclusivamente neoconservatrice.
       Il giornalista tedesco Jürgen Elsässer dà una bella definizione di Bush: «Si può vedere che Bush è l’ostaggio del suo entourage. E siccome non è molto intelligente, non è in grado di prendere le decisioni, e deve seguire le idee del suo entourage». E sui neoconservatori aggiunge: «Ma i neoconservatori sono pazzi, vogliono fare la terza guerra mondiale contro tutti gli arabi e tutti i musulmani». «Sì, c’è un doppio governo che sfugge al controllo di Bush. Sono i neoconservatori, come Cheney, Rumsfeld, Wolfowitz, Perle, persone legate al petrolio e alle industrie militari. Il caos globale è nell’interesse dell’industria militare: quando c’è caos nel mondo intero, si possono vendere armi e petrolio a prezzi più alti» [21].
       È unicamente l’aggressività della scuola neoconservatrice a determinare ciò che accade attualmente in Medio Oriente, e sono loro, i neocons, a esercitare una violenta pressione sul governo americano perché ogni guerra intrapresa nella regione sia esclusivamente a favore di Israele.
       Da tre decenni i neocons hanno conquistato la Casa Bianca; e dei vari presidenti che vi si sono succeduti essi fanno le marionette del momento.
       Israel Shahak, nell’introduzione che aveva firmato il 13 giugno 1982 al documento di Oded Yinon, aveva profeticamente osservato: «Si percepisce molto chiaramente lo stretto legame che esiste tra questo progetto e il pensiero neoconservatore americano, soprattutto nelle note dell’autore al suo stesso articolo» [22].
       Paul Wolfowitz, ebreo americano, neocon o “falco” tra i più aggressivi, soprannominato anche “principe delle tenebre”, in precedenza sottosegretario alla difesa dell’amministrazione Bush e attualmente decimo presidente della Banca Mondiale, il più accanito fautore di guerre e dello «scontro di civiltà», premeva incessantemente per una guerra totale degli Usa contro Irak, Iran, Siria e Libano, «praticamente identificando in questo modo l’interesse nazionale di Israele con quello degli Usa», dice Maurizio Blondet nel suo libro Chi comanda in America?, riferendosi a questo riguardo al Village voice del 21 novembre 2001 [23].
       È evidente che i neocons non sono pericolosi soltanto per il destino del Medio Oriente, tra cui il Libano, ma anche per il futuro dell’occidente, tra cui l’Europa, perché una volta fatto partire lo scatto, una volta messo in moto il demenziale meccanismo di una guerra globale, chi può frenare l’appetito di questi cannibali, di questi «drogati di guerra» senza fine? È urgente trovare oggi un’alternativa a questa «diplomazia di gangsters».
       «Dobbiamo capire che simili eventi criminali non accadono per caso oggi. Sono stati pianificati. Dei popoli sono oggi puniti in modo esemplare perché gli altri popoli siano avvisati che costa caro sfidare il nuovo ordine statunitense e perché ognuno scelga il suo campo» [24].
       «Non si può capire questa guerra di aggressione contro il Libano, né l’accanimento contro i palestinesi, in particolare a Gaza, al di fuori del contesto della guerra permanente e preventiva intentata dai neoconservatori di Washington su scala mondiale e fatta propria da Tel Aviv», dice Michel Warschawski [25].
       In realtà, sono i vecchi intrighi e i progetti malefici dei vecchi sionisti come Jabotinsky che i neocons tentano ostinatamente di realizzare. «Conquistare la Casa Bianca alla la propria causa è sempre stato uno degli obiettivi supremi del sionismo, un obiettivo in larga misura brillantemente conseguito negli anni», assicura lo scrittore e giornalista inglese David Hirst nella prefazione alla terza edizione del suo volume: «The gun and the olive branch» [26].
       Ma perseverare in questo gioco perverso del «fare a gara a chi realizza meglio gli auspici macabri» non metterebbe in pericolo l’esistenza stessa di Israele e degli Stati Uniti? A giocare troppo con il fuoco, infatti, si finisce per bruciarsi! «E molto probabilmente sarà un momento in cui Israele stesso si troverà in una situazione di pericolo grave e forse persino fatale per la sua esistenza», osserva David Hirst nella stessa prefazione. E ricorda ciò che Moshe Sharett scriveva del suo ministro della difesa, Pinhas Lavon: che «“predicava costantemente atti di follia” o “la furia cieca” nel caso in cui Israele fosse stato offeso».
       
David Hirst aggiunge anche: «Nel suo libro “The fateful triangle”, Noam Chomsky sostiene che il bersaglio reale della bomba atomica israeliana siano gli Stati Uniti. Che Israele cercasse effettivamente di premere in questo modo sugli Stati Uniti lo presumevano anche i francesi, quando, in una collaborazione tenuta rigorosamente nascosta agli americani, fornirono la prima indispensabile assistenza al progetto israeliano di divenire una potenza nucleare. “Pensavamo”, dice Francis Perrin, Alto Commissario dell’Agenzia per l’Energia Atomica francese all’epoca, “che la bomba israeliana fosse diretta contro gli americani, non per essere lanciata contro l’America, ma per dire loro: “Se non volete aiutarci in una situazione critica, vi costringeremo a farlo, altrimenti ricorreremo alla nostra bomba atomica”».
       
