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XXV

UNA BREVE DIGRESSIONE SUI POTERI DELL'EUROCRAZIA, E IN PARTICOLARE DELLA CORTE DI GIUSTIZIA. - COME IL POTERE EUROCRATICO SVUOTERÀ ANCHE LE AUTONOMIE REGIONALI E LOCALI IN GENERE

       Per illustrare quali immensi poteri si sia già arrogata l'U.E. a discapito delle autonomie degli Stati membri, ci pare opportuno invitare il lettore ad una ulteriore, sommaria riflessione sui poteri della Corte di Giustizia, cui già abbiamo fatto cenno al capitolo XXI. Quell'organo, invero, in base al disposto dell'articolo 220 correlato agli articoli da 226 a 243 del Trattato istitutivo della Comunità europea, stabilisce con giudizio insindacabile l'interpretazione del Trattato stesso e di tutta la alluvionale e vieppiù invasiva normativa comunitaria. Tale monopolistica interpretazione è direttamente vincolante per i giudici dei singoli Stati e prevale sulle legislazioni nazionali. In tal modo la Corte di Giustizia non solo è ben più di una Corte di cassazione le cui enunciazioni di principio, a differenza delle sue, non vincolano in generale i giudici di merito, ma scavalca anche i Parlamenti abrogandone le leggi e sovrapponendosi al potere legislativo, e quindi alla sovranità popolare.
       Si è poi già visto che questa competenza della Corte di giustizia in sostanza si risolve in una costituzionalizzazione del Trattato e di tutta la normativa comunitaria anche nel campo dei diritti fondamentali. Ma mentre la Corte costituzionale, tolta di mezzo una norma non ha il potere di rimpiazzarla100, la Corte di giustizia ha quello di imporre agli Stati membri di modificare le relative legislazioni in conformità alle proprie interpretazioni, sanzionando le inottemperanze. Essa, insomma, funziona anche come gendarme legislativo stabilendo penalità nei confronti degli Stati che non si adeguano agli obblighi nascenti, sempre a suo insindacabile giudizio, dalla normativa e dalle prescrizioni comunitarie, anche qui soverchiando popoli e Parlamenti.
       In questo contesto è stata introdotta in Italia la legge 9 marzo 1989 nr. 86 - cosiddetta legge La Pergola, modificata poi dalla legge 29 dicembre 2000 nr. 422 - diretta al recepimento delle prescrizioni contenute nelle sentenze di condanna del nostro Stato pronunciate da quella Corte, oltreché, sempre sotto minaccia di future condanne da parte della Corte stessa, di tutti i numerosissimi atti vincolanti (direttive e decisioni) emanati dalla U.E.. Per non parlare della valanga dei "regolamenti" che sono direttamente applicabili nel territorio di tutti gli Stati.
       In concreto sul piano nazionale si addiviene a decreti legislativi in cui il Parlamento finge di dare una delega al Governo, mentre in realtà si limita, con una unanimità che supera ogni distinzione fra maggioranza e opposizione, a trascrivere, dando loro illusoria veste di normativa nazionale, le prescrizioni comunitarie che sopraggiungono sempre più numerose. Si tratta, in buona sostanza, di una commedia mediante la quale sempre più spesso si fa apparire come atto di sovranità dello Stato emanato in conformità alle regole della Costituzione nazionale - anche qui ridotta a fantasma - ciò che invece è stato deciso e ordinato altrove scavalcando, si ripete, popoli e Parlamenti.
       Le materie di intervento comunitario sono le più eterogenee e le prescrizioni assai penetranti. Basti dire, a titolo di esempio, che con la legge 3 febbraio 2003 nr. 14, il Parlamento ha "delegato" il Governo ad attuare una quarantina scarsa di direttive comunitarie che vanno dalla fatturazione in materia di IVA, alla autorizzazione al lavoro notturno anche da parte di giovani apprendisti nelle aziende di panificazione, pasticceria e in altri comparti, agli alimenti e bevande, in particolare alla pasta fresca, alla regolamentazione delle libere professioni (dentisti, avvocati, architetti), ai licenziamenti collettivi (già introdotti in Italia in ottemperanza a una precedente direttiva C.E.E.) al lavoro interinale, al codice stradale, ai bilanci delle società, all'ambiente e via discorrendo, non senza un'incursione in campo penalistico.
       Il compitino redatto dal Governo su "delega" del Parlamento viene poi riesaminato dalle autorità comunitarie e, se ritenuto sbagliato, può costare al Paese altre bacchettate della Corte di giustizia
con conseguenti aggiustature da parte del disiplinato scolaretto.
       È nel quadro di questo panorama comunitario che va letta tutta la tormentata questione delle autonomie delle regioni, le cui attribuzioni saranno limitate non solo dallo Stato, ormai sempre più simile a una larva, e per ciò stesso preoccupato di conservare qualche brandello di sovranità, ma ancor più, e in maniera sempre crescente, dall'Unione Europea. In questa direzione, infatti, si sta predisponendo una legge che tenga conto della riforma costituzionale relativa allo status delle regioni derivante dalla nuova formulazione dell'articolo 117 della Costituzione italiana, per passare alle regioni stesse, nelle materie loro devolute dallo Stato, l'obbligo di redigere i compitini per l'innanzi spettanti a quest'ultimo. Considerata sotto questo aspetto l'accesa diatriba sulla cosiddetta "devolution" perde gran parte del suo significato.


100 La Corte Costituzionale a volte interviene con sentenze additive, che cioè aggiungono ciò che manca ad una norma per compatibilizzarla con il dettato costituzionale. Non è questa la sede per approfondire il problema: basti dire che comunque l'affermazione di cui sopra non viene meno a causa di questa possibilità.

       Giova sottolineare, sebbene sia implicito in quanto si è detto, che le direttive eurocratiche vengono a formare un sempre crescente complesso legislativo intangibile e, per così dire, "sacro" nel senso che né il Parlamento né il popolo, ricorrendo quest'ultimo al referendum abrogativo, possono toccarlo.
       I poteri che la Corte di giustizia si arroga sono ancora più vasti di quelli sin qui delineati. Essa invero tende ad invadere anche il campo in precedenza riservato ai giudici ordinarî. Proprio mentre scriviamo queste righe ci giunge notizia di una sentenza in cui essa si pronuncia sul luogo in cui debbono essere grattugiati o affettati, e quindi confezionati, il grana padano e il prosciutto di Parma per potersi fregiare di tali denominazioni di origine. La decisione, peraltro ineccepibile, è stata favorevole all'Italia ma avrebbe potuto esserle contraria senza possibilità di rimedio, con pesanti ricadute sul piano economico e occupazionale.
       L'aspetto preoccupante della faccenda è che con la citata sentenza quella Corte si è appropriata di una competenza in materia di concorrenza sleale che il nostro codice disciplina attribuendola ai giudici dello Stato. La sua sentenza, invero, se sfavorevole agli imprenditori italiani, avrebbe dovuto essere da questi accettata anche con riferimento al territorio del nostro Paese.
       Accenniamo solo di sfuggita, nonostante la grande importanza del tema, al fatto che anche la Corte europea dei diritti dell'uomo interviene con sconcertanti sentenze come giudice superiore alla stessa Corte di Cassazione, per giunta entrando profondamente in questioni di merito che a quest'ultima sono precluse.
       Dovrebbe preoccupare il fatto che non siano previsti criterî per frenare l'invadenza di un potere al cui dilatarsi gli Stati nazionali non possono opporre alcun limite.

