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Deus caritas est
Ma caritas non è amor...

       A proposito dell'Enciclica di Benedetto XVI il Prof. Franco Damiani, voce fuori dal coro, ci scrive proponendoci delle osservazioni e riflessioni intelligenti e appropriate, sulle quali non sarebbe male soffermarsi con la massima ponderatezza e con la serietà richieste dall'argomento trattato.
       Precisiamo in premessa che tradurre il giovanneo Deus caritas est in "Dio è amore" non è corretto, non è esatto e in una società sensuale e sessuata come la nostra appare fuorviante e inopportuno, infatti la caritas cristiana (o evangelica) è ben diversa dall'amor latino: la prima si connota di spiritualità, il secondo di materialità carnale e sessuale; la prima esprime e significa un rapporto divinizzato e superiore alla materialità delle apparenze, il secondo si cala tanto nella materialità della carne fino a tingersi di rude bestialità nella bramosia della più sfrenata sensualità.
       Per tali differenze, ben note in ambito ecclesiastico, condividiamo in pieno la perplessità manifestata dal Prof. Damiani di fronte all'esaltazione dell'amore, dell'«amor», come "
certo pregustamento del vertice dell'esistenza, di quella beatitudine a cui il nostro essere tende": nessun appagamento sessuale, seppur lecito e consacrato dal matrimonio, potrà mai eguagliare l'appagamento spirituale di chi gode nella sua verginità di essersi dato interamente a Dio. Godere del sesso è umano, ma godere della verginità è angelico, è da esseri superiori! ad imitazione dei Vergini per eccellenza: nostro Signore Gesù Cristo, la sua purissima e semprevergine Madre Maria eil suo castissimo e immacolato padre putativo Giuseppe.
Ci auguriamo pertanto che Benedetto XVI intervenga subito per correggere e rigettare certe folli interpretazioni date alla sua Enciclica.

S. P.
Grassetti, colori, parentesi quadre, sottolineature, corsivi
e quanto scritto nello spazio giallo sono generalmente della Redazione

       Gentile direttore,    
       leggo nell'articolo di Arcangelo Paglialunga "L'enciclica di Ratzinger" che dall'affermazione "Dio è amore", che dà il titolo al documento,  "derivano conseguenze su (sic) piano religioso, morale e sociale".
       Non è facile, nel corso dell'articolo, trovare traccia di tali "conseguenze".
       Tuttavia non dovrebbero essere così sconvolgenti, visto che non mi pare che tale definizione sia una novità per la Chiesa. A meno che non la si intenda contrapposta ad altre parimenti legittime ("Dio è Verità", "Dio è Giustizia").
       Anche la righe dedicate dall'articolista al rapporto "eros-agape" meriterebbero qualche approfondimento: ancora una volta, dov'è la novità, dov' è la "sorpresa" di cui l'articolista parla?
       Forse la novità (ma molto relativa, alla luce del "magistero" degli ultimi quarant'anni) sta in quell'«anche» che si legge nel titolo della pagina interna: "L'eros aperto anche alla nascita di una vita". Che significa quell'«anche»?
       La Chiesa ha insegnato per quasi duemila anni che la finalità procreativa è l'unica che legittima un atto di per sé disordinato come quello sessuale. Ora addirittura l'eros diventa "un certo pregustamento del vertice dell'esistenza, di quella beatitudine a cui il nostro essere tende".
       Sembra, mi duole dirlo, di leggere i teorici del tantra, dell'estasi mistico-sessuale buddista.
       E la castità, cui anche i coniugi devono tendere?
       E la verginità, di cui Nostro Signore e la Sua Beatissima Madre diedero gli esempi più sublimi? 
       "Forse, raramente nella storia della Chiesa sono state pronunciate parole così chiare sull'eros da non condannare ma da portare verso l'agape".
       Davvero?
       Paglialunga si rilegga la "Casti connubii" di Pio XI, si rilegga Sant'Agostino e capirà che cosa è chiarezza e che cosa è ambiguità.
       Ratzinger ha forse ripristinato la dottrina tradizionale della procreazione ed educazione dei figli come fine primario del matrimonio? Non pare.
       Ha forse condannato (era l'occasione propizia) le recenti inquietanti esternazioni di personaggi come Cottier (teologo della casa pontificia sotto Wojtyla), Barragan, Camino e Martini sulla liceità "in certi casi" della contraccezione ai fini della prevenzione dell'AIDS? Tutt'altro, se n'è ben guardato, ed è questo silenzio a mio avviso l'aspetto più inquietantemente chiaro.
       O non teorizzano i novatori che pure i silenzi dei Papi sono significativi? Non dovrà quindi intendersi che, nel quadro dell'attacco neomodernista alla morale sessuale, questa enciclica rappresenta la mossa finale, dopo le sortite di quei prelati? 
       Si passa poi alla seconda parte dell'enciclica, dove si analizza il rapporto Chiesa -Stato.
       Non manca anche qui la frecciatina verso il passato: "i rappresentanti della Chiesa hanno percepito solo lentamente il problema della giusta struttura della società" (poveretti, bisogna comprenderli: non avevano avuto la fortuna di partecipare al Vaticano II).
       Naturalmente non vengono fatti i nomi di questi "alunni un po' lenti": consueta tattica modernista di sconfessare con nonchalance, senza prendersi la responsabilità di un' aperta rottura.
       Addirittura Paglialunga scrive che "con estremo rispetto della verità Benedetto XVI ammette che, in passato, gli uomini della Chiesa non hanno percepito le novità sociali che si annunciavano, e il marxismo, nel prospettare certe richieste, non era in errore".
       E' lecito chiedere a un Papa e a un recensore maggiore chiarezza?
       Chi sarebbero questi "uomini della Chiesa" da cui si prendono le distanze? Leone XIII, S. Pio X?
       E quali sarebbero le "novità sociali" che non "percepirono" (mentre, va da sé, Ratzinger, lui, ha capito tutto).
       Il sommario di prima pagina recita: "Allo Stato la giustizia, alla Chiesa la carità".
       Davvero è questa la dottrina della Chiesa?
       Reminiscenze catechistiche e liceali mi suggeriscono che era un po' diversa: alla Chiesa spetta guidare l'uomo alla felicità spirituale, allo Stato guidarlo a quella temporale. Qui sembra invece che alla Chiesa della giustizia non debba importare granché e che essa sia un'istituzione unicamente caritativa.
       E' veramente questo che intende Benedetto XVI?
       Anche qui duole dirlo ma il contesto sembra indicare una risposta positiva: per coprirsi le spalle egli cita Sant'Agostino ("Uno Stato senza giustizia non è altro che una banda di ladri") ma non trae da questa affermazione le necessarie conseguenze, che sarebbero le seguenti:
       TUTTI gli Stati odierni sono associazioni a delinquere, dato che legiferano (vedi divorzio, aborto, bestemmia, contraccezione, pornografia, omosessualità) contro la legge naturale e divina, quindi sono TUTTI delle associazioni a delinquere.
       I Papi del passato non avrebbero scritto su questo un'enciclica: avrebbero da tempo scomunicato tutti i governanti, che invece Benedetto XVI va a riverire a casa loro e riceve ossequiosamente in Vaticano. 

Franco Damiani
Villafranca Padovana (PD)

 

 

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