Di qui l’affermazione di Martin van Creveld, professore di storia militare all’Università ebraica di Gerusalemme: «Possediamo centinaia di missili a testata nucleare, che possiamo lanciare in ogni direzione». Affermazione che ugualmente David Hirst ci ricorda nel suo volume.
       È possibile avanzare l’ipotesi che in futuro questi due Stati-canaglia, Usa-Israele, oggi uniti nella medesima impresa di gangsterismo universale, vedano un giorno i loro reciproci interessi divergere ed entrare in conflitto? Conflitto sul bottino? Conflitto sulle loro strategie di macrocriminalità? Conflitto per l’egemonia suprema?
       C’è oggi conflitto tra civiltà e fondamentalismo?
       Sì. Conflitto tra i principi immutabili e universali della civiltà morale e giuridica, da una parte, e, dall’altra, la barbarie dei fondamentalisti usraeliani –giacobini, massonici e talmudici– che seminano, ovunque sperano di dominare, odio e strage. Conflitto tra le civiltà ancestrali che hanno fatto la storia dell’umanità, da un lato, e, dall’altro, il settarismo o fanatismo dei «cristiani rinati» («born again christians», ai quali Bush appartiene), dei «cristiani sionisti»(!), dei sionisti e talmudisti, predicatori di «ideologie del militarismo e dell’occupazione», espressione utilizzata apertamente nel documento firmato il 22-8-2006 dai patriarchi e vescovi riuniti a Gerusalemme, tra i quali il patriarca latino di Gerusalemme, Michel Sabbah [27].
       Quando nel 1989 avevamo appreso in Libano che qualcuno dell’amministrazione americana (il segretario di Stato James Baker?) si divertiva a ripetere che il Libano era «un errore storico», in risposta a questa assurdità concludevo così uno dei miei articoli:
       «È triste rendersi conto di come il “mondo libero” sia prigioniero del proprio accecamento. [...] Né anime ben nate, né il numero degli anni, nulla fa degli Stati Uniti un paese di grandezza. [...]
       Un popolo senza radici, senza storia, è infatti condannato all’ignoranza. [...] Ma forse gli americani, che non conservano della loro storia nient’altro che alcune peripezie e avventure del Far West e le loro guerre di secessione, sono ancora intimiditi dalla maestosa impresa di quei giganti del mare, i fenici. [...]
       Come è possibile non essere allarmati? Se il governo degli Stati-Uniti non si risveglia dal suo abbrutimento, guai a questi Stati che non saranno più Uniti! [...]
       Egli [Cristoforo Colombo] non ha presentito [...] l’influenza malefica di alcuni dirigenti americani sui paesi civili» [28].

 

 

   

C)  La Siria

«Non solo continueremo a sostenere il presidente Assad, ma cerchiamo di assicurare la continuità del suo regime dopo di lui»
James Baker, Segretario di Stato americano, agosto 1989 [29]

        L’inimicizia della Siria contro il Libano risale almeno alla fine della prima guerra mondiale, quando, dopo la caduta dell’impero ottomano, la Francia e l’Inghilterra si divisero la tutela dei Paesi del Medio Oriente che i turchi avevano perduto.
        La scelta dei paesi posti sotto il mandato francese cadde sul Libano e la Siria. E il primo settembre 1920 il rappresentante della Francia proclama ufficialmente la costituzione del “Grande Libano”, con Beirut come capitale, definendo così i confini: a nord il fiume Nahr el Kebir, a sud i confini della Palestina e a est la sommità dell’Anti-Libano. Legittimità storica evidente e indiscutibile, perché, come avevano affermato libanisti quali lo storico Jaward Boulos, il Libano «Corrisponde approssimativamente al territorio dell’antica Fenicia classica e del principato di Fakhreddin II» [30].
        Ed è allora che la Siria si è irritata e non ha mai rinunciato alla sua idea: che la Francia dovesse pagare per questo errore. Perché per la Siria il Libano è un errore storico e geografico, come aveva già detto Moshe Arens (decisamente, che ossessione!). In altri termini, il Libano non doveva esistere come paese sovrano, ma doveva far parte della Siria (e perché, en passant, non far parte anche di Israele, a partire dal Litani per esempio?). Così la Siria, non avendo mai riconosciuto la sovranità del Libano, non ha mai voluto stabilire rapporti diplomatici con il Libano e aprirvi un’ambasciata.
       
In Libano la Siria è presente attraverso:
       - il suo esercito, in seguito all’invasione del Libano nel 1976 e alla sua occupazione ufficiale, che durò dal 1990 al 2005, dopo un via libera americano;
       - i suoi servizi segreti, denominati Moukhabarat, a fini di spionaggio, di omicidi e di atti diversi di terrorismo: la stessa presenza e lo stesso compito dei servizi segreti israeliani, il Mossad. L’Unifil dovrebbe del resto stare in guardia contro questi due servizi segreti soprattutto. E non finga di non sapere: nel 1983 Israele e Siria, attraverso i loro rispettivi servizi segreti, Mossad e Mokhabarat, hanno fatto di tutto per liberare la scena libanese da ogni presenza straniera, al fine di avere le mani libere, di eliminare testimoni scomodi e di persistere nell’indebolimento del Libano mediante gli abituali scontri armati, atti terroristici, torture, attentati; dietro copertura di “guerra civile”, naturalmente. Di qui gli attentati contro i paras e i marines, dei quali misteriosamente non si conoscono ancora, in definitiva, i mandanti. Non saranno del resto questi soltanto, gli attentati di cui non si dovrà mai conoscere l’autore. È sempre così, con i servizi segreti di alcuni paesi-canaglia.
       Il padre del sogno di annessione del Libano alla Siria è Hafez Assad, già dai tempi in cui era soltanto il ministro della difesa, ma il secondo uomo forte della Siria. Lo stesso sogno è durato quando egli ne è divenuto il presidente; il “Leone”, come lo chiamavano.
       In che modo annettere il Libano alla Siria?
       - Armando i palestinesi in Libano, allo scopo di destabilizzarlo, indebolirlo e ridurlo a facile preda per soddisfare la sua avidità e i suoi progetti egemonici sul Libano. La Siria, come Israele, non ha mai visto realizzarsi il suo sogno, malgrado i terribili bombardamenti, soprattutto quelli del luglio 1978 e dell’agosto 1989. Fino all’invasione del 13 ottobre 1990.
        Il Libano ha pagato carissimo, sotto il giogo siriano: distruzioni, massacri, arresti ingiustificati, sequestri e sparizioni di persone di cui ancor oggi non si sa nulla.
       Ma la Siria è veramente andata via dal Libano? Da sempre la Siria ha usato tutti gli stratagemmi per restare radicata nella politica libanese, se non per restarvi fisicamente presente grazie ai suoi servizi segreti. Sarà sempre pronta, non importa in quale momento e a quale prezzo, a giocare il ruolo di “tutore” del Libano, per farvi regnare la “stabilità” non appena le sarà dato il via libera americano, come nel 1990. Del resto, durante l’ultima aggressione israeliana di luglio-agosto contro il Libano, Assad figlio non si è forse offerto di “aiutare” Bush ed Olmert a scovare la «rete di Al-Qaida in Libano»?! Nessuno di questi padroni del momento gli ha prestato attenzione, perché sanno bene, loro, che in Libano non esiste nessuna rete di Al-Qaida; e poi la “carta” Bin Laden e Al-Qaida sono loro a farla uscire al momento opportuno. Niente usurpatori, prego!
       I Moukhabarat siriani saranno cacciati definitivamente dal Libano quando finalmente vi governerà un vero uomo politico anti-siriano: retto e integro. Oggi, non è assolutamente il caso. Il governo della “maggioranza” attuale   –fabbricata “provvisoriamente” dalla legge elettorale siriana del 2000, alla quale fittizia “maggioranza” tiene più che alla propria vita–   è troppo legato al passato (sempre presente) della storia contemporanea libanese. Questi “maggioritari” soffrono crudelmente, tra l’altro e da lungo tempo, del prurito cronico della corruzione.

