XXI
CONVENZIONE PER LA SALVAGUARDIA DEI DIRITTI DELL'UOMO
E DELLE LIBERTÀ FONDAMENTALI E TRATTATO DI AMSTERDAM: L'UNIONE
EUROPEA SI CONTRADDICE. COME LA METTIAMO? - VERSO "LA PIÙ
FORTE DELLE DITTATURE CHE I POPOLI ABBIANO MAI SPERIMENTATO"
Abbiamo già
accennato al capitolo XIX alla molteplicità degli organi comunitarî
ed al carattere diluviale e onnipervasivo della loro produzione normativa,
una produzione a getto continuo, di cui è umanamente impossibile
tener dietro agli sviluppi. Anche questa inconoscibilità di organi
e di norme che incidono sulla nostra vita di ogni giorno - non solo nei
suoi aspetti economici - è manifestazione evidente di un potere
elitario ed anonimo che non potrebbe essere più contrario al principio
della sovranità popolare. È riflettendo su queste tenebrose
strutture che Ida Magli, con l'acume che la contraddistingue, ben
prima che si profilasse il mandato di arresto per ricoprire i popoli del
continente con la sua pietra tombale, rilevato che "la democrazia
a Bruxelles è una farsa", ne concluse che con l'Unione
Europea si sta preparando "la più forte delle dittature
che i popoli abbiano mai sperimentato"79.
È una conclusione che dovrebbe mettere i brividi, ove si consideri
che fra i termini di paragone che quella antropologa ha avuto presenti
figurano certamente, a tacere delle dittature minori, il Terrore della
Francia rivoluzionaria, quello bolscevico e la tirannide nazionalsocialista.
A conferma dell'esattezza di
questo giudizio si potrebbero addurre innumerevoli esempi per illustrare
l'inaudita pervasività di un potere che determina la lunghezza
e l'arco di curvatura dei cetrioli e la misura massima delle banane80
e che, se non fosse stato fortunosamente bloccato da un deputato italiano,
l'onorevole Alberto Lembo, avrebbe imposto la chiusura di tutti i negozi
di pasta fresca, ulteriormente incrementando il disagio sociale e la disoccupazione,
come ha fatto ad esempio con le famigerate quote latte, sempre sacrificando
il produttore e il lavoratore autonomo agli interessi della grande industria.
A questo riguardo ci limitiamo
a riportare un suggestivo commento di Guido Ceronetti:
"il Duce impose le bestiali
leggi razziali, ma non arrivò mai alla fascistizzazione del gorgonzola.
I nazi non controllarono mai il grado di arianità del vino dell'Heuriger.
Stalin non pretese che nel caviale del Volga entrassero i geni della scolopendra
e del cetriolo
Le norme europee sono assassini sguinzagliati per
uccidere formaggi, pasta, olio, vino, pane, cioccolato (e, aggiungiamo
noi , tradizioni e posti di lavoro) e sostituirli con simulacri".
Ed ecco, in conclusione la logica
domanda "Ma chi la manovra quest'Europa delle norme? Dove ha
in mente di portarci? Per qual fine?"81.
79
Citato in Mario Giordano, "L'Unione fa la truffa. Tutto quello
che vi hanno nascosto sull'Europa", Mondadori ed., 2001, pag.
23.
80
Id., pagg. 45 e 52.
81
Id., pag. 57.
Il tema però
che vogliamo qui accennare e che più direttamente investe l'argomento
dei diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione, è quello
delle due Corti, vale a dire dei due supergiudici comunitarî: la
Corte europea dei diritti dell'uomo e la Corte di giustizia. Quanto alla
prima, che vigila sulle violazioni, o presunte tali, dei principi enunciati
nella Convenzione europea dei diritti dell'uomo e nei relativi protocolli,
è evidente dal suo stesso nome quanto essa, attraverso le sue pronunce,
vada ad incidere sulla sovranità degli Stati membri e in particolare
proprio sui diritti fondamentali del cittadino. Tanto più che ha
facoltà non solo di condannare al risarcimento del danno a favore
della presunta parte offesa lo Stato i cui organi ritiene abbiano violato
la Convenzione, ma addirittura di prescrivere l'abrogazione o la modifica
delle leggi statali che inappellabilmente reputa contrarie alla Convenzione
stessa.
A questo riguardo non è
chi non veda:
1) quanto la sovranità di uno Stato venga umiliata e in sostanza
negata di fronte ad un'entità superiore che lo giudica e lo condanna
mettendolo in posizione di sudditanza al pari di un qualsiasi privato
cittadino;
2) come il sostanziale potere legislativo esercitato dalla Corte in parola
esproprî il Parlamento e l'elettorato dei Paesi membri. Basti pensare
che una legge italiana sottoposta al vaglio di un referendum abrogativo
e in tale sede confermata dal 90 per cento dell'elettorato, potrebbe tuttavia
cadere sotto i colpi di questo remoto, anonimo e generalmente sconosciuto
organo comunitario, privo di ogni legittimazione democratica;
3) come - e questo è l'aspetto più preoccupante - quel giudice
lontano e straniero, sommo e quindi inappellabile, attraverso oscillazioni
ed eventualmente manipolazioni interpretative che nessuno può censurare,
possa limitare, deformare e praticamente sopprimere gli stessi diritti
fondamentali di cui si afferma custode.
Per il tema che qui ci occupa,
e cioè quello della libertà di manifestazione del proprio
pensiero, in particolare in ambito religioso, un campanello di allarme
è stato suonato con la sentenza 13 dicembre 2001, divenuta definitiva
il 27 marzo 2002, pronunciata in una controversia fra la "Chiesa
metropolitana di Bessarabia" e la Moldavia.
In detta sentenza, che riverbera
indirettamente i suoi effetti anche sullo Stato e, quel che più
importa, sul cittadino italiano, troviamo enunciato, al di là di
una decisione nel caso concreto condivisibile, il principio secondo cui
"può rivelarsi necessario apporre limiti a tale libertà
(quella religiosa, appunto, e con essa quella di manifestazione del
proprio pensiero) al fine di conciliare gli interessi dei diversi gruppi
e assicurare il rispetto delle convinzioni di ciascuno". Questa
affermazione, a prima vista conforme ai nostri principî costituzionali,
a un esame più approfondito appare preoccupante. Ci si domanda
infatti quali possano essere in concreto questi "limiti".
