La storia di Emanuele inizia il 9 settembre 1892, giorno in cui nasce a Torino, in Piazza Madre di Dio al numero 5.
Il padre, Felice Brunatto, fu uno dei primi e celebri penitenti e benefattori di don Bosco ed Emanuele, eclettico ed estroverso, fu sempre motivo di grande preoccupazione per i suoi genitori, tant’è che nel 1911, appena terminata l’istruzione superiore presso i salesiani e appena maggiorenne, si sposa con una donna di due lustri più anziana e con dei fratelli che espiavano una lunga pena detentiva per reati contro il patrimonio, in Germania.
Il forte divario di età tra i due, nonché la discussa dirittura morale di lei, scatena grande scandalo nella bigotta società torinese di allora, residenza del Re e capitale del Regno: siamo oramai nel terzo millennio, ed il fatto creerebbe tutt’ora qualche perplessità a più di un genitore odierno.
Nel 1914 Emanuele è un acceso interventista e l’anno dopo partecipa alla Grande Guerra nei ranghi di una compagnia di servizi, con il compito di organizzare il vettovagliamento e il reperimento delle derrate alimentari –e quant’altro necessario– per il sostentamento materiale delle truppe italiane al fronte.
Spinto dal suo carattere, e sostenuto dal suo comandante di compagnia, organizza un vero e proprio commercio clandestino. Nel frattempo conduce una vita agiata e si accompagna con alcune donne.
Tutto ciò scatena prima l’invidia e poi i sospetti dei suoi superiori, che avviano così una indagine.
Messo alle strette durante un interrogatorio da parte delle autorità militari superiori, confessa il traffico di merci destinate al mercato nero, cercando di scagionare il suo comandante, che nel frattempo era caduto in un periodo di forte crisi depressiva. Ciò gli valse l’immediato trasferimento al fronte, in prima linea, ove ebbe modo di assistere alle atrocità di quella immensa carneficina che fu la prima guerra mondiale.
Qualche mese dopo il suo trasferimento, il suo vecchio comandante si suicidava per la vergogna dello scandalo, a seguito dell’inchiesta. E’ un duro periodo per Emanuele, al quale viene anche negato il permesso per recarsi a casa, in punto di morte del padre.
La guerra finalmente termina ed Emanuele fa ritorno a Torino, dove si immerge nuovamente nella sua solita vita disordinata e ribelle. Per sostentarsi economicamente avvia una attività nel settore del commercio di legname da costruzione prima, e dopo come fabbricante di concimi e fertilizzanti per l’agricoltura, ma alcuni illeciti bancari lo costringono ad un “salutare” allontanamento da Torino… e dalla moglie.
Diventa girovago e, accompagnandosi con una certa Juliette, intraprende l’attività nel mondo dello spettacolo itinerante: l’avanspettacolo. Diviene poi rappresentante di una grande ditta di vini e di liquori del centro-sud-Italia, continuando la sua abituale vita sregolata.
Ma il 20 giugno del 1919, seduto ad un bar di Napoli, legge un articolo apparso sul“Mattino “, quotidiano all’epoca diretto da Scarfoglio, a firma di un certo Trevisani. Per la prima volta la stampa si occupa e si interessa del caso sensazionale di un fraticello di un oscuro e sperduto paesino nel Gargano, nelle Puglie.
Nell’articolo si descrive la storia di un umile e mite cappuccino, sul cui corpo sono forse impressi i segni dell’ultima sofferenza di Gesù: le stigmate. Vi si racconta inoltre di alcuni eventi miracolosi di guarigione, e di uno di questi è anche testimone diretto ed oculare lo stesso giornalista.
La curiosità è forte, intensa e subitanea, ma Emanuele è ancora attratto dai piaceri della vita.
Sostenuto dalla sua “buona stella” si lancia allora nel mondo dell’alta moda, aprendo un atelier, facendo arrivare da Parigi due abili sarte e cucitrici che, affiancate e guidate da Juliette e dalla sua prima moglie (fatta venire da Torino) conducono e gestiscono gli affari ed il lavoro, tanto che nel 1920 viene allestita e presentata una serata di alta moda, in cui è presente tutta la nobiltà e l’alta borghesia napoletana. All’evento mondano sono presenti anche il Re e la Regina d’Italia. Tutto procede a gonfie vele, ma un tarlo opprime insistentemente i pensieri di Emanuele.
Un capovolgimento di sorte, dovuto anche alla impossibile situazione creata dalla vicinanza delle due donne, crea dapprima scompiglio, poi il successivo fallimento della attività sartoriale.