 

 

   

D)  I rifugiati palestinesi

«I rifugiati palestinesi [...] restano al centro
delle nostre preoccupazioni
, così come
alla radice delle nostre sventure».
Fuad Ephrem Bustany [31]

        Prima di tutto, sarebbe ora di parlare chiaro a proposito della situazione dei palestinesi.
        In Israele la loro causa è assolutamente giusta, è da appoggiare e da difendere.
       La loro guerra è assolutamente legittima, contro i loro nemici che occupano la loro terra e li opprimono con barbarie inaudita. I palestinesi hanno diritto a un’esistenza degna e sovrana, hanno diritto anch’essi alla sicurezza e alla pace (tanto care a Israele!), diritto alla restituzione delle loro terre e dei loro beni e ai risarcimenti per tutto ciò di cui hanno tanto ingiustamente sofferto.
       In Libano i rifugiati palestinesi, che vi erano stati accolti fraternamente e generosamente, dopo l’accordo del Cairo del 1969 si trasformarono in aggressori armati, mentre numerosi paesi arabi offrivano la loro collaborazione all’aggressione.
       L’accordo del Cairo, firmato il 13 novembre 1969, ha dunque creato la prima crisi del Libano: l’esistenza di uno Stato straniero armato all’interno dello Stato libanese. Diciassette campi palestinesi sparsi per il Libano, sotto il controllo esclusivo e sovrano dell’Olp (l’Organizzazione per la liberazione della Palestina). Piena libertà di manovra ai fedayin palestinesi riforniti di armi e munizioni di ogni genere attraverso la Siria. Il territorio dell’Arkoub, nel Libano meridionale, ceduto come base militare per operazioni contro Israele.
       Tale accordo del Cairo fu firmato tra:
       - la delegazione libanese (rappresentata dal generale Émile Boustany, all’epoca comandante in capo dell’esercito, in nome del presidente libanese del tempo, Charles Hélou, e con il consenso dei ministri e dei parlamentari libanesi, con la sola eccezione del deputato Raymond Eddé);
       - la delegazione palestinese, rappresentata da Yasser Arafat per l’Olp;
       - e il loro ospite egiziano Abdel Nasser, al quale l’apertura del fronte libanese contro Israele conveniva, per la sua strategia anti-israeliana successiva alla disfatta della guerra dei 6 giorni nel 1967.
       Nessun altro paese -né la Siria, né la Giordania, né l’Egitto (che pure confinano con Israele), in cui i palestinesi avevano trovato rifugio- aveva concesso ai palestinesi la libertà di manovra di cui godevano in Libano. Peggio ancora, tali paesi arabi avevano chiuso le loro frontiere a ogni possibilità d’azione dei palestinesi, costringendo invece il governo libanese, con pressioni diplomatiche e ricatti politici interni, ad agire in maniera opposta alla loro, cioè a permettere ai palestinesi di agire sovranamnete attraverso la frontiera libanese per favorire la vittoria della loro causa.
       Fu allora che in Libano, prima ancora di giungere alle ostilità contro l’esercito libanese nel 1973, poi alla guerra aperta nel 1975, si susseguirono gli «eccessi incresciosi commessi da elementi incontrollati» palestinesi; vale a dire: uccisioni di molte migliaia di libanesi, rapimento di centinaia di libanesi di cui non si è più avuta nessuna notizia (i nostri desaparecidos), regolamenti di conti di diversi regimi arabi sul territorio libanese...
       Hafez Assad, allora ministro della difesa e dell’aviazione, farà del suo meglio per rafforzare in uomini e armi i banditi palestinesi, per raggiungere il suo obiettivo di destabilizzazione e di sovversione. Ben insediati nei loro campi attorno alle principali città libanesi, i palestinesi non tardarono a dimenticare il loro sogno di ritornare presto a casa loro, di riprendere possesso della loro terra, di uscire dalla loro condizione di sradicamento vissuta nella miseria. Forse anche a causa della vicinanza geografica (?!), rifiutarono categoricamente la loro integrazione culturale con il Libano; e i loro campi servirono ormai come basi per operazioni contro di noi, che li ospitavamo, più che contro il nemico ebraico. Nel campo di Berj el Brajneh, nella periferia sud della capitale, erano già state montate, dal 1970, officine per la fabbricazione di munizioni. Le basi di addestramento per diverse migliaia di militari dell’organizzazione Fath (senza contare le altre organizzazioni) erano in numero di dodici. E nel 1973 i fedayin di numerose organizzazioni palestinesi avevano già raggiunto il numero di 19'200! A tutte queste condizioni disastrose, aggiungete lo squilibrio demografico ed economico creato in Libano.
       Jean-Pierre Péroncel-Hugoz (scrittore e giornalista del quotidiano Le Monde per 35 anni, dal 1969 al 2004, in particolare come corrispondente permanente in Medio Oriente) nella prefazione al volume di Moussa. A., «Non sono più un Fratello musulmano. Confessione di un ex-terrorista», dirà: «Una coalizione superarmata, comandata dai palestinesi di Yasser Arafat, [...] stranieri ed equipaggiati dall’Unione Sovietica, dalla Siria e da altri Stati interessati alla scomparsa pura e semplice dello spazio di relativa libertà e tolleranza [...] che era il Monte Libano [...]. Una volta nel fuoco estremamente violento di questa falsa guerra civile, di questo realissimo conflitto libano-palestinese», si comprende «ciò che accadeva nelle file “islamo-progressiste” che stavano distruggendo il Libano [...]. Horresco referens, musulmani e non vivevano allora in Libano, in questo insopportabile Libano, su un piano di uguaglianza!» [32].
       In questo volume l’autore, Moussa. A., riportando avvenimenti politici e storici vissuti in prima persona, descrive dunque la sua vita e la sua iniziazione tra i Fratelli musulmani, l’armamento dell’Olp e le sue connivenze con politici libanesi, i metodi utilizzati dall’Olp per creare una guerra civile in Libano, le modalità organizzative delle devastazioni e dei massacri contro pacifici villaggi contadini libanesi, le mutilazioni, gli stupri, i rapimenti, i metodi di tortura usati. Nella Prefazione di Péroncel-Hugoz e nella nota editoriale introduttiva si precisa tra l’altro che l’uso dello «stupro come arma politica» era stato confermato dai resoconti e dagli ordini di missione ritrovati nei campi palestinesi del Libano meridionale, tra le carte che i capi dell’Olp non avevano avuto il tempo di distruggere prima della chiusura di questi campi nel 1982.
       Georges Habache, capo del Fplp (Fronte popolare per la liberazione della Palestina), dichiarò un giorno: «Noi siamo un’organizzazione marxista-leninista che non considera la liberazione della Palestina il suo ultimo obiettivo. Abbiamo creato dei supporti organici tra i Palestinesi e i rivoluzionari di tutto il mondo. Siamo gli alleati del movimento progressista mondiale» [33]. Così i campi palestinesi e la causa palestinese servirono, in seguito, al reclutamento di ogni genere di professionisti della sovversione, dell’omicidio, della distruzione, subordinando ai loro obiettivi machiavellici la vita e la morte dell’intero Libano.
       