Forse che non dovrebbe bastare il diritto penale che vieta l'omicidio,
le lesioni personali, l'ingiuria, gli atti osceni in luogo pubblico proprî
di certi culti orgiastici? Quali "limiti", evidentemente
ulteriori ed estranei ai codici penali vigenti, vengono qui adombrati?
E che si intende per "rispetto delle convinzioni di ciascuno?"
Un conto è il rispetto delle persone, altro quello delle "convinzioni".
E qui giova ripetersi: non potrò io, in quanto cristiano, o comunque
per le mie convinzioni morali, deprecare come perverso il culto induista
di Shiva, laddove promuove i sacrifici umani in onore di Kalì e
Dhurga, e l'usanza, del pari induista, di bruciare la vedova sulla tomba
del marito? E dovrò forse rispettare, tanto per fare un ulteriore
esempio, la dottrina, e con essa i culti, fra i quali appunto quelli satanici,
che esaltano l'uso delle droghe come vie mistiche di illuminazione interiore,
o la condizione di umiliazione e avvilimento cui l'Islam condanna la donna
e lo schiavismo consacrato dal Corano e ancora in largo uso in vaste aree
musulmane?
Di qui la domanda: la Corte
europea non sta forse con queste parole cominciando ad introdurre surrettiziamente,
per via diversa da quella dei trattati internazionali, quella criminalizzazione
dei "convincimenti" che l'Unione persegue col suo mandato
d'arresto, e che capovolge il concetto stesso di diritto?
* * *
Importanza
ancora maggiore riveste la Corte di giustizia con sede in Lussemburgo.
Per dare brevemente al lettore un'idea dei poteri di questo organo apparentemente
solo giurisdizionale e del progressivo allargamento delle sue competenze
in mezzo secolo di esistenza, ci richiamiamo ad un'intervista al giudice
di quella Corte, già presidente della Corte costituzionale italiana,
Antonio La Pergola apparsa sul numero dell'11 gennaio 2003 della rivista
di attualità giuridica "Guida al Diritto", in
occasione appunto del cinquantenario dell'istituzione di quell'organo
comunitario. Alla domanda dell'intervistatore: "Si dice sempre
più spesso che la Corte di Giustizia sia di fatto una Corte costituzionale
per la Nostra Europa in divenire. È d'accordo con questa opinione?"
quel personaggio rispose: "direi di sì
l'integrazione
europea funziona come la Corte l'ha intesa e via via modellata nel mezzo
secolo che oggi celebriamo: è un fenomeno che non concerne solo
gli stati membri, ma anche direttamente i loro cittadini".
E li concerne, anzi ci concerne a tal punto che "spetta alla Corte
di Giustizia stabilire quali di questi diritti (e cioè dei
diritti considerati nel Trattato istitutivo della Comunità europea
e più in generale dal diritto dell'Unione) meritano nel contesto
comunitario il rango di diritti fondamentali e anche in ciò si
coglie la sua genuina vocazione di giudice costituzionale".
Infatti "il trattato (ha) acquistato, sotto più di un sostanziale
aspetto, il significato e valore di una carta costituzionale. Così
ha detto, del resto, la stessa Corte di Giustizia".
Quello della Corte di giustizia
è un tema vastissimo su cui torneremo in seguito, ma da quanto
si è detto si possono già trarre alcune conclusioni assai
rilevanti ai nostri fini:
1) al di là e al di sopra
delle Costituzioni nazionali si è formata un'altra costituzione,
enormemente più vasta e comprensiva delle prime, che conferisce
autorità simile a quella costituzionale a una pletora di norme
che investono molteplici aspetti della vita.
Alla Supercostituzione corrisponde
una Supercorte costituzionale che tende a ridisegnare il quadro dei "diritti
fondamentali" dei cittadini non solo in campo economico, ma anche,
per dirla col La Pergola, con riferimento a "quelli che sono stati
o potranno essere espressamente foggiati come diritti della cittadinanza
europea".
2) Questa Supercostituzione
costituita dai Trattati della Comunità, e più in generale
dal diritto comunitario, nasce da accordi stipulati e da decisioni prese
all'insaputa di tutti, ignoti persino alla stragrande maggioranza, per
non dire alla totalità, degli operatori del diritto82,
con un deficit, quindi, di democrazia che più totale non potrebbe
essere.
82
In realtà la produzione normativa dell'U.E. è oceanica.
L'ex Presidente del Consiglio Giuliano Amato, il 6 marzo 2001 scriveva:
"Per ogni 300 leggi che eliminiamo dalla "Gazzetta Ufficiale"
italiana ne arrivano 3000 di nuove dalla "Gazzetta Ufficiale"
europea" (id., pag. 39). Queste parole di un autorevolissimo
euroentusiasta dovrebbero indurre a serie riflessioni sul soffocante centralismo
burocratico che si dilata di giorno in giorno invadendo sempre nuovi spazî
e sulla compatibilità fra tale centralismo e il conclamato principio
di democrazia.
Gli uomini
di legge, invero, quasi sempre continuano a ragionare e operare in base
a vecchi schemi, senza rendersi appieno conto di quanto lo Stato nazionale
e la sua sovranità siano concetti superati. Prova ed esempio tangibile
di questa loro inconsapevolezza è appunto la generale sconoscenza
della gravissima problematica posta da un tema di così smisurata
importanza qual è appunto il mandato di arresto europeo.
Sempre per attenerci al nostro
specifico argomento - e cioè il mandato d'arresto europeo - è
molto probabile che esso, nonostante la sua smisurata gravità,
sarebbe passato sotto pressoché totale silenzio se non fosse stato
portato alla ribalta dalle obiezioni e resistenze del solo Governo italiano,
dando peraltro luogo a una campagna di stampa ampiamente depistante in
senso favorevole all'eurocrazia.