 

XXVI

COME TOGLIERE AGLI EUROINQUISITI ANCHE L'ULTIMA POSSIBILITÀ DI DIFESA: LA DECISIONE QUADRO SUL SEQUESTRO DEI BENI DELLE PERSONE COLPITE DAL MANDATO DI ARRESTO EUROPEO, OVVERO: "MARAMALDO TU UCCIDI UN UOMO MORTO!" - UN DUBBIO: C'È QUALCHE PERSONA PRECISA NEL MIRINO DELLA U.E.? ANCORA SUL CASO BERLUSCONI. PRIME CAMPANE A MORTO: I LEGHISTI

       Abbiamo riservato a questo penultimo capitolo un aspetto particolarmente odioso della normativa europeista sul mandato di arresto, e cioè il sequestro dei beni di coloro che sono colpiti da tale mandato. Non occorre essere uomini di legge per capire che si tratta di una norma perversa, diretta ad eliminare anche l'ultima possibilità di difesa dell'imputato. Non contenti di trascinare uno sventurato a migliaia di chilometri di distanza dalla sua terra, disperatamente solo in un paese straniero di cui non conosce né lingua né costumi, quei campioni della libertà e dei "diritti umani" che sono i costruttori dell'Europa unita, vogliono essere ben sicuri che la famiglia del deportato, ormai impotente e tagliato fuori dal mondo, non possa in qualche modo mettere in piedi un collegio agguerrito di avvocati e soprattutto mantener vivo nel paese di origine il ricordo del proprio caro e rendervi di pubblica ragione, sollevando imbarazzanti scandali, le inique fasi del giudizio cui è sottoposto. Mettendo in ginocchio e alla disperazione anche la famiglia il cerchio si chiude e il silenzio e l'oblio garantiscono la tranquillità della procedura.
       È questa evidentemente la via, per il vero molto originale, scelta dall'Unione per meglio assicurare l'applicazione del già citato articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (v. supra, capitolo XXI) laddove solennemente sancisce il diritto di ogni accusato di "avere l'assistenza di un difensore di propria scelta e, se non ha i mezzi per ricompensare un difensore, poter essere assistito gratuitamente da un avvocato d'ufficio".
       Di fronte a una così mostruosa ipocrisia, e ad una così prava volontà di distruzione dell'avversario, non si sa se indignarsi di più contro il legislatore europeo o, per la sua ignavia e la sua mancanza di senso critico, contro una massa di sudditi - domani schiavi - che non solo non reagiscono ma, supinamente seguendo il battage mass-mediatico, se la prendono con l'unico ministro degli esteri che abbia osato dire "no" a un simile obbrobrio.
Questo ulteriore inasprimento di una normativa la cui iniquità parrebbe insuperabile, alimenta in noi un sospetto. Invero, ragionando sul tema, è agevole osservare che anche una persona che disponga di un patrimonio abbastanza rilevante è già messa nella pratica impossibilità di difendersi senza bisogno di ricorrere al sequestro dei suoi beni. Si faccia l'ipotesi di un italiano rinserrato nel più remoto carcere della Lettonia, o viceversa, se si preferisce, di un lèttone detenuto nella più estrema punta meridionale del nostro Paese perché accusato di "xenofobia". Per garantirgli un minimo di assistenza ci vorrà quanto meno un congiunto a lui devotissimo che, lasciando lavoro, interessi ed altri affetti, vada a seguirlo stabilmente a così grande distanza per conferire con lui in carcere, sostenendolo psicologicamente e concordando le linee della difesa.
       Costui, tanto per cominciare, andrà incontro a viaggi e soggiorni costosi, a visite certamente rese difficili da ordinamenti penitenziarî che, nello spirito europeista, saranno sempre più "blindati". Bisognerà poi che si procuri un interprete e cerchi un legale di grande prestigio retribuendolo a lungo e adeguatamente. Ma vi è di più: questo eroe dell'amore familiare avrà la certezza che il suo nome - già sospetto per via della sua parentela con l'arrestato - verrà evidenziato nelle liste di proscrizione dell'"Osservatorio europeo contro il razzismo e la xenofobia" e quindi non potrà ignorare di esporsi al concretissimo rischio di trovarsi in breve in posizione analoga a quella di colui per difendere il quale tanto si è prodigato.
       Ma anche quando egli avrà osato tutto, sacrificata la propria posizione, speso somme enormi per tutelare il proprio caro, come potrà difenderlo dall'accusa di discriminazione o di razzismo, di xenofobia o di terrorismo nel senso che abbiamo illustrato, per un fatto, poniamo "commesso" due anni prima a 3000 chilometri di distanza dal luogo in cui è detenuto? E del resto chi, avendo una lingua in bocca e un cervello in testa, non si sarà reso colpevole del "delitto" di discriminazione? La sola militanza in un partito politico, la sola professione di una fede religiosa o di un qualunque convincimento ne forniranno la prova sicura. E allora, a che serviranno tutti quei viaggi, quei sacrifici, quelle grandi spese e quegli ancor maggiori rischi?
       In realtà, anche se il legislatore europeo nella sua smania di onnipotenza non si accontenta di un sol colpo mortale (non gli basta la sola, decisiva eliminazione delle regole sulla competenza territoriale), ma ne vuole parecchi (eliminazione del principio della doppia punibilità, eliminazione di ogni controllo sul fondamento dell'estradizione, introduzione di svariate figure di reato così generiche che una sola di esse basterebbe a mandare in carcere l'umanità intera) questa ulteriore novità venuta alla luce in un secondo momento, e quindi frutto di un ripensamento, ha tutta l'apparenza di avere finalità ben precise. Quali? La risposta a questa domanda dipende da quella ad un'altra domanda: quali e quanti mezzi economici o politici occorrono per difendersi efficacemente contro il mandato d'arresto europeo? La risposta ci pare evidente: sul piano processuale, come si è ampiamente dimostrato, nessuno può difendersi dall'accusa di "discriminazione". Sarà dunque sufficiente addurre tale titolo di "reato" e la prova della "colpevolezza" dell'estradato sarà sempre agevole e sicura. Ci pare dunque evidente che la normativa sul sequestro dei beni non deve riguardare la prova e la difesa legale, sempre e comunque perdente101.