E tutto annuncia l’imminente eruzione del vulcano: l’accordo del Cairo fornisce a Tel Aviv il pretesto (ancora e sempre!) per operazioni militari e rappresaglie israeliane sul territorio libanese.
       I capi di diverse organizzazioni palestinesi, dopo aver superato tutti i limiti del crimine, montarono gli scenari dei futuri eventi in Libano.
       All’inizio di aprile 1973, un gruppo di commando israeliani, diretto da Ehud Barak (travestito da donna!) assassinò tre importanti dirigenti palestinesi dell’organizzazione «Settembre nero», un ramo dell’organizzazione palestinese Fath). «Settembre nero» aveva ucciso precedentemente, il 2 marzo 1973, a Khartoum, l’ambasciatore americano insieme al suo primo consigliere, e il consigliere dell’ambasciata del Belgio; e aveva preso in ostaggio gli ambasciatori sauditi e giordani (senza dimenticare che ancora prima, nel 1972, «Settembre nero» era stato anche responsabile dell’assassinio di undici atleti israeliani ai giochi olimpici di Monaco).
       E in cosa il Libano poteva essere colpevole o implicato? Ebbene, siccome l’operazione israeliana ha avuto luogo in territorio libanese (a Beirut, in via Verdun), Toufic Safadi, allora uno dei responsabili dell’Olp, dichiara l’11 aprile 1973 davanti a tremila manifestanti a Beirut: «Vista la carenza della difesa libanese, la Resistenza palestinese si trova nell’obbligo di difendersi da sola con tutti i mezzi di cui può disporre [...]» [34]. La sovranità del Libano, dunque, secondo i palestinesi, avrebbe dovuto ormai essere subordinata alla loro “sovranità” di stranieri!
       
L’esercito libanese diventava dunque colpevole, ai loro occhi, e questa situazione procurava ai palestinesi -stranieri e armati sulla nostra terra, forti della loro arroganza e della loro provocazione-  l’alibi auspicato per «difendersi» da soli.
       Ma contro chi? Contro Israele? No, contro il Libano!
       Si ebbero distribuzioni di volantini che attaccavano l’esercito libanese.
       L’atmosfera si faceva progressivamente sempre più tesa.
       L’esplosione fu allora inevitabile.
       Si cominciò con piccoli scontri armati provocati dai fedayin contro l’esercito libanese. Ma in seguito all’arresto all’aeroporto di Beirut, il 27 aprile 1973, di tre palestinesi che trasportavano armi dirette a Nizza, e all’arresto il 30 aprile di altri quattro palestinesi in possesso di cariche esplosive nelle vicinanze dell’ambasciata degli Stati Uniti, i palestinesi rapiscono due soldati dell’esercito libanese, la cui risposta arrivò finalmente il 2 maggio. Gli scontri durarono dieci giorni e terminarono disgraziatamente con un nulla di fatto, poiché l’esercito libanese, che allora vinceva contro i palestinesi, ricevette l’ordine dal presidente Sleiman Frangié di cessare i combattimenti. «Si viene a sapere oggi che gli Stati Uniti fecero pressione sul Libano [...]. Si comprende, inoltre, che il governo americano rifiuta la risposta del Libano, per cui il Libano non poteva imporre alle attività dei fedayin restrizioni più ferme» [35].
       L’ordine presidenziale di fermare lo scontro rappresentò evidentemente una vigliaccheria e un tradimento. Il proseguimento della giusta battaglia dell’esercito libanese ci avrebbe risparmiato la successiva guerra, scoppiata il 13 aprile 1975.
       Questi fatti del 1973 furono quindi per i palestinesi un test e una preparazione alla guerra vera e propria del 1975. Guerra che sarà scatenata dagli stessi palestinesi nel quartiere di Aïn el-Remmaneh, a Beirut. Guerra che durò quindici anni, poiché, grazie all’aggressione palestinese, i libanesi ebbero diritto anche agli attacchi siriani, israeliani e in un certo modo anche iraniani, attraverso i loro pasdaran venuti per «cacciare i nemici israeliani».
       
