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Preghiera islamica durante la S. Messa
SCOPPIA IL BUBBONE DON STINGHI

di Dante Pastorelli

       E un bubbone, comumque esso si chiami, Stinghi o Santoro..., va estirpato SUBITO!!!

Grassetti, colori, parentesi quadre, sottolineature, corsivi
e quanto scritto nello spazio giallo sono generalmente della Redazione

       Che il bubbone dovesse prima o poi scoppiare era nell’ordine delle cose. Non era occultato, bensì in bella mostra, eppure mai è stato preso nella debita considerazione da chi di competenza: ma proviamo a cercar di capirne insieme le ragioni. Meglio ancora capiremmo, tutti, se ci fossero fornite spiegazioni di prima mano, perché, i cattolici non amano correr dietro ai “si dice”: tuttavia avvertono l’esigenza di asserire che i preti dai facili dialoghi e incontri interreligiosi, andrebbero seguiti con attenzione, mentre invece fanno e disfanno a loro piacimento, sicuri dell’impunità.
       Don Giacomo Stinghi è sempre stato un fiore all’occhiello della Curia fiorentina, la quale, davanti alla più che meritoria opera di recupero dei drogati cui da anni si dedica, ha forse chiuso un occhio. Perché appare assai strano che in quelle stanze non sia mai giunta neppure l’eco di una qualche lamentela dei suoi fedeli. Non foss’altro che per il suo carattere troppo spigoloso, burbero ed anche scorretto sino alla violenza verbale, come io personalmente l’ho conosciuto. (A)
       Io, comunque, sull’avviso l’avevo messa, la Curia. (B)  Le mie osservazioni nascevano da un’esperienza diretta, ma che ci fosse malcontento in quella parrocchia non era un mistero tra i comuni mortali: qualcosa m’era giunt’all’orecchio, ma io non fo il detective, né vo a curiosar nelle chiese per accertarmi degli atteggiamenti dei preti.  (C)   Tant'è che un giovane ironicamente si chiede se l’ “ayatollah” Stinghi, che si vocifera non andrà quest’anno a benedir case e famiglie per Pasqua (D), passerà poi a riscuoter la tassa che i cristiani devon pagare alle autorità islamiche per poter continuare a restar cristiani…

 

 

       Così, non essendo nato ieri e neppure l’altro ieri, e fiutata l’aria che spirava alla Madonna della Tosse, nessun moto di sorpresa m’ha colto, quando l’ottimo giornalista Fabio Scaffardi, su Il Giornale della Toscana di sabato 25 febbraio u.s., ha “sparato” la notizia che era stata aperta un’inchiesta dalla Sacra Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti dopo che alcuni fedeli, giustamente scandalizzati, avevan denunciato la recita di una preghiera musulmana, che è poi divenuta sulla bocca della gente “una preghiera a Maometto”, durante la S. Messa. Quei fedeli hanno ottemperato ad un preciso diritto-dovere, sempre riconosciuto dalla Chiesa e recentemente ribadito dalla Redemptionis Sacramentum. Non sappiamo se tali fedeli abbiano dapprima rappresentato la circostanza all’autorità diocesana (E), amenoché, e non me lo auguro, essi non abbian vissuto precedenti esperienze negative ed abbiano, pertanto, deciso di rivolgersi direttamente a Roma.

 

 

       Indubbiamente don Giacomo Stinghi, che si dichiara grande ammiratore del defunto deleterio p. Ernesto Balducci, ama la creatività nella Messa, per nulla preoccupato del “gradimento” e del turbamento o disorientamento del suo gregge e delle “fughe” delle pecorelle più consapevoli, che anzi incoraggia, e lo ha ribadito a Scaffardi (Il Giornale della Toscana del 4 marzo 2006): “Io sono a favore della sperimentazione liturgica che serve a rendere più viva la Messa. Chi non la pensa come me può sempre andare da qualche altra parte. Anche i parroci, come tanti vescovi, diventano satrapi, per una falsa concezione del loro ministero che sentono come “potere” mentre è solo servizio. (F)