101 La configurazione del "reato" di "discriminazione" se non vi sarà una robusta reazione alla attuale deriva europeista, verrà inevitabilmente orientata tanto nell'interpretazione delle leggi che già lo prevedono quanto nella futura produzione legislativa, dal citato articolo 13 del Trattato istitutivo della Comunità europea, il cui testo abbiamo riportato al capitolo XXI. Ricordiamo che tale articolo contiene, fra gli altri, il divieto di discriminare persone, per le loro "tendenze sessuali". Orbene la criminalizzazione di siffatte condotte discriminatorie comporta conseguenze paradossali che stranamente, a quanto almeno ci risulta, nessuno sin qui ha preso in considerazione. Anche alla luce del documento del Parlamento europeo sull'"Orientamento sessuale" e gli "stili di vita" richiamato al capitolo XVI, ipotizziamo che un qualsiasi giudice di un qualsiasi Paese dell'U.E. spicchi un mandato di arresto nei confronti del magistrato di un altro Paese membro, accusandolo di discriminazione per aver condannato a pene detentive persone imputate di corruzione di minorenni, di atti osceni in luogo pubblico o di diffusione di film pornografici e pedopornografici. Considerato che non vigerebbe più il principio della doppia punibilità, né quello della competenza territoriale, e tenuto anche conto del fatto che le ragioni di emissione del mandato stesso non possono essere sindacate nel Paese del giudice accusato, ci si chiede quali strumenti di difesa giuridica vi sarebbero a favore di quest'ultimo per sottrarsi alla deportazione.
       Tanto più grave, poi, sarà la sua posizione, se la sua qualità di cattolico convinto giustificherà la non infondata illazione che egli sia stato maggiormente motivato nel suo procedere "discriminatorio" da convinzioni "religiose" e in particolare da una certa pagina del Vangelo in cui si parla di macine da mulino da appendersi al collo e di tuffi nel profondo del mare. Non va poi dimenticato che fra le "tendenze sessuali" penalmente tutelate dalla legislazione antidiscriminatoria, oltre alla pedofilia, così cara agli eurocrati e rappresentata su scala internazionale dal "Pedophile liberation front" (P.L.F.), vi è anche il sadismo che sempre più spesso sfocia - si parla in questo caso di "sesso estremo" - nella uccisione del soggetto passivo. Ricordiamo per l'Italia il caso Stevanin e, per il Belgio, quello legato al nome di Marc Dutroux - più noto come "il mostro di Marcinelle" - che per lo strano svolgimento delle indagini e le evidenti protezioni di cui godeva quel pedofilo pluriomicida destò gravi sospetti di potenti protezioni e di altolocate complicità, in ambiente governativo e ai più alti livelli della dirigenza europea.
Dunque, anche il giudice che procedesse per episodi siffatti, facendosi fragile scudo del proprio diritto nazionale, potrebbe essere perseguito ed estradato da qualsiasi collega dello "spazio di libertà, sicurezza e giustizia" garantito dal mandato d'arresto europeo e, per le ragioni procedurali che si sono viste al capitolo VII della seconda sezione, nessuno potrebbe mettere in discussione il provvedimento che lo toglie di mezzo.
       Giova aggiungere che la non perseguibilità di condotte motivate da "tendenze sessuali" è esplicitamente richiamata al punto 12 del preambolo alla decisione quadro sul mandato d'arresto.
       Si potrebbe allargare il discorso e parlare più a lungo dell'articolo 13 del Trattato in parola, ma già da quanto sin qui si è detto risulta evidente che ci troviamo di fronte all'emergere di una concezione di diritto, e conseguentemente di delitto, rovesciata rispetto a quella sinora vigente. Il diritto, tutto il diritto, non solo quello penale, fino ad oggi, anche prima e fuori dal Cristianesimo, è sempre stato fondato sulla discriminazione-distinzione fra giusto e ingiusto, bene e male e, in definitiva, vero-falso, dato che per male ed ingiusto si è sempre inteso il rifiuto di regole obiettivamente giuste e vere. Ora, di contro, quella discriminazione viene presentata come delitto e, reciprocamente, ciò che era delitto si costituisce in diritto. Nel nuovo ordine di idee europeista, anche il concetto di libertà è capovolto: prima la mia sfera di libertà si riteneva garantita in primo luogo da una serie di divieti che impedivano agli altri di lederla ("non ammazzare", "non rubare", ecc.); ora quei divieti stessi diventano colpa e reato: è l'applicazione del rivoluzionario principio sessantottesco "è proibito proibire" che apparve quell'anno sui muri dell'Università di Parigi.

       Essa deve invece essere preordinata a stroncare altri mezzi di difesa collegati da un lato alla notorietà del personaggio da togliere di circolazione, e dall'altro, e più ancora, alla sua disponibilità di mezzi, talmente imponenti da consentire ai suoi congiunti ed amici di tener vivo nel pubblico il suo ricordo, di rendere note le sue vicissitudini e le fasi del processo tenendovi puntati sopra i riflettori della stampa e, ancor più, della televisione, rompendo così quel clima di riservatezza e di "discrezione" che sta tanto a cuore al legislatore europeista. Personaggi simili sono pochi, anzi pochissimi. Forse dunque non ha tutti i torti quel malignaccio dell'autore del citato libro "Il bavaglio europeista" quando, peraltro adducendo ulteriori svariati argomenti, esprime il sospetto, del resto non solo suo, che "dietro la proposta europea si nascondesse un disegno per consentire a qualche magistrato straniero… di mettere in imbarazzo Berlusconi tirando in ballo la sua pregressa attività di imprenditore"102. Non dunque ancora, almeno per il momento, di discriminatore.
       Il sospetto appare tanto più fondato ove si pensi che addirittura il ministro degli esteri tedesco, Herta Däubler Gmelin, si è spinto a sostenere l'abusata e depistante tesi dell'opposizione italiana secondo cui la posizione del nostro governo "in materia di confisca di beni fa sorgere il sospetto di essere condizionata da considerazioni personali del capo del governo"103.
       Lungi da chi scrive l'idea di voler difendere l'operato imprenditoriale dell'on. Berlusconi: non è questo il tema. Qui ci preme solo dire che non ci sembra che per avere l'eventuale soddisfazione di vedere in carcere questo o quel personaggio valga la pena di rinunciare a tutte le nostre libertà consegnandoci mani e piedi legati all'arbitrio di migliaia di euromagistrati e degli schedatori e compilatori delle liste di proscrizione dell'Osservatorio europeo di Vienna dei fenomeni di razzismo, xenofobia, discriminazione"104. Tanto più che arrestando il capo di un governo democraticamente eletto si imbocca una comoda, ulteriore scorciatoia, per annullare la volontà dei popoli, e con essa quel che resta dell'autonomia degli Stati. D'altronde non ci pare nemmeno che una classe politica, o meglio tecnocratica che, evidentemente per coprire i proprî vergognosi vizî, vuole normalizzare la pedofilia e tutte le perversioni sessuali elevandole a diritti, e quindi a valori, abbia veste per "moralizzare" chicchessia.
       Neppure va dimenticato il fatto, così efficacemente evidenziato da Mario Giordano nel suo "L'unione fa la truffa", che l'Europa è una sesquipedale mangiatoia dove si triturano e si divorano con gran disinvoltura miliardi di Euro tolti di tasca ai malcapitati cittadini dei paesi membri, e che quindi la legittimazione comunitaria a moralizzare anche solo in campo finanziario è quanto mai discutibile. Comunque, se quanto si è detto sui rischi che corre l'on. Berlusconi è esatto non si può non convenire che egli è stato non poco imprudente a rimuovere le riserve in ordine alla decisione quadro sul sequestro dei beni degli arrestati che aveva sollevato il ministro Castelli. Quanto a quest'ultimo personaggio, chi scrive gli è molto grato per avere lui, ingegnere, unico fra tutti i 15 ministri di giustizia dell'Unione Europea, verosimilmente tutti giuristi, magari di grido, sollevato il caso, e ci piace particolarmente la sua già citata affermazione di non voler "svendere il popolo italiano". Questa frase però ci suggerisce un'amara considerazione: è sommamente preoccupante vive-


102 M. Spataro, "Il bavaglio europeista…", cit., pag. 97. Vedansi anche, sul tema, le pagine 96-98 e 99.
103 "La Padania", 1° marzo 2002, pag. 7.
104 La citata inserzione fatta pubblicare da quell'"Osservatorio" su "La Repubblica" del 7.10.1999 indica tra le funzioni dei suoi dipendenti quella di "concepire e gestire una banca dati di ricerca sul razzismo e la discriminazione e gli episodi (vale a dire le persone, N.d.A.) ad essi legati".


re in un contesto politico in cui i ministri hanno veste per "svendere" all'insaputa di tutti, interi popoli. Non ci pare davvero che questo sia molto democratico.
       Ci sia peraltro concesso di togliere all'on. Castelli qualcosa del suo merito: egli ha agito anche nel proprio personale interesse. Invero non può non essersi reso conto che "svendendo" gli italiani avrebbe svenduto se stesso anche perché - come si è visto - la sua militanza politica lo espone in prima persona alle diligenti schedature dell'Osservatorio viennese e alle premurose attenzioni degli euromagistrati.
       Le mani del Consiglio d'Europa, invero, iniziano ad allungarsi verso i paesi membri dell'U.E., ad anticipare cautamente le future azioni repressive, le deportazioni, la possibile eliminazione di categorie intere di oppositori; quel Consiglio lancia "l'allarme Lega… razzista e xenofoba" ed osserva più in generale con preoccupazione che in Italia la xenofobia si manifesta fra l'altro, in "pregiudizi sociali (e) atti di discriminazione…". Il Consiglio d'Europa stigmatizza la "propaganda razzista e xenofoba da parte di esponenti di certi partiti politici italiani, che presenta gli immigrati extracomunitari come responsabili del degrado delle condizioni di sicurezza, della disoccupazione, e li dipinge come una minaccia per la difesa dell'identità nazionale"105. Avere "pregiudizi", difendere l'"identità nazionale", affermare che le patrie galere sono piene di extracomunitari (questo è un mero dato statistico) e di conseguenza temere il fenomeno di una immigrazione incontrollata, integra gli estremi del razzismo e della xenofobia. Come sottrarsi ad una conclusione tanto impressionante quanto incredibilmente vera: vi sono partiti politici che nella loro interezza sono votati da delinquenti, diretti e composti da persone che commettono reati di gravità tale (razzismo e xenofobia, ipotesi contemplata al 17° punto della proposta quadro in esame) da richiedere un mandato di arresto europeo. Questa gente stia attenta: l'Europa li sta catalogando, e al contempo sta approntando i mezzi per reprimere questi reprobi, per stanarli, per deportarli e stroncare la loro criminosa attività, lontano dagli occhi e dal controllo dell'opinione pubblica del paese di provenienza. Fuori dall'acqua, si sa, neppure il pesce più formidabile ha speranza di scampo.