Tutte le guerre mediorientali dell’epoca avevano dunque la loro vittima ideale, poiché la scelta era caduta sul Libano «debole» (come diceva Ben Gurion), che è servito loro da cavia. Tutti gli scontri intestini di ogni regime, sia arabo sia israeliano, vanno a scatenarsi in Libano, a spese esclusive dei libanesi.
       
I palestinesi rifugiati in Libano, e soprattutto i loro capi, hanno cominciato oggi a capire la gravità dei loro crimini contro il Libano e il suicidio politico che tali crimini hanno rappresentato in Libano per la loro causa? E che non siano tentati di prestarvisi ancora una volta! Il Libano ha memorizzato bene la “lezione palestinese” e il dovere della giusta risposta libanese.

        Prima della risoluzione 1701 (che tanto ferocemente si tiene che dai libanesi sia rispettata, ma che Israele, dal 14 agosto, non smette di violare ogni giorno, rosicchiando, con la sua abituale sfrontatezza, parcelle del nostro territorio, uccidendo e sequestrando libanesi sul nostro territorio, violando ogni giorno lo spazio aereo libanese; e tutto questo sotto gli occhi dei caschi blu, dell’Unifil e di tutti gli ipocriti del “mondo libero”, poiché Israele d’altra parte ha già ignorato, dall’inizio della sua esistenza, circa settanta risoluzioni dell’Onu e la convenzione di Ginevra sui crimini di guerra, senza mai subire alcuna sanzione), c’è la risoluzione 1559, e non ancora interamente rispettata.
        Questa risoluzione 1559 esige anche il disarmo dei palestinesi. E chi oggi sulla scena politica libanese lo chiede, a parte il generale Aoun? Né la fittizia “maggioranza”, né gli alti notabili ecclesiastici, né stranamente quei diplomatici stranieri che in realtà parlano in nome dei nostri aggressori e che ci predicano la necessità e l’urgenza per l’Unifil di disarmare l’Hezbollah; cosa che la risoluzione 1701 non prevede affatto, affidando unicamente al governo libanese il compito di estendere la sua autorità sull’intero territorio e disarmare alla fine l’Hezbollah, quando e secondo le modalità che il governo libanese deciderà sovranamente.
       Ma nessuno apre bocca sul disarmo dei palestinesi, stranieri e armati sulla nostra terra, di cui la risoluzione 1559 esige chiaramente il disarmo. Cosa che non ha mai avuto luogo.
       Che si sta aspettando? Si vogliono forse tenere di riserva i palestinesi armati, per riprendere un giorno la guerra che favorirebbe i piani di Israele per l’esplosione e il frazionamento del Libano?

 

 

   

2. Per quale miracolo
esiste ancora un paese chiamato Libano?

 

        Descrivere i quattro nemici del Libano -Israele, gli Stati Uniti, la Siria e i rifugiati palestinesi- era un dovere (anche perché non si dica più che la guerra del Libano è stata una «guerra civile»). Tutti e quattro sono estremamente pericolosi e sono ancora decisi a farci pagare caro il non aver loro permesso la realizzazione dei loro piani.
        Ogni volta che si esamina la spiegazione del calvario libanese, la prima reazione dei comuni mortali è: «Questa terra tanto turbolenta! È veramente difficile capirci qualcosa!».
       
Eppure, immaginate Davide contro quattro Golia.
       Aggiungete ai palestinesi, ai siriani, agli americani e agli israeliani la casta vile e bassa di numerosi politici libanesi, che stanno dietro le quinte del potere o al governo da più di trent’anni, spesso da padri in figli e da figli in nipoti, corrosi dalla cancrena dalla corruzione e dal tradimento: ieri maggiordomi della Siria, oggi maggiordomi degli Stati Uniti e di Israele [36], e domani, se la Siria ritornasse rumorosamente sulla scena libanese (su mandato usraeliano, come sempre!), questi stessi maggiordomi si toglieranno la livrea americana per infilarsi di nuovo quella siriana, ripescata da un angolo dei loro armadi. Sono loro che hanno permesso di fare del Libano un terreno di manipolazioni sovversive e di sperimentazioni di ogni perversità, oggetto delle cupidigie e delle tentazioni criminali dei rifugiati palestinesi, dei siriani, degli israeliani e degli americani (e anche dei sovietici, negli anni ’70). Sono loro che hanno firmato la condanna del Libano alla guerra del 1975, firmando l’accordo del Cairo nel 1969. Sono loro che ancora oggi, schiavi della politica usa-israeliana, o usraeliana, osano starsene ai loro posti nel governo libanese invece che dimettersi, mentre è apparso chiaro al mondo intero, e soprattutto ai libanesi, che l’aggressione contro il Libano di luglio-agosto 2006 è stata pianificata e voluta negli Stati Uniti, e concordata -come ha scritto Uri Avnery il 15 luglio scorso- con membri dell’ufficialità “maggioritaria” libanese [37].
       Il 23 agosto 2006 Uri Avnery ci informava ancora: «I commentatori israeliani ci avevano dato l’illusione che tale esercito [quello libanese] sarebbe stato a disposizione degli amici di Israele e degli Stati Uniti a Beirut, più precisamente Fouad Siniora, Saad Hariri e Walid Joumblatt» [38].
       Grazie, Uri Avnery, delle sue precisazioni, ma mi permetta d’aggiungere alla sua lista i prelati, soprattutto maroniti, che continuano a giocare ai Ponzio Pilato. «Ma di tutti i cedimenti, il più doloroso è il tradimento del clero», diceva lo storico Fouad Ephrem Boustany [39].
       I personaggi cambiano (ma non sempre, purtroppo!, poiché nella fittizia “maggioranza” governativa attuale si trovano figli -anche “spirituali”- e nipoti di quei padri che hanno condannato il Libano al calvario), ma la loro politica è sempre la stessa. Crudelmente immutabile.
       Infine, ciliegia sulla torta, aggiungete a tutto questo l’arma e la potente leva di cui si servono i «principi di questo mondo», le grandi potenze che si disputano l’egemonia sul “Nuovo Ordine Mondiale”: la disinformazione, cioè la menzogna diffusa con cura, e instancabilmente, per accecare e abbrutire coloro che essi destinano alla schiavitù futura, sotto la loro dominazione totalitaria.
       Ed eccoci ai miracoli libanesi!
       Non abbiamo bisogno di vedere, noi, per credere.
       Non è già un grande miracolo, per questo piccolo paese, il Libano, che continui a esistere, a resistere e a rialzarsi, malgrado la potenza e l’accanimento dei suoi nemici?
       Per aggressioni ben minori di quelle vissute dal Libano, alcuni paesi sono stati eliminati dalla carta geografica.