 

 

       Ripropongo l’iniziale domanda: è possibile che la Curia fiorentina, al di là della mia segnalazione, mai sia stata posta in allarme e mai abbia avuto il menomo sospetto sulle modalità dell’esercizio del ministero sacerdotale presso la chiesa della Madonna della Tosse? Può accadere. Sappiamo tutti che i nostri vescovi son molto impegnati, tanto da esser costretti a delegar ai parroci l’amministrazione della S.Cresima (v’è a disposizione nei dintorni, però, anche un cardinale efficientissimo, ma “in pensione”, S. Em.za S. Piovanelli) e non ci è difficile comprendere che a loro molti fatti possano sfuggire o venir presentati in maniera distorta e comunque tale da indurli a considerarli non credibili e perciò non degni di attenta considerazione. Ma ora non possono trincerarsi dietro una presunta o reale ignoranza e ben farebbero a punire esemplarmente l’ “originale” parroco con la destituzione, perché non si può lasciare una consistente fetta di popolo di Dio sotto la guida d’un simile pastore. Tanto più che lo Stinghi non è affatto pentito, ma va avanti sprezzantemente per la sua strada, incurante in sommo grado delle reazioni: domenica 26 febbraio u.s., infatti, sempre sullo stesso organo di stampa, dichiara a gran voce: Sui libretti liturgici che ho stampato venerdì per le Messe di oggi e domani, ho riproposto la stessa preghiera finale che abbiamo recitato sabato e domenica scorsi, aggiungendo alla parola ‘Profeta’ il nome di Maometto, per spiegare meglio a chi ci stiamo riferendo. E si dice stupito di tanto clamore perché la preghiera non l’ha inventata lui, avendola egli tratta da un volume del padre Giovanni Vannucci, servita fiorentino, edito dalla LEF nel 1978, dedicato alle preghiere di tutte le religioni. Aver compagni al duol scema la pena? (1) La giustificazione è puerile, il classico dito dietro a cui è vano tentar di nascondersi, amenoché non voglia suggerire che, in fondo, quel libro fu approvato dall’autorità competente e pertanto le preghiere delle varie religioni, pagane comprese, possono benissimo essere introdotte nella S. Messa. Come se a ciascun sacerdote sia stata concessa la facoltà d’integrare il sacro rito saccheggiando florilegi di orazioni! Ma già, siamo in periodo di interreligiosi incontri di preghiera: ed appartiene ad un passato non remoto (di rumorosi casi più recenti non ho notizia) l’amministrazione di qualche sacramento di molto dubbia validità perché conferito con l’orante partecipazione di buddisti, induisti, ebrei, musulmani ecc.  (G)

  In aperta sfida non solo ai parrocchiani in fermento, ma anche e soprattutto all’Autorità ecclesiastica fiorentina e alla Congregazione per il Culto Divino, un indegno sacerdote compone e recita “una preghiera a Maometto”, durante la S. Messa! I vescovi non possono trincerarsi dietro una presunta o reale ignoranza e ben farebbero a punire esemplarmente l’ “originale” parroco con la destituzione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(1) O meglio: aver compagni scema la colpa?

       L’allora arcivescovo di Firenze, card. S. Piovanelli non ci risulta abbia assunto alcun provvedimento contro i responsabili di così atroci lacerazioni inflitte al Corpo Mistico (2)
       Ed eccoci alla preghiera incriminata: “Signore, infondi in noi la fermezza dei credenti musulmani nel confessare le proprie idee (3) davanti al mondo senza curarsi della derisione e del disprezzo degli altri. Insegnaci che la vera guerra, come disse il Profeta, è quella che si fa a se stessi, nell’intimo e senza odio né spargimento di sangue(4). La seconda redazione della preghiera, aggiunge a ProfetaMaometto” e prosegue dopo sangue: Con quei credenti diciamo: la nostra fiducia sia sempre nel Signore dei viventi, nel Re dei viventi. Nel Dio dei viventi. Ci liberi dalle seduzioni delle forze delle tenebre. Amen”.
       Sia l’aggiornamento-ampliamento della preghiera che la sfrontata e pubblicizzata recidiva suonano indiscutibilmente un’aperta sfida non solo ai parrocchiani in fermento, ma anche e soprattutto all’Autorità ecclesiastica fiorentina e alla Congregazione per il Culto Divino.
      