Sua moglie si allontana da Napoli e dalla sua vita, ritornando definitivamente a Torino ed Emanuele, ridotto al lastrico ma per nulla disperato, definisce e chiude le sue attività e si mette in viaggio per… come si chiama quel paesino del Gargano?…sì, San Giovanni Rotondo, per conoscere di persona questo… già, Padre Pio da Pietrelcina.
Il momento e la storia della conversione di Emanuele è cosa nota per coloro che conoscono la vita di San Padre Pio, e la sua è di tipo travolgente e totalitaria. Si installa prima nei pressi del convento (in una capanna con il tetto di paglia, solitamente adibita alla raccolta delle olive) e poi, su invito dell’intera comunità francescana, nella cella n° 6, accanto a quella di Padre Pio, la n° 5.
Per sei anni la vicinanza non è solamente“spaziale” –per così dire– ma anche e soprattutto emotiva e spirituale: Emanuele cambia totalmente modo di vivere e diviene la persona più vicina al frate stigmatizzato, la sua perenne ombra, il suo officiante di Messa, il suo aiutante, suo figlio spirituale… ed il suo personale e fidato cane da guardia!
Padre Pio lo apostrofava benevolmente «’u francese» –il francese–, ma soprattutto «’u poliziotto» –il poliziotto– ed il perché lo scoprirà dopo.
Intanto, il 22 gennaio 1922 muore papa Benedetto XV° ed al trono di Pietro gli succede Pio XI°, il 12 febbraio .
Il 2 giugno dello stesso anno si hanno i primi provvedimenti restrittivi all’opera sacerdotale di Padre Pio, a cui seguiranno quelli del 31 maggio del 1923 (dichiarazione ufficiale del Santo Uffizio) e poi ancora quelli del 24 luglio 1924 (monito del Santo Uffizio), del 23 aprile 1926 (comunicato del Santo Uffizio) e dell’11 luglio dello stesso anno (ulteriore comunicato del Santo Uffizio). Emanuele assiste quindi in prima persona, addolorato ed impotente, alle iniziali prime persecuzioni e provvedimenti restrittivi imposti dal supremo tribunale della Chiesa, nei confronti del suo amato padre spirituale, che obbedisce e tace diligentemente, come gli è imposto dal suo voto sacerdotale.
Ma lo stesso voto di obbedienza non appartiene ad Emanuele, il quale interviene in prima persona e fa arrestare il canonico-maestro elementare Miscio Giovanni (di San Giovanni Rotondo) per una turpe e vigliacca vicenda di ricatto ai danni della famiglia Forgione, e nel 1925 inizia a raccogliere materiale sulle complicità e sulle malversazioni a carico dell’arcivescovo di Manfredonia Gagliardi Pasquale, dell’arciprete di S. G. Rotondo Prencipe Giuseppe e di un canonico dello stesso paese, Palladino Domenico, che con le loro lettere anonime furono i primi ed iniziali persecutori del frate stigmatizzato.
L’intera documentazione viene da Emanuele poi personalmente e privatamente consegnata –nel giugno del 1925, su espresso consiglio di don Orione– al:
cardinale Pietro Gasparri segretario di Stato Vaticano
cardinale Raffaele Merry del Valsegretario del Santo Uffizio
cardinale Basilio Pompily vicario di Pio XI°
cardinale Donato Sbarretti prefetto del Concilio
cardinale Gaetano de Lai prefetto alla Concistoriale
cardinale Michele Lega prefetto ai Sacramenti
cardinale Guglielmo Van Rossum prefetto della Propaganda della Fede
cardinale Augusto Sily prefetto Tribunale della Segnatura
padreLudovico Billot superiore francescano
Monsignor Carlo Perosi assessore al Santo Uffizio
PadreRosa direttore di “Civiltà Cattolica”
PadreTacchi-Venturi superiore gesuita .
Le sue precise indagini ed investigazioni (ecco il perché del «’u poliziotto») convincono ed attraggono sia il cardinal Gasparri che il cardinal Bevilacqua, che lo invitano ad accettare l’incarico in alcune “investigazioni nei riguardi di alcuni canonici” (documentazione del 15 e del 19 dicembre 1927), con la carica di aiuto-visitatore-laico di monsignor Bevilacqua.
In quel periodo organizza anche l’attività nella costruzione della villa di Maria Pyle a San Giovanni Rotondo e del convento di Pietrelcina, che la stessa ricca mecenate americana sovvenziona.
Viaggia instancabilmente da S.G.Rotondo a Roma, da Pietrelcina a Firenze, e poi ancora a Bologna, Roma, S. G. Rotondo…e raccoglie numerosissimo materiale, grazie alle sue personali investigazioni e da fonti attendibili, tra le quali l’Archivio Vaticano, a cui ha libero accesso in virtù del suo incarico.
Nel frattempo le misure restrittive nei confronti del suo amato padre spirituale non si attenuavano…anzi!