        Troppi nemici hanno mirato alla vita del Libano.
        E ogni volta, per miracolo, le tenebre sono state respinte.
        Tutte le operazioni di Israele contro il Libano sono state votate alla sconfitta. Come per una «maledizione» [40] o un «maleficio» [41], secondo i nostri superstiziosi aggressori.
       Va da sé che a difendere il nostro Libano aggredito c’era e c’è infinitamente di meglio e infinitamente di più.
        C’era e c’è la preghiera e l’amore di tutto il nostro popolo, la battaglia indomabile dei nostri fratelli sciiti, la muraglia di sangue di tutte le nostre vittime innocenti, l’aiuto celeste dei nostri morti, la guardia temibile dei nostri santi, e, più in alto, la sovrana protezione della Vergine e il rifugio divino della croce del Salvatore.
       Erano e sono per noi -i libanesi aggrediti- le «benedizioni del cielo» e i «miracoli libanesi», da sempre.

 

Jacqueline Amidi
jacqueline.amidi@gmail.com

Originale francese:
Jacqueline Amidi, Les miracles libanais, in www.effedieffe.com,
21-9-2006:
www.effedieffe.com/interventizeta.php?id=1440&parametro=esteri
Traduzione italiana di Filippo Fatiga per www.effedieffe.com.

 

 

   

Note

       [1] Uri Avnery, Junkies of war [Drogati di guerra], in Gush Shalom, agosto 5, 2006:
http://zope.gush-shalom.org/home/en/channels/avnery/1154819859
e www.informationclearinghouse.info/article14395.htm.
Traduzione francese: Uri Avnery, Drogués de guerre, in France-Palestine Solidarité, 7 agosto 2006:
www.france-palestine.org/article4364.html.

       [2] Jean Robin, La judéomanie. Elle nuit aux juifs. Elle nuit à la République, Ed. Tatamis, 2006, pp. 341. Cfr. anche: Jean Robin, La judéomanie a créé une distinction entre les citoyens français, Intervista, in Observatoire du communitarisme, lunedi 28 agosto 2006:
www.communautarisme.net/Jean-Robin-La-judeomanie-a-cree-une-distinction-entre-les-citoyens-
francais-_a808.html
.

       [3] Ilan Pappe, Israeli debacle, in Zmag.org, 23 agosto, 2006:
www.zmag.org/content/showarticle.cfm?ItemID=10812.

       [4] Uri Avnery, Knife in the back. War of the generals, in CounterPunch, 3 agosto 2006:

www.counterpunch.org/avnery08032006.html, & in Gush Shalom, 4 agosto 2006 (in ebraico e in inglese). Traduzione francese: Uri Avnery, Le poignard dans le dos, in France-Palestine Solidarité, sabato 5 agosto 2006: www.france-palestine.org/article4354.html.

       [5] Gilles Munier, Le Hezbollah, rempart contre Israël. La bataille du Litani, in GMunier.blogspot, 8-8-2006:
http://gmunier.blogspot.com/2006/08/le-hezbollah-rempart-contre-israel-la.html
.

       [6] Alla fine della guerra, Hezbollah beneficia di un vasto sostegno da parte della popolazione libanese. «Nello stesso Libano, l’87 % della popolazione ora sostiene la resistenza di Hezbollah, compreso l’80 % dei cristiani e dei drusi e l’89% dei musulmani sunniti, mentre soltanto l’8% crede che gli Stati Uniti sostengano il Libano», in Déclaration de solidarité avec les peuples du Liban et de la Palestine, 12-8-2006. Dichiarazione sottoscritta tra gli altri da Noam Chomsky, John Berger, Eduardo Galeano, Ken Loach, Arundhati Roy, Tariq Ali, Howard Zinn:
www.voltairenet.org/article142962.html#article142962.
       Alla domanda: «L’Unifil sarà in grado di proteggere la sovranità libanese contro le violazioni israeliane?», nel sondaggio promosso dalla rivista libanese Magazine (www.magazine.com.lb) del 15 settembre 2006, la risposta, il 16 settembre, era «No» per il 53%, dato che dal primo giorno di tregua Israele continua le violazioni: il loro numero supera le cento violazioni, solo nei primi trenta giorni di “tregua”.
       [7] Norman Finkelstein, First the Carrot. Then the Stick: behind the carnage in Palestine, in Haaretz, 25-1-2002 & 1-2-2002.