3) Un aspetto singolare di questa
Supercostituzione è che essa non solo non è "rigida"
e cioè non è cristallizzata in forme modificabili solamente
con procedure complesse e maggioranze qualificate, ma è in continua,
magmatica e incontrollata trasformazione, sempre, peraltro, nel senso
di un allargamento dei poteri degli organi comunitarî a discapito
degli Stati nazionali. I trattati si succedono ai trattati, i "protocolli"
si addensano in una selva selvaggia, per non parlare dei "regolamenti",
delle "direttive" e delle "decisioni". Restringendoci
una volta di più alla materia di cui ci stiamo occupando ricordiamo
che il Trattato istitutivo della Comunità europea del 1957, al
suo articolo 6, vietava soltanto le discriminazioni in base alla nazionalità,
e ciò nell'ambito di un orizzonte prevalentemente economico.
Il Trattato di Amsterdam del
2 ottobre 1997 ha stravolto il sistema precedente che da tendenzialmente
garantista è divenuto paurosamente dispotico sostituendo il precedente
articolo 6A con un articolo 13 che così suona:
"Fatte salve le altre
disposizioni del presente trattato e nell'ambito della competenza da esso
conferita alla Comunità, il Consiglio, deliberando all'unanimità
su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo,
può prendere i provvedimenti opportuni per combattere le discriminazioni
fondate sul sesso, la razza o l'origine etnica, la religione o le convinzioni
personali, gli handicap, l'età o le tendenze sessuali".
Ci troviamo di fronte a un vero
e proprio colpo di stato, o meglio, trattandosi dell'Europa, di continente,
fatto all'insaputa di tutti, che trasforma radicalmente il significato
stesso dell'Unione attraverso la soppressione di tutte le libertà
e l'incriminazione universale dei suoi cittadini.
È evidentemente nel contesto
di questo articolo del Trattato che si colloca la "Proposta di
decisione quadro sulla lotta contro il razzismo e la xenofobia"
di cui abbiamo parlato al capitolo XIII.
Questo articolo ci offre l'occasione
non solo di ribadire punti già sviluppati, ma di svolgere qualche
considerazione ulteriore:
1) l'aggiunta alle discriminazioni
fondate sulla religione di quelle fondate sulle "convinzioni personali"
dimostra ad usura l'esattezza di quanto abbiamo ripetutamente sostenuto,
e cioè che la criminalizzazione delle convinzioni religiose, in
quanto vere convinzioni, e come tali escludenti come erronee quelle
con esse incompatibili, si estende di necessità anche alle convinzioni
filosofiche e politiche. Qui, anzi, il legislatore europeo va ancora al
di là del campo dottrinale e ideologico giungendo a vietare qualunque
"convinzione" anche solo "personale"
che comporti discriminazione e quindi distinzione rispetto a quelle che
ne differiscono: in definitiva ogni distinzione tout court. In
questo quadro ancora più schiettamente demenziale, persino i contrasti
di opinione fra tifosi di squadre di calcio rivali sono configurabili
come delitti.
Criminalizzando le convinzioni
personali l'U.E. - lo ripetiamo una volta di più
- criminalizza il pensiero in quanto tale, e quindi l'uomo in quanto
essere pensante. L'uomo visto come nemico è una novità
assoluta nel campo del diritto.
2) La criminalizzazione delle
distinzioni fondate sulle "tendenze sessuali",
e quindi la criminalizzazione del senso di riprovazione e di disgusto
che destano in una persona di sano sentire la pedofilia e in genere le
perversioni del sesso, conferma quanto si è detto al capitolo XVI
sullo sforzo dell'alta dirigenza europea volto a coonestare, con una insistenza
più che sospetta, condotte evidentemente conformi alle concezioni
di vita dei suoi esponenti.
Per quanto questo articolo possa
apparire allucinante, va rilevato che esso prevede pur sempre una delibera
"all'unanimità". Di contro tutti certamente ricorderanno
che quando il ministro della giustizia italiano, Roberto Castelli, manifestò
il suo dissenso si scatenò contro di lui e contro il governo da
lui rappresentato una campagna esecratoria e intimidatoria, capeggiata
dal ministro degli esteri belga, Louis Michel, quasi che il dissenso costituisse
un imperdonabile delitto di leso europeismo. Fu all'esito di questa campagna,
sostenuta anche dalla maggioranza della stampa italiana, che si giunse
a quell'accordo Berlusconi-Verhofstadt di cui si è parlato al capitolo
III di questa sezione83.
83
Sono istruttive le dichiarazioni rilasciate dal ministro Castelli in un'intervista
al giornale del suo partito ("la Padania", 4.1.2002,
pag. 5): "È successo che l'Italia non si è piegata
(abbiamo però visto che purtroppo le cose non stanno esattamente
così, N.d.A.) a una decisione che la presidenza belga ci voleva
imporre dopo nemmeno due mesi di confronto. Perché così
è stato: mentre attorno alla cooperazione giudiziaria, tema sicuramente
meno impegnativo del mandato di arresto europeo, si è sviluppato
un dibattito durato quattro anni, sulla questione dell'arresto c'è
stato un pressing fortissimo per chiudere in pochissimo tempo. Con
la scusa del terrorismo ci siamo trovati il 20 settembre di fronte a un
progetto ben più ampio calato dall'alto, e il 5 dicembre ci hanno
detto: bisogna decidere oggi a tutti i costi. Noi abbiamo avuto il
coraggio di dire "no", se non a condizione di veder riconosciuta
l'esigenza di una verifica di conformità con il nostro ordinamento,
da attuare in Parlamento, sede della sovranità popolare".
È quantomeno inquietante che il Consiglio dell'Unione Europea si
sia trovato "di fronte a un progetto... calato dall'alto"
e che sia stato chiamato ad approvarlo disciplinatamente senza troppe
discussioni. "La scusa del terrorismo", si legge infatti
nell'intervista, è stato il pretesto per presentare la proposta
di decisione quadro e sollecitarne l'approvazione in tempi strettissimi.