Ora, ragionando pacatamente, senza stare a segnalar le tante pagine delle Scritture, dei Martiri e dei Santi Padri che avrebbero potuto esser lette più appropriatamente in quel tempio, se don Stinghi si fosse limitato, nell’omelia, ad invitare i fedeli a prendere esempio dagli islamici per testimoniar con coraggio e senza timor di derisione e morte, la propria fede cattolica, l’unica vera e santa religione, non ci sarebbe stato motivo di scandalo: una sferzata ai tiepidi. E, comunque, anche in tal caso, l’esortazione avrebbe preteso chiarezza, spiegazioni e distinzioni. Ché portare ad esempio di sentimenti di pace e amore l’islamismo è non solo azzardato, ma ben di più, una clamorosa negazione della verità storica, passata, recente ed attuale: una tragedia continua,un autentico e secolare genocidio dei cristiani. Ma non esigiamo da don Stinghi una cultura che mai ha avuto.
      
La preghiera musulmana, nelle sue due redazioni, in cui Maometto viene insignito, significativamente quanto arbitrariamente per chi si professi cattolico, del titolo di “Profeta” (H)  –ruolo che il sullodato parroco “sperimentalista” sembra riconoscergli benché per la Chiesa l’ultimo Profeta sia Giovanni Battista–  è stata, invece, inserita nel contesto della Messa, sia pure al termine d’essa, prima della benedizione finale, e della Messa, cioè del Sacrificio di Cristo rinnovato sacramentalmente sull’altare, è stata resa parte integrante. Siamo alla profanazione, ad un vero e proprio sacrilegio: queste sono le conseguenze del Novus Ordo che lascia, con la complicità, cosciente o non cosciente qui non importa, della parte più infingarda della Gerarchia, briglia sciolta all’inventiva dei singoli preti –un creativismo impossibile col Rito Antico–  i quali, confezionando brutti quanto erronei nuovi e personali riti, dàn vita ad una nuova teologia, ed insieme, ad una nuova e tutta individuale religione improntata al più nefasto sincretismo.
      
Buona fede? Mi si esorta alla comprensione, da qualche parte. La salverei se fossimo in presenza di un’alteriosclerosi galoppante, da Convitto Ecclesiastico: ma don Giacomo, per quanto anziano, è compos sui, come dimostra nelle sue spudorate interviste. Quindi sa quel che fa e dice. Meno drastico sarebbe il mio giudizio sul ministro – fermo restando lo scandalo e la condanna – se protagonista dello squallido episodio fosse stato un ragazzotto mal formato nei nostri dissestati seminari: in casi del genere resta sempre la speranza della possibilità di recupero.
      Intervistato il 4 marzo u.s. dallo stesso Fabio Scaffardi, sempre per conto del Giornale, il grande teologo domenicano e traduttore della Summa Theologiae di S. Tommaso d’Aquino, padre Tito Centi, disapprova l’iniziativa di don Stinghi ritenendola “per lo meno un gesto inopportuno” che lui non avrebbe compiuto in un momento storico particolare che vede i cristiani perseguitati dagli islamici. Non credo che Maometto e la sua religione siano da additare ad esempio ai cattolici. Non possiamo avallare in alcun modo la religione maomettana Anche se la preghiera invita alla pace, aggiunge “si parla del fondatore di un’altra religione, che nei secoli si è distinta, e tutt’ora si distingue, per le persecuzioni contro i cristiani. Sarebbe come citare Nerone in una liturgia cattolica: inopportuno”. Meglio allora ricorrere al buddismo che è una religione di pace e non predica l’odio: i buddisti, almeno, non impongono, come i musulmani, la loro religione con la violenza, continua ad argomentarne il teologo. Per poi concludere, sotto l’incalzar delle domande di Scaffardi, che sì, i riferimenti alle altre religioni possono portare a liturgie eterodosse e sincretistiche: Non ci si dovrebbe mai allontanare dai canoni e modelli proposti nel Messale Romano, frutto della fede vissuta nei secoli passati dai nostri padri, dai nostri predecessori”.
      