Emanuele la pazienza la perde alla fine del 1927, anno in cui dovrà allontanarsi dal convento di S. G. Rotondo a causa di “pressioni superiori” ed inizia così a prendere forma l’idea di esercitare le sue, di “pressioni”, sul mondo ecclesiastico, affinché fosse ristabilita la verità. Pubblica a Lipsia –con l’aiuto di Francesco Morcaldi, sindaco di S. G. Rotondo e suo personale e fidato amico– “Lettera alla Chiesa” Leipzig 1929, un esplosivo dossier di 500 pagine, a firma di Felice de Rossi , suo pseudonimo del momento.
Lo sconcerto da parte delle autorità religiose fu grande e molte accuse vennero lanciate da tutte e due le parti in causa, fra Brunatto e le alte cariche religiose, e alla stesura poi dei Patti Lateranensi (11-02-1929) i rapporti tra Emanuele e monsignor Bevilacqua si interrompono bruscamente e definitivamente.
In quel periodo Padre Pio è invitato dalla contessa Augusta Sily nell’accettare una quota azionaria in una società per azioni, ma non potendolo fare per il voto di povertà che ogni frate francescano compie all’atto della sua entrata nell’ordine, si fa quindi rappresentare da Emanuele in questa società legata ad una serie di meccanismi innovativi per il trasporto su rotaia, per mezzo e tramite dei brevetti degli inventori Fausto Zarlatti e Umberto Simoni.
Tra i maggiori azionisti di questa società vi era l’alta nomenclatura fascista dell’epoca, nelle persone dei conti Vincenzo Baiocchi, Alessandrini, l’avvocato Antonio Angelini Rota, ecc..
Fa fare una barca di soldi alla società, vendendo i brevetti a molti stati europei, e ne fa anch’esso, di soldi.
Tanti.
Nel frattempo che Emanuele girava per l’Europa per lavoro, l’ 11 luglio del 1931 viene sancita la segregazione di Padre Pio, e nel contempo alte autorità religiose convincono il Morcaldi a consegnare l’intero stock di libri (998) e 13 pacchi, tra clichès e documenti vari, al segretario della Nunziatura Apostolica di Monaco di Baviera, il 10-10-1931, ed in una seconda tranche altre 21 buste di documentazione originale, ad un intermediario ecclesiastico, il 19-10-1931.
In cambio, le “alte autorità ecclesiastiche” si impegnavano formalmente con il Morcaldi a fare ritirare i provvedimenti del Santo Uffizio a carico di Padre Pio… cosa che però non avvenne !
Emanuele intanto, tornato in Italia e venuto a sapere tutto ciò, scatena un vero e proprio putiferio, apostrofando pesantemente l’intero entourage a cui aveva consegnato l’intero materiale, oramai definitivamente perduto.
Si trasferisce in Francia, a Parigi, e decide di continuare la sua battaglia scrivendo un nuovo dossier, “Gli Anticristi nellaChiesa di Cristo” con il nome di John Willougby (altro suo pseudonimo) nel 1933, e ne fa stampare 2000 copie, che tiene pronte ad essere immesse nel mercato editoriale internazionale e decidendo il 16 luglio quale data per l’uscita dell’opera, di comune accordo con l’editore.
Mentre nella “Lettera alla Chiesa” erano smascherate le persone implicate nelle calunnie e nelle malversazioni a carico di Padre Pio, nell’opera “Gli Anticristi nella Chiesa di Cristo” la denuncia investe e riguarda altissime personalità della Chiesa di Roma… fino al trono di San Pietro.
L’oppressione nei confronti del suo amato padre spirituale… improvvisamente cessa (p.s. il 14 luglio 1933 si conclude la segregazione di Padre Pio) ed Emanuele decide così di non immettere il dossier nel mercato editoriale: ritira tutte le copie e non da seguito alla pubblicazione, pagando una forte penale all’editore, mantenendo però l’intera documentazione.
Nel 1934 conosce e si accompagna con Arlette Champrou (Parigi 1917-Roma 1990), di venticinque anni più giovane, e con lei mette al mondo ben quattro figli: Paolo (1936), Felicia (1937), Itala Monique (1938-1981) e Franca Brunatto (1938). Le ultime due, ovviamente, gemelle.
Durante il secondo conflitto mondiale Emanuele viaggia per l’Europa per affari, risiedendo spesso a Ginevra, mentre la sua nuova famiglia risiede invece a Quarrata, in Toscana.