Ora ci si chiede: quale momento psicologicamente più propizio si
sarebbe potuto trovare dell'indomani del clamoroso e impressionante attentato
alle "Twin Towers" per presentare con carattere di urgenza
una normativa all'insegna della difesa contro il terrorismo, evitando,
sull'onda emozionale, disturbanti "sottilizzazioni" e discussioni?
Ebbene, si rifletta sulle date:
5 settembre 2001: il Parlamento europeo approva una "raccomandazione"
con la quale chiede l'istituzione di un "mandato europeo di ricerca
e di cattura" per una serie di atti delittuosi, il primo
dei quali è appunto il terrorismo; 11 settembre: attentato alle
"Twin Towers"; 19 settembre (non 20 come erroneamente
ricorda Castelli; per correggerlo ci riferiamo al quaderno della Camera
dei deputati in nostro possesso): la Commissione presenta al Consiglio
dell'Unione Europea due proposte di decisione fra loro collegate, una
sul mandato di arresto e l'altra contro il terrorismo, inteso nel larghissimo
senso che abbiamo visto al capitolo XI.
Ricordiamo che anche negli USA
l'attacco alle "Twin Towers" ha offerto a Bush il destro,
oltre che per raccogliere il necessario consenso per le già progettate
invasioni dell'Afghanistan e dell'Iraq, per introdurre un "USA
Patriot Act 2001" che riduce enormemente le garanzie dei cittadini
e in genere dei residenti trasformando quel Paese in uno Stato di polizia.
Grazie alla nuova normativa, invero, la casa di ogni americano può
essere perquisita in qualunque momento ad arbitrio della forza pubblica
senza bisogno di mandato di giudice. Sono inoltre state allargate le possibilità
di intercettazione telefonica e via internet ed è stata introdotta
una possibilità di carcerazione preventiva per gli stranieri che
può protrarsi fino a sette giorni, pur in mancanza di qualsiasi
accusa. Il governo, per il vero, aveva proposto una custodia cautelare
addirittura a tempo indeterminato, ma ha dovuto fermarsi (cfr. "Avvenire",
27-10-2001, pag. 7). Il tutto è stato approvato a grande maggioranza
in sole sei settimane, mentre in precedenza vivissime erano le resistenze
alle propensioni liberticide degli ultimi governi USA. Niente di paragonabile
col mandato di arresto europeo e la connessa legge "antiterrorismo",
d'accordo, ma pur sempre misure di notevole gravità che imprimono
un grave colpo alle libertà civili e, rompendo gli argini, segnano
una tendenza che sarà agevole proseguire e sviluppare.
A prescindere
da quanto si è detto poc'anzi in ordine alle perplessità
che destano certe tendenze che emergono dalla giurisprudenza della Corte
europea dei diritti dell'uomo, ci pare necessario illuminare un aspetto
che non ci risulta sia mai stato preso in considerazione, e cioè
che il Trattato di Amsterdam col sopra riportato articolo 13 introduce
un principio (se di principî si può parlare di fronte
a una enunciazione che si risolve nella negazione di ogni principio)
in crudo contrasto con la "Convenzione di Roma del 4 novembre 1950
per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali"
a presidio della quale è stata istituita la Corte europea dei diritti
dell'uomo. È un tema che possiamo qui solo accennare, ma
la cui estrema rilevanza è più che evidente. Detta Convenzione,
invero, all'articolo 9 afferma il diritto alla libertà di pensiero,
coscienza e religione e all'articolo 10 ne deriva il principio secondo
cui "ogni individuo ha diritto alla libertà di espressione.
Tale diritto include la libertà di opinione e la libertà
di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza ingerenza alcuna
da parte delle autorità pubbliche e senza considerazione di frontiera".
Sono precisamente quelle libertà che, come si è visto, sono
negate in radice dal Trattato di Amsterdam e dalla "proposta di decisione
quadro" sul mandato europeo. Libertà che, come si è
visto, iniziano a subire i primi colpi di maglio proprio ad opera della
stessa Corte europea.
Per quanto in particolare concerne
le procedure giudiziarie ed i diritti dell'imputato, la Convenzione pone
principî e limiti che vengono ora smaccatamente contraddetti. L'articolo
5 di quel testo, infatti, alla lettera a) stabilisce che "nessuno
può esser privato della sua libertà salvo che"
sia "detenuto regolarmente in seguito a condanna da parte di un
tribunale competente". È evidente che il fondamentale
requisito e limite della "competenza" è travolto dalla
cancellazione di tale concetto in nome della competenza universale europea.
La lettera c) del medesimo articolo
riprende il concetto di competenza enunciando il principio secondo cui
anche l'arrestato "deve essere tradotto dinanzi all'autorità
giudiziaria competente". Di più: essa subordina
tale traduzione all'esigenza che vi siano a carico del detto arrestato
"ragioni plausibili per sospettare che abbia commesso un reato".
Sennonché, come abbiamo visto, il giudice italiano che si vede
recapitare il mandato di arresto di un cittadino italiano o straniero
residente in Italia emesso da un giudice lituano non ha la minima possibilità
di verificare l'esistenza di quelle "ragioni". Tanto
più che il magistrato richiedente è addirittura tenuto a
non indicarle anche per via della conformazione del modulo di richiesta.
Se questa è la sorte
dell'articolo 5 della Convenzione, ancor più triste è quella
riservata all'articolo 6. Esso infatti stabilisce che:
"Ogni accusato ha in
particolare diritto a:
a) essere informato nel più breve tempo possibile, in una lingua
da lui comprensibile e in modo dettagliato della natura e della causa
dell'accusa rivoltagli;
b) disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie per preparare la
sua difesa;
c) difendersi da sé o avere l'assistenza di un difensore di propria
scelta e, se non ha i mezzi per ricompensare un difensore, poter essere
assistito gratuitamente da un avvocato d'ufficio quando lo esigono gli
interessi della giustizia;
d) interrogare o far interrogare i testimoni a carico ed ottenere la convocazione
e l'interrogatorio dei testimoni a discarico nelle stesse condizioni dei
testimoni a carico;
e) farsi assistere gratuitamente da un interprete se non comprende la
lingua impiegata nell'udienza".
