Di questo folkloristico ministro di una religione e d’una Chiesa tutte personali (10), difficilmente compatibili con quelle cattoliche che pure ufficialmente continua impunemente (10) a rappresentare, ci siamo occupati più d’una volta, segnalando le sue pubbliche prese di posizione dottrinali e morali che pugnalano al cuore la nostra Fede. Ma inutilmente. Riprendiamo da un nostro intervento su Il Giornale della Toscana del 10 marzo 2004, titolato Preti eretici: il silenzio della Chiesa, e poi riportato in questo bollettino, Anno III N.1, gennaio-giugno 2004, il paragrafo riguardante il grilliano prete vero:
“ (… [dal… al] fiorentino Santoro, che dal piccolo schermo enuncia un suo eretico pensiero circa l’inesistenza di verità assolute e la presunzione del Cattolicesimo di sentirsene, invece, detentore. Solerte protettore e guida di centri sociali, il Santoro in una intervista al Tirreno del 24 ottobre scorso, sostiene che col cardinal Piovanelli aveva “un’intesa molto intelligente che andava al di là dei rispettivi ruoli”, sia per quanto riguarda le sue “attività sociali”, sia, persino!, relativamente all’ammissione ai sacramenti di divorziati risposati, conviventi, coppie irregolari d’ogni tipo, cioè, che per la Chiesa vivono in una situazione di peccato. Il Santoro organizza messe per transessuali (11), per toglierli dall’isolamento, afferma, e dalla discriminazione, senza accorgersi che in tal modo li confina definitivamente in un ghetto. Sempre a suo dire, l’attuale nostro arcivescovo, cardinal Antonelli, è contento della sua attività alle Piagge, benché manifesti qualche preoccupazione (soltanto?) per il modo in cui, in quella parrocchia, si vive la liturgia e si applica la morale familiare (12). Dettagli trascurabili, insomma. Ma Antonelli, spera Santoro, finirà per adeguarsi alla realtà della Chiesa fiorentina. Io spero, invece, che questa realtà egli modifichi con urgenza ed energia.”Realtà o millantato credito, non sappiamo: sappiamo soltanto che i venerandi cardinali Elia Dalla Costa ed Ermenegildo Florit non avrebbero permesso il protrarsi per tanti anni di una simile opera di devastazione della vigna del Signore. I tempi cambiano, ed oggi, è noto, la misericordia non è più commisurata con la giustizia nei riguardi dei colpevoli. Ma chi rende giustizia e chi abbraccia con misericordia l’indifeso popolo di Dio?
La concezione che della Chiesa ha il Santoro (un intrico disumano di tatticismi, trame, ricchezza, isolamento in stanze sfarzose, orpelli, luccichii, ori e smania di potere temporale in cui vivono il Papa e i cardinali) non è certo dissimile da quella che ne avevano due “monumenti” del 1500, i quali l’esponevano in un italiano letterariamente ben più consapevole, ed anche con motivazioni storiche in larga misura non accettabili, ma meglio argomentate ed inquadrate in una visione d’insieme che, nel male più che nel bene, ha lasciato un segno nella storia del pensiero politico italiano. E non accenno alle rampogne di altri illustri personaggi, come Dante, che pur sentì la Chiesa umanamente “noverca” e non madre, perché erano in grado di distinguere tra Chiesa e suoi indegni esponenti, erano animati da un amore indistruttibile per il Corpo Mistico e le loro critiche eran vivificate da intenti costruttivi.
Sentenzia il Machiavelli, con “ragioni potentissime che…non hanno repugnanzia” (eppure il Manzoni le confuterà appropriatamente) nei Discorsi sopra la prima decade di Tito Livio: “…per gli esempi rei di quella corte [la Chiesa] questa provincia [L’Italia] ha perduto ogni devozione e religione…abbiamo, adunque con la Chiesa e con i preti noi italiani questo primo obbligo, di essere diventati senza religione e cattivi”. Ma al cancelliere fiorentino interessa non la vita morale degli italiani, quanto i guasti politici prodotti da “i rei costumi di quella corte” la quale, a suo avviso, ha impedito l’unità d’Italia.
Non è da meno il Guicciardini, nelle Considerazioni sui discorsi del Machiavelli: “Non si può dire tanto male della corte romana che non meriti se ne dica più, perché è un’infamia, uno scempio di tutti e vituperi e obbrobbrii del mondo”. Al giudizio morale che collima con quello del Machiavelli, il Guicciardini fa seguire una valutazione storico-politica opposta: la mancata unificazione è stata un bene, perché, a differenza di altre nazioni europee, l’Italia mai ha amato ridursi sotto un regno, grazie ad un vivo “appetito” di libertà: spentasi la Repubblica Romana, gli imperatori persero presto il potere in Italia. Per cui la Chiesa ha consentito al nostro Paese di conservare “quello modo di vivere che è più secondo la antiquissima consuetudine e inclinazione sua”. Insomma la “felicità”, l’Italia dei particolarismi politici la deve alla Chiesa.