 

XXVII

UN UTILE PROMEMORIA STORICO DEDICATO AI MINISTRI DI GIUSTIZIA EUROPEI E IN GENERE A TUTTI GLI UOMINI POLITICI DELL'UNIONE: NON SENTITEVI TANTO SICURI, L'EUROMANDATO VI CONCERNE PERSONALMENTE!

       Abbiamo concluso il capitolo precedente parlando dei pericoli cui l'euromandato espone l'on. Castelli in quanto leghista. In questo capitolo conclusivo vorremmo ricordare anche ai ministri degli altri 14 Stati dell'Unione che hanno accettato entrambe le decisioni quadro qui criticate che essi, oltre ad assumersi responsabilità tremende di fronte ai loro popoli, hanno dimostrato una sconcertante incapacità di cogliere i più evidenti insegnamenti della storia. La criminalizzazione di milioni di europei, la possibilità astratta di deportarli, di privarli di ogni difesa, di depredarli di ogni bene induce a pensare al futuro alla luce del passato.


105 "La Repubblica", 23.4.2002.

       Abbiamo già visto, infatti, che i precedenti giuridici e storici dell'Unione si trovano nella Rivoluzione francese e in quella russa, e che la tecnica in base alla quale è stato costruito il mandato di arresto europeo è la stessa che ispirò la legge dei sospetti, quella del 22 pratile e l'articolo 58 del codice penale sovietico del 1926: la tecnica, cioè, del terrore giacobino e bolscevico. Ma se così è, se davvero siamo alla vigilia di una terza Rivoluzione, quella che completa e conclude le due precedenti, è da queste ultime che dobbiamo desumere gli insegnamenti per prevedere l'avvenire che ci attende se il mandato passerà. Orbene, una delle più evidenti caratteristiche di entrambi i citati rivolgimenti precorritori è quella espressa dal ben noto detto secondo cui "la Rivoluzione divora i proprî figli". E valga il vero: Filippo d'Orléans, Gran Maestro della massoneria francese, prepara nel suo palazzo, il Palais Royal, la rivoluzione: di lì, infatti, scocca la scintilla finale col famoso grido "Alle armi" lanciato il 12 luglio 1789, due giorni prima della caduta della Bastiglia, da un altro "fratello" massone, Camillo Desmoulins. Cinque anni dopo le teste di entrambi cadono sotto la lama della ghigliottina. Il filosofo Condorcet, uno degli ideologi della Rivoluzione, membro dell'Assemblea Legislativa e della Convenzione, si avvelena in carcere, Pétion che della Convenzione, eletta fra le stragi di settembre, è stato nominato presidente quasi all'unanimità, fugge per sottrarsi alla condanna e il suo cadavere viene ritrovato in una landa deserta, divorato dai lupi. Stessa fine fa Buzot, rappresentante della città di Évreux agli Stati Generali. Jean Sylvain Bailly, già Presidente dell'Assemblea Nazionale e prestigioso sindaco di Parigi fino al 1791, lascia la sua testa sotto la ghigliottina nel 1793. Mirabeau, che della Rivoluzione è stato uno dei principali promotori e ideologi, l'illuminato di Baviera Mirabeau che a un certo punto pareva onnipotente, sfugge al patibolo solo perché ha la fortuna di morire quando la Rivoluzione è ancora agli inizî, ma Vergniaud, che ha presieduto il tribunale che ha condannato a morte il re, viene ghigliottinato proprio come Luigi XVI. Stessa fine fa Hébert, il popolarissimo direttore dell'osceno giornale "Père Duchesne" che con Giacomo Roux, morto suicida in carcere, rappresenta più di ogni altro l'anima e le tendenze comuniste della grande Rivoluzione liberale. Con lui sale il patibolo, fra gli altri, il prussiano Anacarsi Clootz che nel contesto rivoluzionario appariva come il principale teorico dell'ateismo, colui che, con chiara reminiscenza massonica, si era fregiato del titolo di "oratore del genere umano", e aveva proclamato "la religione dei Diritti dell'uomo" contrapponendola alla "falsa" religione di Dio. Sedici giorni dopo è la volta di Danton, lui pure in buona compagnia di personaggi politici di spicco, fra cui Hérault de Séchelles, già Presidente della Convenzione e membro del sanguinoso Comitato di salute pubblica. Danton, che aveva reclamato la testa del re, ministro della giustizia, organizzatore di eserciti, è uno degli uomini simbolo della Rivoluzione francese. Non passano neppure cinque mesi e il 28 luglio (10 termidoro) 1794, la ruota gira ancora e tocca a Robespierre, e cioè proprio a colui che aveva spedito al patibolo, fra i tanti, Hébert e Danton coi rispettivi cortei. E con Robespierre vanno alla morte, altri due protagonisti della Rivoluzione: Saint Just e Couthon insieme con 19 personaggi, fra cui quel Dumas che fino al giorno prima era stato presidente del Tribunale rivoluzionario che ora lo condanna. Il deputato montagnardo Lebas, membro del Comitato di Sicurezza Generale, sfugge alla esecuzione bruciandosi le cervella con un colpo di pistola.
       Quando poi, con la morte di Robespierre, considerato quasi come la sua personificazione, la Rivoluzione all'interno della Francia, sotto il Direttorio, si fa meno sanguinosa, viene giustiziato Fouquier Tinville, il grande accusatore del Tribunale rivoluzionario, soprannominato "la mannaia della Convenzione", di quella Convenzione che si era suicidata pezzo per pezzo mandando a morte di volta in volta, i girondini, gli hébertisti, i dantonisti e i robespierristi.
       La rivoluzione russa segue le orme di quella francese alla quale, del resto, Stalin espressamente si richiamò nel suo discorso del 5 marzo 1937 al Comitato Centrale con cui cercò di giustificare quello che viene definito "Il Grande Terrore"106.
       La tecnica per instaurare questo nuovo Terrore, enormemente più vasto di quello pur terribile della Rivoluzione dell'89, è, come si è visto, la medesima: una legislazione penale formulata in termini il più possibile generici, tali da consentire ai giudici di regime, agendo su ordinazione o anche di iniziativa, di togliere di mezzo chiunque in qualunque momento. Anche qui - come già nell'esame del famigerato articolo 58 - ci è di guida Solgenitsin che cita una lettera del 17 maggio 1921 spedita da Lenin a Dimitri Kurskij, commissario del popolo per la giustizia, addetto alla formulazione delle leggi:
       "la giustizia - si legge in quella missiva - non deve eliminare il terrore; prometterlo sarebbe autoinganno o inganno, deve invece fondarne e legittimarne il principio; chiaramente, senza falsità e senza abbellimenti. Occorre formulare con la massima ampiezza possibile, perché soltanto la coscienza giuridica rivoluzionaria e la coscienza rivoluzionaria stessa potranno suggerire la sua applicazione di fatto, più o meno larga.
       Saluti comunisti. Lenin"
107.
       In altri termini: ricorriamo a pseudofigure di reato così vaste che nessuno possa sfuggirvi. Ma poiché non possiamo deportare o fucilare tutti, sarà "la coscienza rivoluzionaria", magari - aggiungiamo noi - orientata da qualche opportuna direttiva superiore, a stabilire chi, quanti e quando dovranno cadere vittime del Terrore che, colpendo a piacimento e senza limiti, deve tappare tutte le bocche e assicurare l'universale, tremebonda obbedienza. È la stessa identica tecnica legislativa di cui si avvale il legislatore europeista, che però la porta al parossismo, ricorrendo non solo a formulazioni ancor più generiche, ma anche ai due principî - ignoti sia ai giacobini che ai loro eredi bolscevichi - che abbiamo diffusamente illustrato, e cioè la soppressione della competenza territoriale, con la conseguente instaurazione della competenza universale, e l'abolizione del principio della doppia punibilità. Tali davvero rivoluzionarî principî non erano percorribili né dai giacobini né dai bolscevichi, mancando loro quel contesto di legislazioni e giurisprudenze molteplici e di Paesi eterogenei con del pari molteplici idiomi, che caratterizza invece l'U.E..
       Per l'argomento di cui ci occupiamo in questo capitolo, e cioè la legge, per così dire fisica, in base alla quale la Rivoluzione divora i proprî figli, è significativo tener presente che queste direttive di Lenin erano preordinate a regolamentare i processi contro i menscevichi e i socialisti rivoluzionarî, e quindi contro rivoluzionarî bensì, al pari dei bolscevichi, ma appartenenti a fasi della Rivoluzione superate, o comunque scartate da coloro che ne reggevano il timone. In una lettera anteriore di