Ebbene, riportandoci a quanto
detto in sede di illustrazione della "decisione quadro", quanto
al punto a), il principio dell'informazione dettagliata e immediata
dell'accusa e delle cause, e quindi delle prove, della stessa,
è precisamente quello che per primo viene annichilito dalla normativa
sul mandato di arresto europeo: l'accusato, invero, si vedrà recapitare
un sommario capo di imputazione sulla cui genericità, pur se massima,
l'autorità giudiziaria del paese in cui si trova non avrà
alcun potere di interloquire, senza alcuna indicazione delle prove, né
"dettagliata", né generica, e l'unica attività
che verrà svolta "nel più breve tempo possibile"
sarà quello di ammanettarlo, impacchettarlo, e caricarlo su un
furgone o un vagone cellulare.
Quanto al punto b), la sua abrogazione
risulta chiara da quel che si è detto a proposito del punto a).
Tanto più che una volta trasferito in terra straniera, in un paese
di cui quasi sempre ignorerà la lingua e nel quale, magari, il
presunto reato non è stato commesso, lo sventurato cittadino europeo
o l'imprudente ospite di quello "spazio di libertà, sicurezza
e giustizia" che sarà l'Unione Europea, lungi dal godere
di "facilitazioni per preparare la difesa", si troverà
nella pratica impossibilità di provvedervi. Basti pensare al già
citato caso di un cittadino italiano (de)portato in Lituania per un fatto
assertamente commesso in Grecia. Tutto ciò a prescindere dalle
incognite dei varî sistemi procedurali, sempre ignoti all'estradato
in terra straniera.
Il cardine del punto c) è
certamente il diritto di farsi assistere da un "difensore di propria
scelta", e cioè da un difensore di fiducia.
Come abbiamo già illustrato
questo diritto è assassinato al pari degli altri.
Invero, per tenerci all'ultimo
esempio, a parte le gravosissime spese di una simile difesa: che servirà
a me, italiano, processato in Lituania per un fatto che mi si accusa di
aver commesso in Grecia, nominare mio avvocato di fiducia il miglior penalista
d'Italia che non sa una parola della lingua del paese in cui sono processato
e ignora la procedura che governa il mio processo dalla A alla Z? Evidentemente
nulla. E il difensore d'ufficio che, se la legge del luogo lo prevede,
mi sarà nominato, come potrà conferire con me? Chi pagherà
l'interprete per preparare la difesa, posto che l'interprete gratuito
[punto e)] è previsto solo per l'udienza? E se l'opera del difensore
d'ufficio non è retribuita dallo Stato, come potrà egli
dedicarsi a una difesa così impegnativa come quella di uno straniero
estradato per un fatto che si afferma commesso in un paese lontano?
L'ultima domanda che ci siamo
posti ci traghetta immediatamente al punto d). Teniamoci sempre all'esempio:
detenuto in Lituania, accusato per un fatto commesso in Grecia, come potrò
io dal mio carcere individuare e convocare gli eventuali testimonî
greci? Di più. Come potrò provare di non essere mai stato
in Grecia, o di esservi stato solo una volta vent'anni fa, con una gita
organizzata?
Il punto e), infine (nomina
dell'interprete per chi ignora la lingua), ha peso e significato quando
vengano riconosciute le regole - che il mandato di arresto europeo vuole
sopprimere - della competenza territoriale. Infatti con l'attuale normativa
se, trovandomi in Lituania, vengo accusato di avervi commesso un reato
e sono ancora in quello Stato (se sono rientrato in Italia, come si è
visto, la Costituzione non consente la mia estradizione) sarò giudicato
dal giudice lituano competente per territorio. Certo, se ignoro la lingua
del luogo mi troverò molto a disagio, ma la nomina dell'interprete
è l'unica garanzia che l'autorità lituana mi può
accordare per superare questa difficoltà. Insomma è uno
svantaggio oggettivo cui il legislatore lituano rimedia nei limiti del
possibile e che in pratica anche in tempi di viaggi e immigrazioni, ricorre
di rado. Ben diverso è quando questo svantaggio è creato
artificiosamente, prelevandomi a bella posta dal mio paese e portandomi
in un altro, lontano e sconosciuto.
Di fronte alle nostre esemplificazioni
in materia di competenza territoriale qualcuno forse osserverà
che abbiamo addotto dei casi limite. Sennonché la risposta a questa
obiezione è agevole: questa radicale rivoluzione in materia di
competenze si spiega solo con la precisa intenzione di creare sistematicamente
simili "casi limite". Ciò consente oggettivamente di
togliere di mezzo persone, o intere categorie di persone, ritenute scomode.
Altra logica spiegazione ad una tanto calcolata illogicità non
è possibile. Per quale ragione infatti, se non con lo scopo
di dominare il continente e creare un regime di oppressione, si potrà
giudicare in Lituania, così come in Bulgaria, o indifferentemente
in Turchia chi, poniamo, abbia commesso un reato in Italia? Si vuole con
ciò forse negare che l'Italia, o la Francia, o la Germania siano
capaci di giudicare i propri criminali? No di certo. È chiaro che
si vuole deportare - con tutto ciò che questo verbo significa -
l'avversario ed annichilirlo lontano dagli occhi e dal controllo dei suoi.
XXII
LA GESTAZIONE DELLA COSTITUZIONE EUROPEA. - IL PRECEDENTE
DELLA "CARTA DI NIZZA" E LA CRIMINALIZZAZIONE DELLE DISTINZIONI.
- LA NUOVA COSTITUZIONE LASCERÀ SOPRAVVIVERE GLI STATI? - LA RELIGIONE
DEGLI EUROCRATI
Mentre scriviamo
queste angosciate pagine, a Bruxelles si sta discutendo tra addetti ai
lavori, e nella pressoché totale inconsapevolezza di tutti i popoli
interessati circa lo svolgimento e l'importanza della discussione, quella
che viene chiamata la Carta costituzionale europea. È un evento
importantissimo da cui dipende il futuro di tutti noi e della nostra società.