Non più raffinate, anzi più rozze e molto meno “idealistiche” son le aggressioni, e mi limito a quelle verbali, che da alcuni secoli ormai si abbattono sulla Chiesa universale, senza peraltro mai poterne scalfire la grandezza e la bellezza che son di natura divina, al di là delle innegabili colpe di suoi membri, laici ed ecclesiastici. Dagli illuministi, agli odierni atei e agnostici, ai laicisti col paraocchi, ai comunisti d’ogni razza e colore, ai preti senza formazione adeguata ed impregnati di un anticlericalismo ammuffito che vuol nobilitarsi ammantandosi di francescanesimo, di un francescanesimo che non hanno mai né vissuto né capito, è tutt’un coro di inveterato odio contro chi propugna una dottrina ed una morale che voglion distaccare l’uomo dai meri interessi terreni e fargli volger gli occhi verso l’alto.
Questa digressione per dire che il Santoro è una piccola ma cancerogena pedina di questo secolare gioco al massacro, e che i suoi sconsiderati fendenti alla Chiesa ed alle sue istituzioni palesemente non nascono da una coscienza religiosa vibrante e risentita, sibbene da un’acrimonia d’ordine politico-economico-sociale che si esprime nei termini di un pauperismo più cataro che francescano, riletto alla luce della concezione marxista della storia orecchiata da più acuti rappresentanti di quella “teologia della liberazione” che la Chiesa ha condannato ed è ormai in completo disarmo anche nell’America del Sud, per cui i pochi Santoro residui son dei mollicci reperti archeologici, patetici epigoni senza futuro, privi anche della fosca aura di cultura teologico-filosofica propria dei grandi eresiarchi.
Quale futuro può avere chi sogna di far la rivoluzione ponendosi alla testa di cortei no global rinvoltato in un caldo piumino, con tanto di berrettino di lana sul delicato capo, e ovviamente calzando comode scarpe necessarie per marciare lungo le strade della gloria e del sol dell’avvenire e nello stesso tempo chiede con forza al Papa di confondersi alla gente, semplice ed umile servo, a piedi scalzi per ridare vita al mondo? Via, don Alessandro, togliamogli, a Benedetto XVI, palazzi e orpelli, ori e luccichii vari, spogliamolo della “porpora” ecc., però, oltre al grembiule (massonico?) che Lei è così generoso da concedergli, le scarpe ed un paio di calzini ci permette di salvarglieli, sia pur senza ricambio? Ma andiamo a sottolineare qualcosa di più serio, ché qui siamo alla paranoia populistica.
La lettura santoriana del Vangelo, della Parola di Dio che è “la vita degli uomini e delle donne” stravolge completamente il messaggio salvifico di Cristo, incarnatosi nella Vergine Maria ed immolatosi sulla Croce per la salvezza delle anime, per ricomporre l’amicizia tra il Padre e l’umanità che il peccato originale aveva rotto. Ma questa liberazione “a malo”, come ripetiamo nel Pater Noster, non è nei fini del nostro pretino, perché il Vangelo, nella sua interpretazione, l’ignora, mentre s’impegna ad instaurare una rivoluzione avente per obbiettivo l’instaurazione di una “liberazione” puramente politica, di un’era di giustizia esclusivamente sociale, di economia egualitaria, di cui lo Spirito Santo deve riempire le mani, gli occhi, i piedi e persino la pancia del Pontefice (sic!). Insomma, come dicevano i vecchi socialisti, e qualche imbecille continua a ripeter pappagallescamente, il primo rivoluzionario socialista è stato Gesù Cristo.
E’ questo il Vangelo “possibile per tutti” di cui il Papa dev’esser testimone e profeta: defraudato d’ogni dimensione spirituale, d’ogni tensione trascendente, d’ogni essenza soprannaturale, impoverito e sbriciolato al livello di un sociologico inconcludente quanto violento chiacchiericcio da casa del popolo, esso offre l’immagine di un Gesù-Robespierre, un Gesù-Lenin, un Gesù-Stalin, un Gesù-Mao, un Gesù-Castro, un Gesù-Menghistu e via sanguinariamente elencando. Un Gesù che deve fermare la mano assassina dei padroni del mondo impegnati nella corsa agli armamenti ed alle guerre (e chi saranno mai costoro?) ma non deve guardare ai gulag mai chiusi, alle stragi, autentici genocidi, dei cattolici nei paesi islamici, ai milioni di morti all’anno in Cina, in cui i martiri cristiani aumentano invece di diminuire. Un Cristo strabico, dalla ferula unidirezionale, perché, si sa, lo Spirito soffia dove vuole, ma Santoro può modificarne il corso.