106 "La Francia della Rivoluzione e dell'Impero - spiegò Stalin in quella circostanza - formicolò sempre di spie e di agenti di diversione inviati sul suo territorio dai russi, dai tedeschi, dagli austriaci e dagli inglesi… non è forse questa la legge dei rapporti reciproci fra gli Stati borghesi? E allora perché essi avrebbero dovuto spedire nelle retrovie dell'Unione Sovietica meno spie e meno sabotatori?" (citato in M. Mazzucchellli, "Saint-Just", dall'Oglio ed., 1980, pag. 272).
107 A. Solgenitsin, "Arcipelago Gulag", cit., pag. 356. Solgenitsin trae la citazione dal volume 45° (pag. 190) della V edizione delle "Opere complete" di Lenin.


due giorni a quella testé richiamata, sempre diretta al medesimo commissario del popolo, Lenin aveva infatti scritto:
       "Compagno Kurskij! Secondo me occorre allargare l'applicazione della fucilazione… (da sostituire con la deportazione all'estero) per tutte le forme di attività dei menscevichi, socialisti rivoluzionari, ecc…"108. Dove quell'"eccetera" la dice lunga. Istruttiva e calzante al nostro tema è anche la "deportazione all'estero"109. A questo punto torna opportuno ricordare quanto già si è detto al capitolo XX, e cioè che se il mandato di arresto europeo non parla ancora di fucilazione, si può star tuttavia certi che, una volta instaurato il regime del terrore giudiziario, se quella pena verrà introdotta, specie solo in qualche paese un po' eccentrico, sarà difficile e persino pericoloso sollevare la benché minima obiezione. Senza dimenticare che se anche la pena di morte non dovesse essere introdotta, carceri come quelle turche potrebbero divenire una tomba metaforica ben peggiore di un vero e proprio loculo cimiteriale.
       Solgenitsin, con l'autorità che gli deriva dalla sua personale esperienza di sopravvissuto, illustra anche qual era in clima di terrore, la posizione degli avvocati difensori e dei testimoni a difesa. Nel processo contro il metropolita Veniamin - egli riferisce - "il tribunale minacciò di mettere dentro lo stesso capo dei difensori Bobriscev-Puskin e la cosa era tanto nello spirito dei tempi e così probabile che Bobriscev-Puskin si affrettò a consegnare a Gurovic l'orologio d'oro e il portafoglio. Il tribunale deliberò di arrestare subito un testimone, il professor Egorov, per essersi espresso a favore del metropolita.
       Ma risultò che Egorov si era preparato: aveva con sé una grossa cartella con del cibo, la biancheria e perfino una piccola coperta"
110. È questo un episodio della lotta anticristiana ereditata dalla Rivoluzione francese, ma tornando alla sorte degli iscritti agli altri partiti che pure avevano partecipato alla Rivoluzione va detto che nessuno di loro in un modo o nell'altro sfuggì alla condanna: "Gli elenchi erano conservati, i turni si susseguivano… L'operazione si protrasse per molti anni…"111 senza dare nell'occhio.
       Eliminati i compagni di viaggio il partito comunista passò all'autofagia. Scrive sempre Solgenitsin: "Ora si avvicina, molto lentamente, ma si avvicina, il turno dei membri del partito al potere! Per ora (1927-1929) è "l'opposizione operaia" o i trockisti che si sono scelti un leader malriuscito. Per ora sono centinaia, presto saranno migliaia. Ma intanto i guai sono iniziati. Come i trockisti avevano osservato con calma la carcerazione dei membri di altri partiti, così adesso il resto del partito osserva con approvazione quella dei trockisti. A ognuno il proprio turno. Seguirà l'opposizione "di destra". A forza di masticare un membro dopo l'altro partendo dalla coda, le fauci arriveranno alla propria testa"112.
       La partenza è lenta, ma la marcia via via si accelera: "Le fiumane (di deportati e fucilati, N.d.A.) nascevano per una misteriosa legge del rinnovamento degli Organi, era un periodico piccolo sacrificio agli dèi, affinché chi rimaneva potesse assumere l'aria di purificato. Il rinnovamento degli Organi doveva avvenire più rapidamente di quanto invecchiano normalmente le generazioni umane: certi branchi di KGBisti dovevano perire con la stessa ineluttabilità con cui uno storione va a morire sui ciottoli di un fiume per esser sostituito… I re degli Organi, i loro assi e perfino i ministri offrivano il collo alla loro stessa ghigliottina nell'ora indicata dalle stelle.


108 Id., pag. 355. Sempre dal 45° Vol. della V ediz., pag. 189.
109 Fra la deportazione bolscevica e l'estradizione europeista c'è un'importante differenza: essere deportati dalla Russia significava bensì non vedere più patria e congiunti e trovarsi soli e senza mezzi in un paese straniero. Rimaneva nondimeno la libertà. Nella deportazione-estradizione europea si perde, con tutto il resto, anche la libertà.
110 A. Solgenitsin, "Arcipelago Gulag", cit., pag. 353.
111 Id., pagg. 50-51.
112 Id., pag. 68.

