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Ricordando Toaff
in sintonia con il popolo ebraico


di Elena Loewenthal
(famosa giornalista ebrea)

Segnalato dal Centro Studi Giuseppe Federici

Articolo eloquente sul rapporto intercorso tra Giovanni Paolo II e l'Ebraismo. Un rapporto che un autentico Papa non potrebbe iniziare né continuare. [Sullo stesso argomento vedi anche Doc. n. 1]

Doc. n. 2

 

Grassetti, colori, parentesi quadre, sottolineature
e quanto scritto nello spazio giallo sono della Redazione


       La Bibbia non è soltanto il libro sacro. Non è soltanto il dettato di Dio, consegnato dall'alto a un'umanità interdetta. È anche l'impronta di quell'immane distanza che separa da sempre e per sempre il cielo dalla terra. Fra una dimensione e l'altra, infatti, la parola dell'Eterno quasi nulla s'assomiglia: da quella dell'uomo. Sono così pochi i verbi che l'uno e gli altri hanno in comune, che attestano la reciprocità.
       Fra i pochi ve n'è uno, però, che lungo il tessuto sacro suona come un imperativo o una speranza. Un proponimento e un patrimonio. Ricorda!: è ingiunto tante e tante volte da Dio agli uomini nella Bibbia. Ricordo: dice anche di sé l'Eterno, vuoi per rassicurare vuoi per punire chi lo ascolta. Anche per questo la memoria è stata per secoli e millenni il tesoro dei figli d'Israele: un bene da tramandare ai propri figli ogni giorno che passava. Un indispensabile meccanismo di sopravvivenza perché quando non possiedi più nulla, nemmeno la licenza di esistere, allora non resta che ricordare.
       Per questo, la menzione di Elio Toaff nel testamento di Giovanni Paolo II è, da un punto di vista ebraico (1), ben più di un semplice tributo di gratitudine, della rievocazione di un passato condiviso da uomini, a partire da quel giorno in cui il papa entrò in sinagoga e si sedette con il rabbino. Il ricordo è per il popolo d'Israele qualcosa di più concreto. È qualcosa che quasi tocchi con mano: non per nulla, il memoriale alla Shoah si chiama «Yad wa-Shem», che in ebraico significa «Mano e Nome». Su questa collina di Gerusalemme, il monumento ai bambini non è altro che buio, una luce sola riflessa all'infinito e un milione e mezzo di nomi scanditi anch'essi, all'infinito. Il ricordo è un patrimonio, un territorio dell'anima. È una materia tenace, indispensabile alla vita. Non ha nulla di simbolico, la memoria, nell'ebraismo. Non è mai un convenevole di pura cortesia.
       L'ebraismo la sente come qualcosa di vivo: è presenza autentica, non vaga ombra del passato. Per questo, il testamento del papa con la menzione del rabbino tocca le corde più profonde, più antiche e tenaci del popolo ebraico. È il segno di una sintonia che le parole faticano a spiegare. È la voce -anzi, la mano e il nome- di una rispondenza preziosa, e così rara, dentro una lunga storia che ha più diviso che unito (2). In parole povere, arriva dritta al cuore.

Fonte: La Stampa dell' 8 aprile 2005

 

 

 

 

 

 

 

 

 


(1) E com'è da un punto di vista cristiano?

 

 

 

 

 

 

(2) A Vojtyla auguriamo che ci sia un paradiso ebraico che possa accoglierlo e ricompensarlo dei buoni servigi resi agli ebrei, perché non pensiamo proprio che Cristo possa averlo accolto nel Suo Paradiso!

 
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