C’è voluto il forcipe del giornalista cattolico per estrarre una conclusione logica e coerente con la nostra fede al vecchio teologo che troppo ha parlato di inopportunità per motivi storici ed attuali e mai di peccato, profanazione, sacrilegio, ed ha addirittura sostenuto che meglio sarebbe stato innalzare a Dio una preghiera buddista. Come se il “pacifismo” di questa che il padre Centi chiama religione (I)  potesse in qualche modo giustificare il sincretismo che si realizza inserendo preghiere pagane nella S. Messa.

 

(2) Gravissimo peccato di omissione, ma fra non molto ne renderà conto a Dio.

(3) Molto generico, ovvero come da indifferentismo religioso.

(4) È vero, infatti le tante guerre tutt'ora in atto sono solo favolette per bambini cattivi e il sangue sparso nient'altro che inchiostro colorato...
La guerra poi che si fa "nel proprio intimo" sia senz'odio: si ami il peccato! Stinghi dixit.

       Ed è inutile, a questo punto, andar molto avanti: don Giacomo Stinghi offre di sé, ancora nell’intervista dello scorso 4 marzo, con una sola incisiva pennellata, un esaustivo ritratto, alla luce del quale tutto si comprende: “Io sono un prete di frontiera, che ha speso la sua vita con i tossicodipendenti. Mi dà fastidio chi ha sicurezze (5): io ho meno certezze di 30 anni fa”. Prendiamone doverosamente atto, assicurando all’interessato che non ce ne dimenticheremo.
       Per rispetto ai tossicodipendenti che si sforzano, anche con l’aiuto dello Stinghi, di uscire dal nero tunnel, ricaccio in gola il vecchio proverbio “Chi va con lo zoppo” con quel che segue, o magari, ammodernandolo, chi va con chi fuma e ‘si fa’, si fuma e ‘si fa’ il cervello, e mi limito a constatare che nel corso di 30 anni la fede del sacerdote è andata scemando e perdendo le precedenti certezze. Ma, mi domando, anzi, ridomando, e giro la domanda a coloro che della condotta dei preti e della loro piena adesione alla dottrina cattolica devon esser garanti, può una parrocchia continuare ad esser retta da un sacerdote che non ha più fede salda nella Verità?
      So benissimo che si tratta di una domanda che resterà, come tante altre, senza risposta.
(L)

 

(5) Se si ha la Fede, si ha sicurezza: evidentemente quello stingo di Stinghi non ha la Fede, infatti ha "meno certezze di 30 anni fa".
Per motivo di coerenza, aggiungiamo: se non ha la Fede, non faccia più il parroco, se ne vada!  o altri lo cacci con sonore pedate caritatevolmente ben assetate sulla sua frontiera posteriore.

       E allora, non ci si impermalisca, nelle alte sfere ecclesiastiche fiorentine, e non si dia la croce addosso a chi ha registrato e denunciato lo scandalo. Il mio augurio è che la Sacra Congregazione per il Culto Divino vada avanti nella sua inchiesta e proceda spedita e senza rispetti umani anche in altre direzioni, quelle che da queste pagine abbiamo più volte indicato. Un segnale forte per rimetter sui diritti binari chi, ciascuno nel suo ruolo, ha deragliato.