       Jagoda si tirò dietro uno di quei branchi… Poco dopo si tirò dietro un secondo branco il poco longevo Ezov… Ci fu poi il gruppo di Berija"113. Eppure Berija era un uomo potente come pochi, tanto potente che pare sia stato lui a far fuori Stalin114, a sua volta travolto, per vie anomale, dal marchingegno diabolico lasciatogli in eredità da Lenin e da lui stesso perfezionato… E che dire della fine di Bucharin, di Kamenev, di Zinoviev e di tanti altri personaggi di primo e secondo piano del partito bolscevico? Anche Krylenko, lo spietato accusatore dei grandi processi fino al 1938, il Fouquier Tinville della Rivoluzione russa, fu scoperto come nemico del popolo e finì i suoi giorni in una delle terribili carceri che egli stesso aveva così attivamente contribuito a popolare.
       Sono fatti, almeno nelle loro grandi linee, ben noti, ma che rispolveriamo di fronte all'incoscienza suicida dei "grandi" uomini politici che si illudono di intrappolare i popoli restando fuori dal gioco. Che tanta autolesionistica ottusità non sia il frutto della loro affiliazione a quelle logge massoniche, il cui peso in seno ai grandi organismi internazionali è ben noto?
       Ognuno di essi, invero, esotericamente si illude di essere un burattinaio, mentre è solo un burattino115. Del resto dovrebbe essere a tutti evidente che in clima di legge dei sospetti e, ancora di più, di mandato d'arresto continentale, i regolamenti di conti anche all'interno dei gruppi o del gruppo al potere , come si fecero così si faranno utilizzando appunto tali strumenti. Nessuno quindi potrà stare tranquillo, perché in qualche remota procura della repubblica ci sarà forse qualche a lui ignoto magistrato che ha già pronto nel cassetto, per tirarlo fuori al momento opportuno, il capo di imputazione che lo toglierà di mezzo, por andolo magari molto lontano.
       A questo riguardo ci pare istruttivo ricordare che la sezione tedesca di "Amnesty International" ha recentemente denunciato il fatto che in Russia - ed è ragionevole ritenere che ciò valga per tutto il blocco dei Paesi ex-comunisti, compresi quelli che entreranno fra breve in U.E - "salvo rare eccezioni i magistrati sono gli stessi dell'epoca sovietica e non fanno altro che perpetuare le vecchie consuetudini burocratiche. Alle quali si aggiunge spesso il fenomeno della corruzione."116 Sono, insomma, i magistrati abituati alla repressione della "dissidenza" ed alla fornitura di materiale umano all'arcipelago gulag del regime comunista. Magistrati, cioè, non riveduti, e per giunta corrotti.
       Ma più che la presuntuosa stoltezza di costoro ci colpisce la leggerezza di tanti parlamentari europei o nazionali che pur non essendo legati alla disciplina delle logge, marciano verso l'abisso, trascinandovi i loro elettorati inebriati, o anche solo assopiti, da un euroentusiasmo artificialmente indotto dall'oligarchia europeista e mondialista che manovra i mezzi di comunicazione di massa. È


113 Id., pagg. 168-169.
114 Id., pag. 170.
115 Rinviamo ancora una volta chi voglia informarsi su questi poteri al volume "Massoneria e sette segrete - La faccia occulta della storia", ed. Ichthys.

proprio a questi politici, oltreché agli uomini di legge, che è più particolarmente diretto questo tragico promemoria.
       Siamo perfettamente consapevoli che le cause della vicenda che qui denunciamo e di cui siamo angosciati spettatori, sono molto profonde: stiamo vivendo una crisi non di regime, ma di civiltà. L'Europa, questa Europa, l'Europa del mandato d'arresto, nasce proprio perché non è più l'Europa. Rinnegate le radici cristiane che la hanno edificata e difesa contro il più che millenario assalto islamico e le forze corrosive che sorgevano al suo interno, standardizzata dal centralismo burocratico e onnicomprensivo degli Stati proliferati dalla Rivoluzione francese, cancellate le sue gelose e veramente democratiche autonomie locali, viziata e asservita da un acritico e passivo positivismo giuridico frutto della perdita di quei solidi parametri di bene e di male, di giusto e d ingiusto, che i Comandamenti, e più in generale la morale cattolica, le avevano inculcato, essa è sprofondata in un abisso di scetticismo, materialismo, economicismo ed edonismo in cui il cemento spirituale che l'aveva edificata è quasi totalmente perduto.
       Non per nulla essa è nata all'insegna non di un ideale, ma dal "mammona di iniquità" (Luca, 16, 9), del denaro: l'euro. E non per nulla, attuando il monito scritturale "è per mezzo delle stesse cose con cui uno pecca, che viene punito" (Sap. 11, 17), quell'idolo si è rivolto contro gli europei, dapprima, come si è detto, depauperandoli al momento della sua introduzione per via del suo potere di acquisto assai minore di quello delle varie valute nazionali, poi seminando ulteriore disagio e disoccupazione col suo rialzo rispetto al dollaro sui mercati internazionali, rialzo che ha bloccato le esportazioni e incrementato le importazioni.
       Di tutto questo, ripetiamo, siamo perfettamente consapevoli e aggiungiamo che proprio perché l'Europa non è più Europa avendo smarrito le proprie radici cristiane, essa si è aperta all'invasione di popoli con religioni e morali profondamente diverse che stanno introducendo nel suo seno poligamia, burqe e chador, infibulazione e schiavismo.
       Pur in questa dolorosa consapevolezza, nella speranza che quanto meno l'istinto di conservazione induca salutari ripensamenti, e comunque per poter dire a noi stessi di aver fatto quanto era in nostro potere, lanciamo questo messaggio prima che la cappa del Terrore europeista soffochi le voci,e non solo le voci, dei dissenzienti.

 

XXVIII

VIETATO PENSARE, SE È VERO, COME LO È, CHE IL PENSIERO SERVE A DISTINGUERE, A DISCRIMINARE. O MEGLIO: SI PUÒ PENSARE SOLO CIÒ CHE IL GRANDE FRATELLO PERMETTE DI PENSARE. UN'ANTICIPAZIONE DELLA SITUAZIONE ATTUALE NEL ROMANZO DI ORWELL: "1984". 1984 O 2004?