L’immagine della Chiesa tutta orizzontale, inchiodata alla terra, che esce dalla penna di don Alessandro, è quella non di una “società perfetta”, perché fondata da e su Cristo, ma di un’istituzione arida, arcigna, violenta in sé e di violenze fomentatrice, connivente con i signori del terrore elevato a sistema, ipocrita perché ritiene ancora plausibile una guerra giusta, incapace di una carezza, di un gesto d’amore verso i poveri e gli emarginati, intransigente coi peccatori perché non sa perdonare né chiedere perdono: lontana, insomma, da un’Utopia vivente nell’iperuranio delle Piagge. Vien da chiedersi dove viva questo ex-giovanotto se chiude gli occhini dinnanzi al miracolo bimillenario di una Chiesa che dispensa dappertutto carità, aiuto spirituale, morale e materiale, attraverso l’impegno di migliaia di uomini e donne pronti a sacrificare la loro vita per salvare quella dei fratelli più derelitti.
Gli è che egli auspica una Chiesa “di base”, dove ognuno protestanticamente possa formulare, diffondere ed attuare una sua dottrina, una sua morale; dove ognuno sia orgogliosamente maestro di se stesso, libero di interpretare “i segni” a seconda dei suoi interessi o bisogni particolari contingenti, senza star troppo a riflettere se questi rientrino o meno nell’ambito del diritto divino-naturale. Una Chiesa senza Papa-maestro, ma solo compagno di strada e amico che dà pacche sulle spalle: un Vicario che non eserciti il ministero petrino (che è sì di servizio, ma nella predicazione e nella custodia rigorosa del Deposito della Fede), che non deve pascere le pecore e gli agnelli, che non li deve guidare per prati fertili e verso l’ovile sicuro dall’assalto dei lupi e dei mercenari. Un Papa che non risvegli le coscienze dal loro torpore, ponendo interrogativi scomodi. Un Papa che taccia, finalmente, e smetta di scrivere noiose encicliche che “inchiostrano la nostra fede”, come se esse non fossero la voce di Cristo che si rivolge ai suoi figli, li richiama, li riprende, li rimprovera, pone loro limiti e confini in campo teologico e morale, indica le linee-guida per un reale ed armonico progresso sociale, non per coartarne le coscienze e le libertà, come pensa il buon Alessandro, ma per donar loro la vita eterna e l’eterno gaudio nella visione di Dio. Dov’è scritto: “Andate ed ammaestrate per rendere discepole tutte le genti”? Chi mai s’è inventato la promessa del “fratello” Gesù di Nazaret che avranno la vita eterna soltanto coloro che crederanno in Lui e obbediranno alla Sua legge, che è quella del Padre, confermata e completata? No, la Chiesa lasci perdere queste fandonie, queste favole astutamente propalate all’unico scopo di tener in istato di totale soggezione gli ottentotti.
Il Vangelo scritto alla Piagge è un programma partitico d’estrema sinistra. La Chiesa, riappropriandosi della spinta propulsiva e “rivoluzionaria” del Vaticano II, deve riunirsi in un nuovo concilio che la ricrei (annosa, insoddisfatta aspirazione del card. Martini) passando una spugna sulla sua struttura verticale, piramidale quale l’ha voluta il suo Fondatore, per diventare una succursale di Rifondazione Comunista, dei movimenti libertari e libertini, magari anarco-insurrezionalisti, ed innalzare al cardinalato i vari Caruso, Casarini, Agnoletto ed ascetica compagnia: al seggio di Pietro don Vitaliano, don Gallo, don Santoro, don Barbero, magari in un quadrunvirato in nome della reclamata “collegialità”.
Rinnovata dalla costante pratica d’un Vangelo finora sconosciuto ed inattuato di libertà e di pace (quale pace? Quella del “Vi lascio la pace, vi do la mia pace, la pace che io vi do non è come quella del mondo”? o quella di Cuba, Cina, Vietnam, Sudan, Etiopia?), la Chiesa deve esaltare l’imprescindibile valore delle donne, perché solo con qualche Emma Bonino vescovo, potrà vincere la sterilità maschilista.