Dante Pastorelli

 

 

 

NOTE dell'Autore

 

 

       A Ricordo che nel 1980 o 1981, nella mia qualità di preside dell’Istituto “G. da Verrazzano” di Firenze, su delibera del Collegio dei docenti, invitai don Stinghi a parlare a studenti, famiglie e professori dei pericoli della droga. Ovviamente, prima m’informai sulle sue qualità di sacerdote, e da ecclesiastici fidati n’ebbi giudizio sufficientemente positivo. Il teatro dell’ “Istituto Nicolodi”, più comunemente noto come “l’istituto dei ciechi”, che ospitava la “mia” scuola, non era pieno: il 90 per cento almeno degli alunni era pendolare e la maggior parte provenivan dall’alto Mugello e, per comprensibili motivi di orari dei mezzi di trasporto, impossibilitati a trattenersi sin verso le 20.
      
Aprii l’incontro ringraziando, oltre il relatore e gli ospiti, tutti i presenti. Mal me ne incolse! Il prete m’apostrofò con una maleducazione inaudita: “Come fa Lei ad esser contento se il teatro è mezzo vuoto, mentre tutti gli studenti avrebbero dovuto esser qui ad ascoltare le mie parole e la drammatica testimonianza dei tossicodipendenti usciti dal nero tunnel?”. Questo il condensato della sua autentica aggressione che lasciò sconcertati gli astanti, tranne qualche professoressa sinistrorsa “stinghidipendente”, anche perché non m’ero assolutamente detto “contento” di quella partecipazione. Inutilmente cercai di reintervenire per giustificare le assenze: l’infuocato oratore mi dette sulla voce e s’attaccò al microfono. A stento, dovendo io per primo dar l’esempio del buon educatore, mi trattenni da una pur giustificata polemica che avrebbe danneggiato l’esito della conferenza.
       B Mi permetto un’autocitazione dal numero di giugno-dicembre 2003 di questo bollettino [Una Voce Dicentes], regolarmente recapitato in Vescovado, dopo aver assistito alla Messa esequiale dell’amico e confratello di S. Francesco Poverino, per oltre 15 anni, Piero Magi, il noto giornalista e scrittore scomparso il 30 settembre di quell’anno:
       “(…) una Messa officiata da don Stinghi in rito moderno e con una fretta malcelata che avrebbe fatto fuggire dal tempio il Magi vivo. Non si è capito molto delle parole del sacerdote: ad es. perché parlare all’inizio della presenza di molti laici alle esequie di un “laico ma in ricerca” come, a detta del prete, Piero a lui s’era presentato, e di una “messa diversa”? C’era un legame fra le due cose? Mistero. E poiché diversa era la Messa, don Stinghi non ha tenuto neppure una breve omelia. Questa diversità del rito l’abbiamo riscontrata pure nell’Offertorio, con pane e vino presentati al Signore contemporaneamente, ed una Consacrazione priva della successiva elevazione. Anche alla benedizione della salma, parole ambigue o senza senso: “Ora dobbiamo procedere ad un rito antico dove si parla di angeli e dobbiamo usare acqua santa ed incenso, tutte cose che appartengono al passato”. Non abbiam capito, alcuni amici ed io, se c’era ironia per il rito o sarcasmo verso i tanti massoni e agnostici presenti, che, con Umberto Cecchi, hanno ricordato il laicismo razionalista del collega, mentre un accenno alla sua ricerca di Dio è venuto da Maurizio Naldini…”.
       C Ed ora più di quel “qualcosa” mi vien confermato per iscritto e pubblicamente (v. cattoliciromani.forumfree.net, sezione “Ecclesia Dei”) da un giovane serio che, insieme a parecchi altri parrocchiani, parenti, amici e conoscenti, è stato costretto a trasmigrare nelle vicine chiese dei gesuiti e dei francescani per ritrovare una S. Messa cattolica: per cui alla Madonna della Tosse, sostiene, si vedon più facce “di fuori” che della zona. D’altronde anche da altre parrocchie i fedeli si allontanano: nel quartiere in cui abito, Campo di Marte ad es., s’è notato un flusso migratorio da S. Gervasio verso i Sette Santi. Solo comodità di orari? In Curia s’è qualcuno domandato se esistano ragioni più consistenti e valide?