       [8] Cfr. i passaggi relativi al progetto sionista per il Medio Oriente, esposto da Oded Yinon, in Jacqueline Amidi, Une guerre est finie? Passons à l’autre!, in www.effedieffe.com, 26-8-2006:
www.effedieffe.com/interventizeta.php?id=1393&parametro=esteri.

       [9] Christian Chesnot, La bataille de l’eau au Proche Orient, L’Harmattan, Parigi, 1993, pp. 105-106.

       [10] Citato nel «Rapport stratégique arabe», pubblicato dal «Centre d’études politiques et stratégiques» del giornale Al-Ahram, Il Cairo, 1989 (in arabo).

       [11] Problèmes économiques et sociaux, in La Documentation Française, 7-21 ottobre 1983.

       [12] Moshe Sharett, Journal, Ed. Maariv, Tel Aviv, 1978, citato in Le Monde diplomatique, n° 342, settembre 1982.

       [13] Gilles Munier, Le Hezbollah, rempart contre Israël, cit.

       [14] Yossef Weitz, Journal, Tel Aviv, 1965.

       [15] Stefano Chiarini, Liban: Cette “bande” que veut Israël Libano [Questa “striscia” che Israele vuole], in Le grand soir, 22-7-2006: www.legrandsoir.info/article.php3?id_article=3898.
Cfr. l’articolo originale in Il manifesto, 19-7-2006.

       [16] «Uncle Sam is writing a script for a horrifying western of the good guys against the bad guys, to death»: Gideon Samet, In Uncle Sam’s Cabin, in Ha’aretz, 2 febbraio 2002. Citato in David Hirst,Senza pace. Un secolo di conflitti in Medio Oriente [titolo originale «The gun and the olive branch. The roots of violence in the Middle East», Nation Books, 2003], Nuovi Mondi Media, San Lazzaro di Savena - Bo, 2004, p. 94.
       Cfr. inoltre Stephen Zunes, The swing to the right in U.S. policy toward Israel and Palestine, in Middle East Policy Council, volume IX, settembre 2002, numero 3:
http://www.mepc.org/journal_vol9/0209_zunes.asp.

       [17] Tom Barry, Une diplomatie de gangsters. Eliot Abrams chasse les monstres au Proche-Orient, in Questions critiques, 23 agosto 2006:
http://questionscritiques.free.fr/empire_americain/neocons/Elliott_Abrams/lobby_israelo_americain_
proche_orient_230806.htm
.

       [18] Tom Barry, articolo citato. Tom Barry precisa: «Abrams, che dichiara orgogliosamente di essere “neoconservatore e neo-reaganiano”, è il genero di Norman Podhoretz e di Midge Decter, una coppia di militanti che hanno svolto un ruolo essenziale, negli anni ‘70, per insediare il neoconservatorismo come influente tendenza politica. [...] Quando non era al servizio del governo, Abrams era affiliato alle istituzioni e ai gruppi di pressione neoconservatori [...]. In quanto reaganiano, Abrams ha prestato servizio al Dipartimento di Stato durante il primo mandato del Presidente Reagan. Vi fu Segretario di Stato delegato ai diritti dell’uomo, poi Segretario delegato agli affari inter-americani. In qualità di diplomatico del Dipartimento di Stato, Abrams ha contribuito a coordinare il sostegno illegale del suo governo ai Contras del Nicaragua, riconosciuti dai reaganiani come “combattenti della libertà”. Ha anche lavorato con il tenente colonnello Oliver North per mettere a punto un’organizzazione triangolare di vendita di armi all’Iran attraverso Israele, i cui introiti erano avviati ai contras del Nicaragua – un’ operazione illegale di cui ha sempre negato d’esserne a conoscenza, a torto, al tempo dell’audizione parlamentare seguita alla sua condanna [per la vicenda Iran-Contras]».

       [19] Tom Barry, art. citato.

       [20] Emmanuel Ratier, Portrait. Léo Strauss, in Faits et documents, n° 169, 1-15 marzo 2004, pp. 1-2. Cfr. anche le pp. 6-7 e 9.

       [21] Jürgen Elsässer, La Cia a recruté et formé les djihadistes, Intervista a cura di Silvia Cattori, in Volteirenet, 15 giugno 2006:
www.voltairenet.org/article139861.html?var_recherche=Silvia+Cattori+?var_recherche=
Silvia%20Cattori
.
       L’intervista discute tra l’altro le questioni sollevate dall’ultimo libro di Jürgen Elsässer, Comment le Djihad est arrivé en Europe, Prefazione di Jean-Pierre Chevènement, Ed. Xenia (Svizzera), 2006, pp. 304: www.amazon.fr/exec/obidos/ASIN/2888920042/qid=1149522318/sr=8-1/ref=
sr_8_xs_ap_i1_xgl/403- 4260395-4442061
.

       [22] IsraelShahak, The zionist plan for the Middle East, in Alabasters archives:
www.geocities.com/alabasters_archive/zionist_plan.html .

       [23] Maurizio Blondet, Chi comanda in America?, EffediEffe, Milano, 2004, p. 42.

       [24] Pierre Galand, Une guerre criminelle en Palestine et au Liban, in Association Belgo-Palestinienne, 20-7-2006: www.association-belgo-palestinienne.be, e in & in Csotan - Comité de Surveillance Otan, 20-7-2006: www.csotan.org/textes/texte.php?art_id=305&type=articles.

       [25] Michel Warschawski, La pace ha perso. Vi spiego perché, Intervista a cura di Geraldina Colotti, in Il manifesto, 15-8-2006.

       [26] Traduzione italiana: David Hirst, Senza pace. Un secolo di conflitti in Medio Oriente, cit. (cfr. qui la nota 16).