Il 9 gennaio 1940 Padre Pio manifesta apertamente e pubblicamente il suo intento nella costruzione dell’ospedale “Casa Sollievo della Sofferenza”, e il 3 giugno del 1941 Emanuele, dalla capitale francese, fa pervenire una lettera di accredito al Credito Italiano di Firenze da parte della Banque Italo-Francaise de Credit (con sede sociale a Parigi, 1, Boulevard des… Capucines) della somma di 3.500.000 franchi francesi al “ Comitato per la costruzione della Clinica di San Giovanni Rotondo –Foggia“. Con questa iniziale e cospicua donazione si gettano delle solide basi per la costruzione dell’ospedale tanto desiderato da Padre Pio ed inaugurato il 5-5-1956.
Alla fine del secondo conflitto mondiale Emanuele è di nuovo a Parigi, Ginevra , Roma e fonda l’«Associazione per la difesa delle opere e della persona di Padre Pio da Pietrelcina». Nel 1955 collabora e finanzia la pubblicazione di “Legge e Giustizia”, rivista di critica giuridica, diretta dall’avvocato Giacomo Primo Augenti, con sede in via Tacito 64, telefono 311273. Dirige e sovvenziona la pubblicazione di “Franciscus”, rivista dell’ Associazione dei Fondatori ed Oblatori della Casa Sollievo della Sofferenza, con sede sociale a Ginevra in rue de Roveray 16, telefono 022-361034, segretaria madame Sordido, ufficio di Parigi 2°, 8 rue San Marc, telefono 0815, ufficio di Roma in via Nazionale 243, telefono 484847, segretaria la signorina Emmanuela Gomez de Teràn.
Ha quindi notevoli disponibilità economiche ed appare a tutti come un uomo potente, cui nulla è negato. Continua ad avere contatti con alte cariche civili, politiche e religiose, ma su espresso desiderio di Padre Pio è impegnato nel vincolo del silenzio, rimanendo purtuttavia animato dal suo spirito ribelle, che potrebbe fare scoppiare scandalo enorme.
Dopo lo sporco affare dei magnetofoni nella cella e nel confessionale di Padre Pio pubblica, nel giugno del 1963, il “ Libro Bianco “, casa editrice AID, rue de Roveray –Geneve– (n.d.r. di cui ne sono rimaste solo due copie ) chiedendo che venisse sottoposto all’arbitrato internazionale dell’ O.N.U. e con sue personali iniziative sostiene la campagna a difesa e a favore del suo padre spirituale, rovesciando le diffamazioni e le calunnie, smascherando la congiura che mirava unicamente nell’accaparrare i soldi che le opere del cappuccino stigmatizzato facevano arrivare al convento di San Giovanni Rotondo, sotto forma di offerte dei fedeli .
La sera del 9 febbraio 1965, intuendo chissà cosa, telefona al suo amico Luigi Peroni di Roma e lo prega urgentemente di andarlo a trovare nel suo studio-appartamento di via Nazionale. Al suo arrivo (al commendatore non si può dire di no...) Emanuele lo prega insistentemente di prendere in consegna il suo materiale (bobine, appunti, libri,documenti…) e di tenerli in custodia in un luogo sicuro. Il Peroni è letteralmente frastornato e confuso di fronte a tutto quel materiale, così numeroso che ci sarebbe voluta una macchina e lui, venendo dal suo ufficio, non l’aveva con sé. Chiede quindi un po’ di tempo per organizzare il tutto, almeno una notte…
Emanuele è trovato morto la mattina del 10 febbraio, dalla donna incaricata delle pulizie del suo ufficio-studio-abitazione. La polizia afferma che sia stato stroncato da un infarto, altri (tra questi il suo amico, imprenditore veneto, Giuseppe Pagnossin) d’avvelenamento da stricnina. Consumava infatti i pasti facendosi recapitare il cibo da un vicino ristorante. Da una semplice inchiesta presso la Biblioteca Nazionale di Roma è emerso che la notte del 9 febbraio del 1965… non è successo nulla.
Nessuna notizia, nessun necrologio, nessun articolo.
Niente sul Messaggero, nulla sul Paese Sera, l’Unità, l’Avanti, il Tempo.
Il Brunatto, già morto, non esiste più, nemmeno come semplice notizia, neppure sui quotidiani del 10, 11, 12, 13 febbraio… e non esistono più le bobine, la documentazione, i libri, i manoscritti ( n.d.r. il giorno del suo funerale fu fatto sparire l’intero mobilio!).
Non esiste più la sede di Ginevra, quella di Parigi, di Roma, i soldi, i conti bancari.
Niente di niente.
Ma in una bella e soleggiata mattina di primavera … ma questa è un’altra storia, quella di Emanuele finisce qui.
P.S. Si dice e si racconta che se vi recate sulla tomba di qualcuno lungamente cercato, e gli ponete una –ed una sola– domanda, egli forse vi risponderà.
Qualcuno lo ha fatto… ed Emanuele gli ha risposto.
Cinquestelle |
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