       Torniamo su concetti già in parte esplicitati: riflettendo, oggi che riflettere è ancora possibile (fino al primo gennaio 2004?), il pensiero in quanto tale è discriminante, cioè serve per propria intrinseca natura a cogliere il discrimen, la differenza insita nelle varie realtà con cui ci si relaziona. Infatti il principio di identità per cui ogni uomo è ciò che è, porta gli esseri pensanti in quanto tali a distinguere ciò che è diverso (o altro) da sé, ed a distinguere le diverse realtà anche all'interno di se stessi, tanto sotto l'aspetto fisico (una gamba non è un braccio), quanto sotto quello spirituale (la gioia non è la medesima cosa del dolore).
       Di più, anche senza invocare le superiori facoltà razionali dell'essere umano, pure la bestia dispone di una propria struttura elementare di pensiero, anch'essa deputata alla funzione di discriminare, cioè di distinguere: il simile dal dissimile, il pericolo dalla sicurezza, l'animale amico da quello nemico, la pianta commestibile da quella velenosa, l'essere animato da quello inanimato… . Insomma, solo nel regno vegetale e minerale manca questa capacità di discernimento, e dunque di pensiero (quantomeno elementare), di cui ogni animale è invece dotato.
       Va peraltro incidentalmente ricordato, come già si è detto, che è ben diverso un generico atto discriminatorio determinato da ragioni ideali o religiose (spesso moralmente doveroso) dal caso di chi commette un vero e proprio reato spinto da spirito discriminatorio.
       Sanzionare il "reprobo" solo perché discrimina, e cioè l'uomo colpevole di avere pensato (pensare, lo si ribadisce = distinguere = discriminare) significa in fondo pretendere di disporre di sudditi ridotti a livello di vegetali. Ora, siccome una simile assurdità è facile a dirsi ma impossibile a realizzarsi, è certamente utile rileggere alcuni brani del romanzo di Orwell "1984" per chiedersi quanto siano o possano essere attuali e profetiche ipotesi che il romanziere collocò temporalmente vent'anni prima rispetto all'entrata in vigore del mandato di arresto europeo.
       Prima di passare a questa indagine, giova ribadire che la repressione comunitaria non colpisce solo le discriminazioni che si manifestano attraverso comportamenti, ma anche le semplici espressioni di idee. Del resto esporre un pensiero discriminante per ragioni, poniamo, ideali, è già un comportamento. Si pensi a chi, pur senza compiere reati propriamente detti (calunnia, diffamazione, ecc.), dichiari la propria netta e circostanziata avversione morale ad una determinata categoria di avversari politici. In secondo luogo, se non si vogliono fare ragionamenti privi di ogni senso della realtà delle cose, si deve ammettere che cogliere in linea teorica il discrimen, la differenza, induce anche in linea pratica a comportamenti differenziati e cioè a discriminazioni: ad es. tutto il sistema di tutela delle minoranze etniche e linguistiche è basato su forme di discriminazione; anche l'assunzione presso i partiti e le organizzazioni di tendenza è basata su discriminazioni; tutti, nei rapporti interpersonali, per concludere con un ultimo esempio, effettuano delle scelte: la scelta è l'elezione di uno ed il rigetto dell'altro, è una discriminazione… Non a caso, per tornare a quanto già detto, è stata richiesta l'estradizione della Fallaci, colpevole di avere espresso opinioni classificate come razziste (in realtà, discriminatorie su base religiosa).
       Certo, va ribadito ad abundantiam che non essendo assolutamente possibile travolgere la realtà delle cose, previsioni quali quelle comunitarie sono solo strumentali alla repressione dell'avversario, di chi ostacola, di chi non si allinea al pensabenismo, come si vedrà esaminando "1984".
       Ebbene, nell'(allora) lontano 1984 Orwell ipotizza un mondo diviso in blocchi costantemente in lotta fra di loro. In Oceania, a Londra, vive il protagonista del romanzo, Winston. L'uomo, come tutti gli altri membri del Partito, è sotto il costante controllo di un teleschermo che riceve e trasmette al contempo: il Grande Fratello controlla tutto. Il cardine del sistema è rappresentato dalla Psicopolizia: "Quella che soprattutto contava era la polizia del pensiero, la cosiddetta Psicopolizia".
       L'ordinamento governativo dell'Oceania prevede una serie di ministeri il cui nome rappresenta l'esatto contrario di ciò che vorrebbe significare: il Ministero della Verità è in realtà una centrale di menzogne, il Ministero della Pace ha competenze in materia di guerra…
       Senza ripercorrere la trama del romanzo, ma valutandone solamente alcuni passaggi più significativi, vediamo ora le linee essenziali dello scritto.
       Winston cova la ribellione: ad un certo punto, di nascosto, in un'area apparentemente non sorvegliata dal Grande Fratello, inizia a scrivere un diario: "La penna (di Winston) aveva voluttuosamente vagato sulla carta levigata e aveva tracciato in grandi, chiare maiuscole: ABBASSO IL GRANDE FRATELLO ABBASSO IL GRANDE FRATELLO ABBASSO IL GRANDE FRATELLO e ancora e ancora, fino a riempire metà della pagina. Non poté fare a meno di sentire una fitta di panico. (…) Tra lo scrivere ABBASSO IL GRANDE FRATELLO e l'astenersi dallo scriverlo, non c'era alcuna differenza… La Psicopolizia lo avrebbe preso lo stesso. (…) Psicoreato, lo chiamavano. E uno psicoreato non era cosa che si potesse nascondere per sempre. Si poteva eludere la vigilanza per un po', anche per qualche anno, ma prima o poi si sarebbe stati scoperti e presi. Succedeva sempre di notte; gli arresti avvenivano invariabilmente di notte. Quello scossone che faceva svegliare di soprassalto, quella mano che scuoteva la spalla, le luci che pizzicavano gli occhi assonnati… (…) La gente spariva, così, semplicemente, e sempre di notte".
       Chi si oppone al Partito scompare… l'analogia con le prospettive aperte dal mandato di arresto europeo è eloquente: quest'ultimo sembra in effetti modellato su ipotesi orwelliane, permettendo di sradicare il deviante dalla sua terra e deportarlo, lontano dagli occhi e dal controllo della sua gente: "Comunemente, chi diveniva inviso al Partito non faceva che scomparire e non se ne sentiva parlare più. Né si aveva il più pallido indizio di quel che gli potesse esser successo". Infatti, come spiega lo psicopoliziotto O'Brien al povero Winston (finito nelle sgrinfie del Partito in conseguenza della propria ribellione): "…l'Inquisizione faceva strage dei suoi nemici apertamente, alla luce del sole…(…) Gli uomini morivano perché non volevano saperne di abbandonare la loro fede. Il risultato ovvio era che tutta la gloria apparteneva alla vittima e tutta la vergognosa riprovazione cadeva invece sull'inquisitore che la faceva bruciare. (… ) I russi perseguitavano l'eresia con molto maggiore ferocia di quanto aveva fatto la stessa Inquisizione. E credettero di avere appreso qualche cosa dagli errori del passato; sapevano benissimo, a ogni modo, che non bisogna creare martiri. Prima di esporre le loro vittime a pubblici processi, si impegnavano con tutte le forze a distruggerne la dignità. Ne logoravano la fibra con le torture e con la solitudine, fino a che non li riducevano a essere abbietti, pronti a confessare, senza esitazione, qualsiasi sproposito fosse stato messo loro in bocca… Eppure… allorché la degradazione di quegli eretici veniva dimenticata… essi si trasformavano in martiri. (…) Devi toglierti completamente dalla testa, caro Winston, la speranza che la posterità ti possa vendicare. La posterità non saprà mai nemmeno che tu sei esistito. Tu sarai completamente cancellato dal corso della storia".
       Uno dei punti di forza del sistema instaurato dal Grande Fratello consiste nell'adattamento del passato alle esigenze del regime e nel mutamento della struttura e della funzione della lingua: si tratta dei sacri principi del Socing, cioè della Neolingua, del bispensiero (2+2= 4, ma se lo vuole il Partito fa anche 5), della mutevolezza del passato.
       Tornando al parallelo con l'U.E., oggi in Europa si vorrebbe vietare il pensiero "deviante". È la prospettiva di una umanità fotocopiata, come si è visto, che affascina anche il Gran Maestro Di Bernardo, nemico delle culture differenziate e della diversità, in nome della cultura unica, dell'uomo standard.
       Nel romanzo, Syme, collega di Winston, illustra uno dei principi cardine per il controllo delle menti. I mezzi per raggiungere tale scopo sono differenziati, ma la meta finale è la stessa, quella di evitare che vengano commessi psicoreati: "Stiamo dando alla lingua (al Socing, alla Neolingua, N.d.A) la sua forma finale… la forma che dovrà avere quando nessuno potrà parlare una lingua diversa. Quando avremmo finito la gente come te dovrà imparare di nuovo. (…) Non ti accorgi che il principale intento della neolingua consiste proprio nel semplificare al massimo le possibilità del pensiero? Giunti che saremo alla fine, renderemo il delitto di pensiero, ovvero lo Psicoreato, del tutto impossibile perché non ci saranno più parole per esprimerlo". In fondo la mira dell'U.E. non è quella di un sistema "giusto", possibile solo quando saranno state dimenticate (per chi accetta disciplinatamente), o punite (per chi mantiene la propria identità), sino a scomparire, le differenziazioni religiose, di convincimenti, ecc.? Questo sistema sarà possibile quando tutti gli uomini, saranno razza unica ed indistinta, con cultura e pensieri monotòni, per usare ancora una volta il linguaggio di Di Bernardo; o ancora, quando sarà compiuta l'unificazione delle cose della mente, per dirla con Huxley.