       [27] Michel Sabbah, Swerios Malki Mourad, Riah Abu El-Assal et Munib Younan, The Jerusalem declaration on christian zionism. Statement by the Patriarch and local Heads of Churches in Jerusalem [Dichiarazione di Gerusalemme sul sionismo cristiano. Comunicato del Patriarca e dei Capi locali delle Chiese di Gerusalemme], in The Episcopal Diocese of Jerusalem, 22 agosto 2006: www.j-diocese.com/DiocesanNews/view.asp?selected=238.
       Traduzione francese di Marcel Charbonnier e revisione di Fausto Giudice in Tlaxcala, 25-8-2006:
www.tlaxcala.es/pp.asp?reference=1115&lg=fr.

       [28] Jacqueline Amidi, Mise au point historique et géographique au gouvernement américain, in Revue du Liban, n° 1564, 25 novembre / 2 dicembre 1989.

       [29] Dichiarazione fatta a un giornalista di Rai1 in agosto 1989, mentre da parte della Siria durava l’intenso bombardamento della popolazione libanese.

       [30] Jawad Boulos, Les peuples et les civilisations du Proche-Orient, Dar Awad, Beirut, 1987, tomo V, p. 269.

       [31] Fouad Ephrem Boustany, Le problème du Liban, Ed. Ad-da’Irah, Beirut, 1985, p. 42.

       [32] Moussa A., Je ne suis plus Frère musulman. Confession d’un ancien terroriste, Prefazione di Jean-Pierre Péroncel-Hugoz, Ed. François-Xavier de Guibert, Parigi, 2005, p. 6. L’autore – che scrive sotto lo pseudonimo di “Moussa A.” (nascondendosi oggi da qualche parte per paura di essere assassinato dai suoi ex- confratelli, dai quali si è separato) – è un Fratello musulmano egiziano, arruolato nelle milizie palestinesi fin dall’inizio della loro aggressione omicida contro il Libano, per schiacciare «i combattenti libanesi [...] che lottano a uno contro dieci», come ricorda ancora Péroncel-Hugoz nella sua Prefazione, che denuncia «la stampa occidentale ingannata o complice».

       [33] Édouard Sablier, Le fil rouge, Plon, Parigi, 1983.

       [34] Al-Hayat, 12 aprile 1973.

       [35] An-Nahar, 15 aprile 1973.

       [36] Lo scrittore e giornalista israeliano Joseph Halevi – nella sua lettera di rettifica, intitolata «A proposito dell’articolo sul Libano che porta la mia firma sul Manifesto del 5 settembre 2006» e motivata dalle modifiche non condivise introdotte nel capoverso finale del suo articolo – constata che il governo attuale in Libano è un «governo filo Usa-Israele». Nell’articolo in questione, nella parte del suo testo che non è stata in nessun modo oggetto di rettifiche, Joseph Halevi osserva, sulla riunione di Roma del 26 agosto 2006 (alla quale partecipava anche il primo ministro libanese Siniora):
«Analogamente la riunione di Roma del 26 non è stata un fallimento. È stata invece un’autorizzazione ad andare avanti nei bombardamenti contro le popolazioni civili del Libano. D’Alema può negarlo quanto vuole, ma per almeno una settimana ministri israeliani andavano ripetendo alla radio che la riunione di Roma avevo dato «or iarok» (luce verde) per continuare. L’impatto in tal senso della riunione di Roma è stato talmente importante da essere ripetuto dalla Bbc, la quale mandava in onda anche le dichiarazioni in ebraico dei ministri israeliani» (Joseph Halevi, Israele e il “rischio” della tregua, in Il manifesto, 5-9-2006).

       [37] Cfr. a questo riguardo il mio articolo Liban-Israël. L’heure de la vérité, in effedieffe.com, 29-7-2006: www.effedieffe.com/interventizeta.php?id=1324&parametro=esteri.

       [38] Uri Avnery, Libano, il nome giusto è guerra delle colonie, in Il manifesto, 23 agosto 2006.
       A proposito di Joumblatt: la deputata israeliana del partito laburista Colette Avital ha rivelato di aver incontrato in Francia il deputato Walid Joumblatt nell’ agosto 2006, all’indomani dell’aggressione israeliana contro il Libano. Per parte sua, di fronte a giornalisti francesi e israeliani, Joumblatt non ha negato tale incontro, cfr. Tayyar, 29 agosto 2006:
www.tayyar.org/tayyar/articles.php?article_id=17549&type=news.
       Neppure una sola reazione di indignazione (o qualche lacrima!), da parte di Siniora.

       [39] Fouad Ephrem Boustany, op. cit., p. 32.

       [40] Secondo i nostri vicini israeliani, abitualmente superstiziosi, le sconfitte di Israele durante la sua ultima aggressione contro il Libano sarebbero state causate da una sorta di autentica «maledizione libanese»: come un misterioso e inviolabile «decreto di sventura e disfatta», che perseguiterebbe i violatori e aggressori della nostra terra, la loro arroganza e le loro temerarie «scommesse belliciste». È l’opinione israeliana riguardante un’atavica «maledizione libanese», alla quale fa riferimento Christian Merville: «Giano dai due volti civile e militare – spesso facendone uno soltanto, di questi due – questa società nata nella violenza e da essa nutrita non saprebbe rimanere all’infinito lacerata tra queste due alternative. Né ostinarsi in scommesse belliciste estremamente rischiose, come ha appena dimostrato l’ultima manifestazione della maledizione libanese» (Christian Merville,Dommages collatéraux, in L’Orient - Le Jour, 15-9-2006).

       [41] Più ancora, le divisioni aspre e accanite che lacerano attualmente Israele sarebbero dovute anch’esse, secondo questa opinione superstiziosa, a una specie di autentico e permanente «maleficio del Libano». Vi fa riferimento, divertito, il Segretariato del Blocco parlamentare del Cambiamento e della riforma (il blocco parlamentare del generale Michel Aoun): tali divisioni sarebbero nate «da quello che essi chiamano il “maleficio del Libano”, che li perseguita»: cfr. Tayyar, 14-9-2006: www.tayyar.org/tayyar/articles.php?article_id=18355&type=news.

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