Invero, se quella "Carta" legifererà in materia di diritti
dei cittadini - quei diritti, per intenderci, che la nostra Costituzione
contempla dall'articolo 1 all'articolo 54 - le Corti costituzionali dei
singoli Stati saranno praticamente svuotate e tutta la materia delle nostre
libertà cadrà in mano agli eurocrati.
Sarà infatti inevitabile
che una Corte costituzionale europea, magari risultante dalla fusione
della Corte di Giustizia con la Corte europea dei diritti dell'uomo, assuma
il ruolo di vero giudice costituzionale per tutta l'area comunitaria.
A quel punto se nella nuova costituzione figurerà la condanna
della discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali e, soprattutto,
religiosi, su scala europea, anche senza bisogno di arrivare all'estremo
delle "convinzioni", personali o meno, per le ragioni che si
sono già illustrate tutte le pur asserite libertà resteranno
vuoti gusci puramente nominalistici, enunciazioni illusorie e ingannevoli,
per non dire veri e proprî sberleffi, come lo "spazio di libertà,
sicurezza e giustizia" di cui parla il mandato d'arresto europeo.
In pari tempo verrà
siglata la fine degli Stati e con essi della democrazia e stabilita la
illimitata tirannide degli eurocrati e dei titolari degli interessi di
cui essi sono i commessi. Giova ancora una volta ricordare che se è
vero che un meccanismo di repressione penale analogo esiste già
in molti paesi, fra cui l'Italia, è altresì vero che a tutt'oggi
una simile abnormità giuridica non può funzionare se non
a scartamento ridotto, grazie al rispetto del principio del giudice naturale,
con tutto ciò che lo stesso comporta: possibilità di difesa
effettiva, costi della stessa, conoscenza della lingua degli atti giudiziari,
esistenza di un'opinione pubblica che controlla la magistratura, incardinamento
del magistrato nel tessuto sociale su cui va ad incidere il processo,
ecc. ecc..
I sostenitori dell'europeismo
si profondono a spiegare che l'Unione Europea non è un "Superstato".
Ma in realtà questo organismo proteiforme e vorace, dai molti tentacoli,
che slarga giorno per giorno le proprie competenze, con raccomandazioni
e sentenze che gli stati nazionali sono obbligati a tradurre in leggi
senza che i relativi Parlamenti e i popoli che li hanno espressi possano
dire la loro, oltreché con slavine di regolamenti che, come quelli
sui cetrioli, sulle banane, le fragole, la pasta e l'acciaio, entrano
là dove nessuno Stato, per quanto totalitario, si era mai sognato
di entrare, sta diventando ben più che un Superstato. Ci troviamo
alla più spinta e sinora impensabile realizzazione del Leviatano
di Hobbes.
Tanto più che, come abbiamo
visto, l'Unione Europea tende ad imporre con la forza anche una propria
sovversiva morale, espressione di una ben precisa Weltanschauung
filosofica e forse anche teologica. Infatti, come si è visto, è
proprio nel campo religioso che essa interviene con piglio dominatore
a dettar regole, a pronunciare condanne e a fissare nuovi calendarî
da cui Cristo è bandito.
Quanto alle "lobbies"
ed ai gruppi di potere che si celano dietro le già di per sé
impersonali e anonime strutture comunitarie, la gente ci penserebbe forse
di più se invece di limitarsi a sorridere su quelle minuziosissime
regolamentazioni di cui si è detto in materia di prodotti alimentari
ed industriali - quasi si trattasse di innocue fissazioni maniacali -
si soffermasse invece a meditare oltreché sull'arroganza padronale
e dispotica di cui sono espressione, su quanto esse siano funzionali ai
piani di chi voglia imporre rigidi monopolî su scala continentale
ed effettuare anche, mediante i regolamenti sulle esportazioni e importazioni,
speculazioni lucrose favorendo gli uni e tagliando gli altri fuori dal
mercato.
In conclusione se gli
Stati nazionali vogliono serbarsi un lembo e, si badi bene, non più
di un lembo, di sovranità e non consegnare i proprî cittadini
all'arbitrio illimitato di un potere ignoto e remoto, dovranno rigorosamente
vigilare che la materia dei diritti fondamentali resti riservata in via
esclusiva alla legislazione e alla giurisdizione nazionali e che in tale
materia i Parlamenti e le Corti costituzionali nazionali mantengano o
recuperino una competenza definitiva e suprema.
Giova ricordare a tale riguardo
che solo appellandosi a questo carattere supremo della nostra Costituzione,
il presidente Berlusconi ha potuto evitare che il mandato d'arresto europeo
abrogasse tutti i diritti in essa riconosciuti, come se non fosse mai
stata scritta. Questa riserva non gli sarebbe stata possibile in presenza
di una Costituzione europea gerarchicamente sovraordinata a quella nazionale,
e quindi implicitamente abrogativa di essa in tutte le parti concernenti
i medesimi argomenti.
Similmente, solo partendo da
questo presupposto, il ministro della giustizia, Castelli, ha potuto dare
un fondamento giuridico alla propria dichiarazione già citata in
nota al capitolo precedente, secondo cui il mandato di arresto europeo
non potrà entrare in vigore in Italia "se non a condizione
di veder riconosciuta l'esigenza di una verifica di conformità
con il nostro ordinamento da attuare in Parlamento, sede della volontà
popolare", spingendosi fino a dire che "non vuole svendere il
popolo italiano"84.
Abbiamo già criticato (v. supra, capitolo III di questa
sezione) i limiti e le incongruenze dell'accordo Berlusconi-Verhofstadt,
rilevandone le gravi insufficienze, perché esso sembra contenere
l'impegno ad attuare tale svendita, sia pure posticipandola. Su questo
tema, peraltro, torneremo al capitolo seguente. Similmente, a ben vedere,
non è condivisibile, almeno sul piano dei principî, neanche
l'impostazione del ministro Castelli. Riteniamo infatti che neppure il
Parlamento italiano abbia veste per "svendere" il popolo
di cui si proclama rappresentante, togliendogli tutte le libertà.