        In "1984", Goldstein (un fantomatico, immaginario capo-setta ebreo, già amico del Grande Fratello, poi divenuto capo dei ribelli) fa un'analisi dei sistemi repressivi. Egli osserva come il totalitarismo moderno rappresenti un unicum nella storia: "Persino la Chiesa Cattolica del Medioevo, considerata secondo lo standard odierno, era abbastanza tollerante". Al contempo emerge dal romanzo che l'abilità del Grande Fratello consiste anche nel non dare al popolo l'impressione di essere sottoposto ad una tirannide, prospettando il passato come epoca molto peggiore del presente e carica di vergogne. L'ordinamento creato, a tratti, pare persino tollerante (proprio come quello dell'U.E., per tornare a noi): "l'ammissione a una delle due categorie del Partito avviene in seguito a un esame… Non esiste nessuna discriminazione razziale, o alcun dominio riconosciuto dell'una sull'altra provincia". Si garantisce infatti un minimo di libertà o meglio, un'illusione di libertà: Julia, l'amante di Winston, lavora nella Pornosez, "… quella sottosezione del Reparto Amena che produceva materiale pornografico da distribuirsi fra i prolet… (…). C'era restata un anno e aveva dato mano a produrre certi fascicoletti che venivano messi in circolazione in pacchi sigillati, con titoli come "Storielle in gamba" o "Una notte in un collegio femminile", per esser comprati dai giovani prolet, possibilmente sottobanco, per dar loro l'impressione di fare qualcosa di illegale".
       Ciò nonostante il processo di unificazione delle cose della mente è presidiato da sistemi di incredibile possibilità repressiva. Il membro del Partito compie "… azioni (che) non vengono regolate dalla legge né da alcun codice chiaramente formulato". È opportuno notare, tornando all'U.E., che le norme comunitarie finalizzate a reprimere chi discrimina (e dunque distingue) per ragioni religiose o di convincimenti, sono talmente larghe che non sarà necessario un codice chiaramente formulato a stabilire quale condotta sia criminale e quale invece lecita, in quanto il Super-reato che vietando la discriminazione in sé e per sé vieta tout court il pensiero in quanto tale, determina la nascita di un sistema nebuloso che vietando tutto ha il solo scopo di lasciare al Potere spazi illimitati di repressione.
       Anche la prospettiva orwelliana raggiunge la standardizzazione delle menti nell'unico modo possibile, e cioè negando il pensiero (la distinzione). Ma al romanziere appare chiaro che è improponibile vietare sic et simpliciter di pensare, di distinguere la realtà, di dire che due più due fa quattro e non cinque; perciò lo scrittore è costretto ad escogitare un tipo di controllo mentale che permetta sì di pensare (discriminare), ma nel senso - contraddittorio - voluto dal Partito.
       Se il Partito lo vuole due più due non fa quattro: "Alla fine il Partito avrebbe proclamato che due e due fanno cinque, e si sarebbe dovuto crederlo. Era inevitabile che lo pretendesse, prima o poi. Lo esigeva la stessa logica della sua posizione. Non solo il valore dell'esperienza ma persino la stessa esistenza nella realtà esterna era tacitamente negata dal loro sistema filosofico. (…) Si richiede… che un membro del Partito non abbia soltanto opinioni consentite, ma soprattutto che siano consentiti i suoi istinti. La maggior parte delle opinioni e degli atteggiamenti che si richiedono da lui non sono mai stati chiaramente enunciati… Se si tratta di persona naturalmente ortodossa, pensabenista, in neolingua, egli saprà in tutte le circostanze, senza nemmeno starci a pensar su, qual è l'opinione consentita …"
       E in effetti non si può negare che già oggi, nell'ambito dell'U.E., si sappia quali sono le opinioni consentite e quali no, come dimostra fra l'altro il noto caso del Cardinal Biffi, duramente aggredito e tacciato di orientamenti nazistoidi dalla stampa orwellianamente pensabenista comunitaria, per aver sostenuto che al fine di evitare futuri problemi sociali sarebbe opportuno accogliere preferenzialmente extracomunitari di religione cristiana anziché musulmana. Se non fosse per la visibilità che spetta ad un Principe della Chiesa Romana, si potrebbe dire che il Cardinal Biffi è certamente uno dei primi candidati ai futuri gulag di Eurolandia.
       Quello che Biffi non ha effettuato, per dirla con le parole di Goldstein, è lo stopreato. "Lo stopreato sta a rappresentare, in sostanza, la facoltà di arrestarsi in modo rapido e deciso, e come per istinto, sulla soglia di qualsiasi pensiero pericoloso. Esso include la capacità di non cogliere le analogie, di non riuscire a percepire errori di logica… ove essi siano incompatibili con il Socing, e soprattutto d'esser presto affaticati e respinti da qualsiasi tentativo di elaborare una dialettica di pensiero che sia suscettibile di condurre in una direzione eretica. Stopreato significa, in sostanza, stupidità protettiva. (…) Ma esprime anche la particolare abilità che consiste nel credere che il nero sia bianco, o meglio addirittura di sapere che il nero è bianco, e di dimenticare d'aver mai creduto il contrario. (…) Bispensiero sta a significare la capacità di condividere simultaneamente due opinioni palesemente contraddittorie e di accertarle entrambe. L'intellettuale di Partito sa… perfettamente che sottopone la realtà a un processo di aggiustamento (egli infatti non distingue, là dove il Partito lo richieda, le diversità, ma le equipara cioè: 2+2 = 4 , ma anche 5…; rosso = nero; religione X = religione Y, ecc. N.d.A.); ma mediante l'esercizio del bispensiero riesce nel contempo a persuadere sé stesso che la realtà non è violata. (…) Spacciare deliberate menzogne e credervi con purità di cuore, dimenticare ogni avvenimento che è divenuto sconveniente, e quindi, allorché ridiventa necessario, trarlo dall'oblio per tutto quel tempo che abbisogna, negare l'esistenza della realtà obiettiva… tutto ciò è indispensabile in modo assoluto. (…) Se si vuole comandare e persistere nell'azione di comando bisogna anche essere capaci di manovrare e dirigere il senso della realtà". E infatti O'Brien, torturando Winston, gli vuole insegnare a leggere la realtà non in base a criteri obiettivi ma in base al proprio volere: si può distinguere (discriminare), vietarlo infatti sarebbe impossibile, ma si deve distinguere e cioè pensare, come vuole il Partito. Lo psicopoliziotto mostra a Winston quattro dita e lo tortura atrocemente in quanto quest'ultimo, alla domanda "Quante dita tengo su Winston?" risponde invariabilmente "Quattro".
       Alla fine il disgraziato, dato che non riesce a vedere cinque dita come vorrebbe il suo torturatore, conclude ""Non lo so. Non lo so. Mi farai morire se ripeterai l'esperimento. Quattro, cinque, sei… non so, in buona fede non lo so proprio". "Va meglio così" disse O'Brien".

       Romanzo e realtà si incontreranno? I presupposti in astratto ci sono: ora sta a chi può di opporsi, per evitare che si traduca in realtà su larga scala quanto riferisce un compagno di sventura del protagonista, tale Parson, che spiegando i motivi della propria detenzione osserva: "… non si è fatto proprio niente… niente all'infuori di qualche pensiero… qualche pensiero che non si è potuto fare a meno di pensare".
       È la miopia il primo male che ha risucchiato, nel corso della storia, i popoli nel vortice del disastro; va perciò ancora una volta ribadito che non ci si può limitare a spingere il proprio sguardo appena un metro più in là: è necessario tenere presente quali sconfinate prospettive aprono i princìpi eversivi che animano l'inciviltà del legislatore europeo. Il mandato di arresto europeo permette il controllo del presente attraverso la deportazione del deviante: "Chi controlla il passato, controlla il futuro; chi controlla il presente, controlla il passato", ammette Winston ripetendo uno slogan del Partito.
       E se opporsi dovesse costare, e se i più dovessero cedere alle enormi pressioni che il Leviatano europeo riesce a scatenare, in fondo si tratterebbe di un'ipotesi già verificatasi e comunque più volte immaginata nel corso della storia.
       Anche da Orwell, per restare a "1984": Winston seppe, con molta più sicurezza di prima, che non era pazzo. L'essere in minoranza, anche l'essere rimasto addirittura solo, non voleva dire affatto essere pazzi. C'era la verità e c'era la non verità, e se ci si fosse aggrappati alla verità, anche mettendosi contro tutto il mondo intero, non si era pazzi".


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