       D Alla stessa guisa di molti suoi svogliati confratelli i quali, per quanto stanchi, oberati come son dal lavoro, non si privano della settimana bianca, delle gite e dei viaggi anche intercontinentali.
       E Come sarebbe stato opportuno e com’è consigliato dalla sopra citata Istruzione della S. Sede contro gli abusi eucaristici. Spero di sì, perché correttezza “gerarchica” l’imponeva.
       F En passant mi piace qui accennare ad una delle denunce da me avanzate alle nostre autorità ecclesiastiche: qualche anno fa, appena assegnato alla mia parrocchia, I Santi Fiorentini, un giovin prete inviò a tutte le famiglie una circolare in cui prometteva che si sarebbe presentato in ogni casa con la massima disponibilità e nel più rigoroso rispetto delle varie sensibilità. Presa carta e penna, in realtà carta e Olivetti 44, gli risposi molto cortesemente dichiarandomi felice di questa disposizione d’animo che apriva in parrocchia un’era nuova e chiedendo, in nome di quel rispetto, di presentarsi per la benedizione della famiglie, con i segni del suo sacerdozio imposti dalla normativa in vigore -talare, cotta e stola- e non in pantaloni e giubbotto come qualcuno dei suoi coetanei predecessori. Dopo un paio di giorni mi telefonò, non ebbe il coraggio di scrivere: “Si trovi un altro prete”. In casa mia, di conseguenza, trattandosi d’un sacerdote disubbidiente all’autorità superiore ed alle leggi della Chiesa, mai gli ho consentito né gli consentirò di metter piede ma ho seguito il suo “consiglio”: c’è sempre qualche ministro di Dio, che non si vergogna d’esser riconosciuto tale, pronto a venir incontro alle necessità spirituali dei cattolici che non voglion svendere la loro fede. Di questa circostanza, come di altre, anche più gravi, vere e proprie eresie scritte nella prefazione del Vangelo di Luca distribuito ai fedeli, la Curia fu da me tempestivamente informata.
E tempestivamente, lo scorso novembre al Cardinale ed al Vescovo ausiliare inviai la lettera allo Spirito Santo scritta da don Alessandro Santoro, altra lancia confitta nel cuore della Chiesa fiorentina, di cui abbiam dovuto spesso occuparci e di cui parliamo altrove in questo bollettino. Non son mai venuto a conoscenza delle sanzioni comminate a costui, sanzioni che senz’altro saranno state inflitte. (6)
       G
Amministrazione che tante frasi alate ispirò ad un giornalista della Nazione il quale addirittura, con sfacciataggine da teologo massone, ardiva “certificare” essere questa liturgia la più cara a Dio, con cui, o lui beato!, era evidentemente in rapporti di grande familiarità.
       H colui, cioè, che, chiamato da Dio, parla in suo luogo ed in suo nome e comunica agli uomini ciò che Dio gli rivela, con azione soprannaturale, e gli ordina di render pubblico per annunciare la venuta del Messia.
       I Il buddismo in realtà non è una “religione”, perché il pensiero buddista è essenzialmente agnostico nei riguardi di Dio, e difficilmente può considerarsi una “filosofia”, “riducendosi ad una prassi d’indole ascetica, volta a risolvere il problema del male, senza però riuscirvi, ma aggravandone la portate e le istanze” (E.ZOFFOLI, Dizionario del Cristianesimo, s.v., Roma 1992; vedi anche Enciclopedia Cattolica, s.v.
       L Come nel nulla si è dissolto un mio sogno: il Cardinale o il Vescovo ausiliare che si presenta alla Madonna della Tosse all’annunciata ora della Messa blasfema e celebra una vera S. Messa per quegli sbigottiti fedeli che hanno diritto all’unico santo Pane di Vita.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(6) Quando noto è il peccato, nota deve essere la pena, ma... non si può render noto l'inesistente: non crediamo che sia stata inflitta alcuna pena!

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