84
Citato da un articolo di Alberto Miele apparso su "Libero"
del 12 dicembre 2001, richiamato nel libro "Il bavaglio europeista.
Come l'Europa uccide la libertà", citato in nota all'"Invito
alla lettura". È curioso notare come l'autore di quest'opera,
Mario Spataro, sia stato a suo tempo un esponente dell'indipendentismo
siciliano. Quasi che il separatismo, non importa se del Nord o del Sud,
rendesse più attenti alle insidie del centralismo.
Opponendoci
al dominante, inintelligente giuspositivismo, non esitiamo ad affermare
che vi sono norme di diritto naturale che nessun uomo e nessun umano consesso
possono calpestare senza rendersi colpevoli di grave delitto.
Al di là dell'"essere"
vi è un "dover essere", al di sopra del piano umano,
degli eventi concreti e delle scelte di fatto, un piano trascendente contro
cui non per nulla l'Unione Europea si accanisce, anche al fine di affermare
l'illimitato potere eurocratico. O si vorrà forse sostenere che
le leggi razziali di Hitler, la legge dei sospetti e quella del 22 pratile
o il codice penale sovietico del 1926 erano giusti (e cioè secundum
jus, conformi al vero diritto) sol perché approvati in conformità
alle procedure vigenti?
Purtroppo però questa
irruzione della Costituzione europea nel campo dei diritti fondamentali
è un dato ormai certo, così come è certo che essa
stabilirà, nella forma più lata ed esplicita, quel principio
della criminalizzazione di ogni attività o discorso volto a distinguere,
o a discriminare che dir si voglia , che volatilizza e annichila ogni
pur proclamata libertà.
Infatti tale Costituzione è
già stata preparata e anticipata dalla "Carta dei diritti
fondamentali dell'Unione Europea", più nota sotto il nome
di "Carta di Nizza", pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale
delle Comunità europee del 18.12.2000. Detta Carta, pur non avendo
valore giuridico e proponendosi come una semplice enunciazione programmatica
di principî, costituisce in realtà l'anticipo e il canovaccio
della nascente Costituzione. Orbene, essa all'articolo 21 così
dispone:
"È vietata qualsiasi
forma di discriminazione fondata in particolare sul sesso, la razza, il
colore della pelle o l'origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche,
la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche
o di qualsiasi altra natura, l'appartenenza a una minoranza nazionale,
il patrimonio, la nascita, gli handicap, l'età o le tendenze sessuali".
Non possiamo soffermarci a commentare,
se non per sommissimi capi, questo testo allucinante che supera per la
sua estensione qualunque precedente enunciazione del genere.
Ci limitiamo pertanto a notare
che esso esordisce vietando in linea generale tutte, indistintamente tutte,
le discriminazioni o distinzioni, di qualsiasi genere: "è
vietata qualsiasi forma di discriminazione". La lista
che segue, per quanto di smisurata ampiezza, tanto che non si riesce a
capire cosa mai possa sfuggirle, è presentata come solo esemplificativa.
Essa, infatti, è introdotta dalle parole "in particolare".
Ora ogni "particolare" presuppone un "generale"
più vasto che lo comprende. Passando ora a questo "particolare",
accanto alla "religione", sempre ai vertici dei pensieri
degli eurocrati, ritroviamo la già citata criminalizzazione delle
"convinzioni personali" (giova ripetersi: non c'è
"convinzione" che non comporti la distinzione-discriminazione
fra essa e quelle contrastanti). Per togliere ogni dubbio il legislatore
europeo vieta le distinzioni per "opinioni politiche", e quindi,
in radice, la contesa politica, e con essa il confronto democratico.
Ma non gli basta: per timore
di non essere stato ben capito aggiunge anche "le opinioni di
qualsiasi altra natura", così confermando in maniera
esplicita e inequivocabile le nostre in apparenza paradossali conclusioni
sulla criminalizzazione dei tifosi delle squadre di calcio, e di ogni
altro sport competitivo. In realtà fra le "opinioni di
qualsiasi natura" rientra anche una diagnosi medica che esclude,
discriminandole, quelle con essa contrastanti, o una sentenza penale o
civile che distingue fra ragione e torto, giusto e ingiusto.
A ben vedere in questo monumento
alla follia, è la Parola in quanto tale, il Verbum, il Logos
che si vuole imbavagliare e bandire e con lui la Vita stessa con le sue
scelte. È il trionfo del nichilismo. Il legislatore europeo ci
pone di fronte al Nulla e alla Morte eretti ad assoluto, all'ultima spiaggia
della Follia sistematizzata come forza autonegatrice e suicida, alla negazione
della logica portata alle sue logiche conseguenze. Lo studioso di filosofia
e di storia vi riconosce l'alito esiziale dell'antica gnosi dei primi
secoli dopo Cristo, peraltro sopravvissuta nell'ombra in stretta simbiosi
con la magia e la stregoneria. Alla gnosi ci richiama anche la costante
preoccupazione del potere eurocratico di legittimare tutte le pratiche
sessuali contro natura, pedofilia inclusa. La religione gnostica, infatti,
è essenzialmente orgiastica e trasgressiva.
Alla base dell'Unione Europea
vi è dunque una teologia invertita. Tale teologia, di cui la frammassoneria
coi suoi templi è oggi il principale custode, spiega il viscerale
odio anticristiano che abbiamo visto caratterizzare le iniziative comunitarie.
Si tratta, come ognun vede, di un tema di capitale importanza, su cui
però, in questa sede non possiamo soffermarci85.
85
Il premier belga Guy Verhofstadt - colui che ha premuto sul Capo del Governo
italiano per ottenerne in materia di mandato d'arresto europeo la mezza
capitolazione di cui si è detto al capitolo III di questa sezione
- presiede un governo fra i cui "meriti" sono da annoverare
l'introduzione dell'eutanasia e il riconoscimento del matrimonio fra omosessuali.