E, dulcis in fundo, la Chiesa che è abituata soltanto a giudicare e a condannare (mai ad assolvere: i confessionali son notoriamente camere di tortura con a portata di mano le sedie elettriche) deve rinnegare il suo moralismo sessuofobo, aprendosi a riconoscere finalmente la pari dignità di tutte le relazioni affettive. Non poteva mancare il peana all’amore fuori del matrimonio, al divorzio, alle coppie di fatto, ai rapporti omosessuali che sono strumento indispensabile per la crescita della nostra società e delle comunità locali.
Un lungo salmo, ossessivamente ripetitivo, questo del Santoro: un salmo da invasato riformatore che batte e ribatte, in un crescendo wagneriano, sugli stessi chiodi che risuonano cupi come i colpi di martello sui chiodi non metaforici ma tremendamente reali che trapassavano le ossa del Salvatore, preceduti dalla stridula e funerea giaculatoria “Fa che questo Papa…”.
Ma tutti i salmi, si sa, finiscono in gloria. E così ecco il Principe della Chiesa rigenerato dalla santa (?) invettiva di Alessandro Santoro camminare, compagno (col pugno chiuso?) ed amico nell’avventura della vita. E sì, perché la vita è soltanto un’avventura umana, che si esaurisce in se stessa, recisa da ogni prospettiva ultraterrena: essa ormai non è più passaggio di prova, non esistenza spesa nell’amore di Dio, e, attraverso di Lui, del prossimo, non continua lode alla Trinità e quotidiano ringraziamento “per averci creati, fatti cristiani e conservati in questa notte ed in questo giorno”, non gioia e dolore accettati ed offerti nell’adorazione e nella preghiera, non ascesa incessante verso le vette della purificazione e della perfezione.
Questa nuova Chiesa di una nuova religione di cui il Santoro è il Giovanni Battista, questo edificio innalzato all’Utopia palingenetica, è costruito sulle sabbie mobili, anzi, addirittura sul vuoto: a questa Chiesa manca Dio, il Dio dei cattolici, il Dio dei cristiani tutti.
Il Papa, infatti, su ispirazione dello Spirito Santo, dovrebbe “incarnarsi nella storia degli altri e abdicare alla Verità assoluta che schiaccia e uccide gli altri”. La Verità Rivelata, quindi, deve esser nutrita e perfezionata da altre verità. Nessuno può superbamente pretendere di possedere la Verità assoluta.
Qui si va ben oltre l’indifferentismo ed il sincretismo religioso.
Infatti, chi è Dio? Il Dio Assoluto-persona, il Padre Onnipotente Creatore per amore e per amore Redentore, l’Uno e Trino, “una sustanza in Tre Persone”, Colui che verrà a giudicare i vivi e i morti? No.
Don Alessandro crede in un Dio che, non avendo un suo proprio nome (?), lo assume via via dai volti e dalle storie degli oppressi e dei vinti. Dio non è più IAHWEH, “Io sono colui che sono”, l’Essere Perfettissimo che, in quanto tale, da niente e nessuno può esser ancor più “perfezionato”, come la Sua parola da nessun’altra può essere menomamente arricchita, perché contiene l’infinita sapienza: il Dio che si adora nella periferia fiorentina non esiste di per sé ma solo in quanto proiezione delle aspirazioni degli emarginati. Una distorsione demenzialmente marxista dell’invito a veder nel fratello bisognoso l’immagine di Cristo.
Ne consegue che, insieme all’unicità di Dio, che crolla nel baratro di un nebuloso Pantheon dei diseredati, novelli idoli, viene a negarsi l’essenza della Divinità, e, con essa, la stessa esistenza di Dio. Come lo Spirito Santo possa negare se stesso non comprendiamo: mistero insondabile da occhio cattolico.
Questo è dunque il programma che deve attuare il Principe della Chiesa, a cui si volge l’insistente, accorata invocazione di don Santoro. Ma tale programma il Principe della Chiesa, Benedetto XVI, accettando l’onerosa successione sul trono di Pietro, questa sì ispirata davvero dallo Spirito Santo, l’ha ripudiato in partenza, perché in esso si incarna inequivocabilmente l’opera dello sghignazzante “Principe di questo mondo”.
Dante Pastorelli
N.B. Nessuna risposta ci è pervenuta dalla Curia fiorentina (13). |
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(10) Termini azzeccatissimi: quella del sig. Santoro non è la Chiesa Cattolica e manca la "punizione" delle autorità preposte nei confronti di un simile sproloquiatore e bestemmiatore, vero lupo sbranatore di anime.
Cogliamo l'occasione per ricordare a chi di dovere che l'omissione grave è peccato (non bontà): omettere di "punire"
uno come Santoro è molto grave...
(11) Gravissimo sacrilegio!
(12) "A suo dire", ma perché il Cardinale dopo tanti avvisi non interviene? Evidentemente similis cum similibus...
(13) Il che è molto, ma molto grave!
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