In questo contesto ideologico la legalizzazione della pedofilia appare
solo questione di tempo.
Il punto che
qui invece dobbiamo affrontare è vedere cosa resta dell'autonomia
degli Stati membri. A tale riguardo va detto che è illusorio richiamarsi
al principio dell'unanimità del loro consenso per le decisioni
più importanti.
Invero, una volta stabilito
che la lotta al razzismo, alla xenofobia e a ogni altra forma di discriminazione
costituisce un principio fondamentale dell'Unione Europea, un cardine
portante e qualificante della Weltanschauung che accomuna gli Stati
che la compongono, l'intera materia sfuggirà al controllo degli
Stati stessi per entrare nelle competenze dell'equivalente europeo della
Corte costituzionale, vale a dire della Corte di giustizia che, con decisione
sovrana e inappellabile, vieterà agli Stati membri di sottrarsi
a quell'imperativo86.
86
Giova notare che il divieto di discriminazione, pur eliminando,
come si è ampiamente visto, ogni libertà, con un facile
gioco di parole, può essere presentato come un diritto soggettivo:
il "diritto" a non essere discriminato. In una società
multietnica, multireligiosa e multiculturale, e quindi disgregata e conflittuale,
è prevedibile che tale presunto "diritto", una
volta penetrato nella mentalità corrente, verrà invocato
assai spesso, porgendo molteplici occasioni di intervento alla Corte di
giustizia, per stroncare eventuali resistenze.
Senza scendere
ad una assai problematica disamina letterale del testo normativo, ci limitiamo
qui a dire che anche il "principio di sussidiarietà"
richiamato dall'articolo 51 della Carta di Nizza, articolo che verosimilmente
verrà recepito nella Costituzione dell'Unione, letto anche alla
luce dei successivi articoli 52, 53 e, soprattutto, 54 è ben lontano
dal costituire, sotto il profilo che qui ci interessa, un tranquillante
presidio per le sovranità degli Stati. E ciò sia per il
linguaggio arzigogolato, involuto e, in definitiva, estremamente equivoco
e polivalente di quegli articoli, sia (e soprattutto) perché -
si ripete - le sentenze della Corte di giustizia che dovrà decidere
in merito ai contenuti e ai limiti di quel principio sono risolutive e
incontestabili: è quella Corte, vale a dire un organo dell'Unione
stessa, l'arbitro ai cui verdetti gli Stati nazionali debbono rimettersi
e ottemperare.
D'altronde è nella logica
delle cose che il divieto di discriminazione, una volta riconosciuto come
cardine fondamentale del diritto comunitario dalla stessa Italia con l'approvazione
della Costituzione europea che lo enuncia, venga prima o poi più
fattivamente riconosciuto, anche dall'ordinamento giuridico interno. Tanto
più che vi ha già ufficiale cittadinanza con le citate leggi
Mancino e Turco-Napolitano.
In ogni caso, una volta entrato
in vigore il mandato di arresto europeo il problema sarà automaticamente
risolto, dal momento che, come si è visto, in virtù dell'eliminazione
dei limiti della competenza territoriale e del principio di doppia punibilità,
qualunque giudice dell'Unione potrà condannare qualsiasi cittadino
italiano per fatti anche avvenuti in Italia, anche se per la legge italiana
non costituiscono reato.
Illusorio, infine, è
anche far conto sulla possibilità di una secessione dall'Unione
da parte dei singoli Stati, possibilità che i costituenti europei
paiono orientati ad enunciare.
Infatti, a prescindere dalla
prevedibile e agevole neutralizzazione di ogni tendenza separatista mediante
il mandato di arresto europeo, che può togliere di mezzo in breve
tempo qualsiasi persona sgradita, è evidente che una secessione,
pur se venisse permessa anche di fatto - del che è lecito dubitare
- incorrerebbe in difficoltà insormontabili e avrebbe costi spaventosi.
Tanto per cominciare, la voluta politica di regionalizzazione europea
ha fatto sì che paesi i quali un tempo avevano larghi spazi di
autonomia produttiva abbiano svenato interi settori della propria produzione,
divenendo reciprocamente dipendenti da altri paesi dell'Unione. In secondo
luogo, escluso dall'Euro, lo Stato secessionista si troverebbe senza una
propria valuta. Certamente poi verrebbe messo al bando da tutti i traffici
commerciali con gli altri Stati dell'Unione e precipiterebbe in una situazione
economica così rovinosa che il governo promotore della secessione
verrebbe immediatamente abbattuto dall'interno.
XXIII
L'ENTRATA IN VIGORE DEL MANDATO DI ARRESTO EUROPEO:
UN PROBLEMA GIURIDICO RIMASTO NELL'OMBRA. - DOVE SI SINTETIZZANO I TERMINI
ISTITUZIONALI DELLA QUESTIONE
L'individuazione
del momento dell'entrata in vigore del mandato d'arresto europeo dà
luogo ad un problema giuridico che però, a quanto ci consta, in
ambito politico-diplomatico nessuno si è posto. Infatti nel febbraio
2002, nel corso di una riunione informale dei ministri di giustizia e
degli interni tenuta a Santiago di Compostela, gli esponenti di sei Paesi
dell'Unione, e precisamente Spagna, Francia, Gran Bretagna, Belgio, Olanda
e Lussemburgo, si sono impegnati a far entrare in vigore nei loro territorî
la proposta al più tardi entro il 200387.
Ignoriamo se questo programma sia stato attuato anche solo in parte88.
La sua sola enunciazione comunque si risolve in una violazione
87
"Avvenire", 15.2.2002, pag. 7. sotto il titolo "Mandato
di cattura, l'U.E. si spacca - Sei Paesi anticipano al 2003. Gli altri,
fra cui l'Italia, rispetteranno i tempi".
88
Se anche lo è stato bisogna dire che il "mandato"
è cautamente tenuto "in sonno", e forse comunque dormirà
ancora per qualche tempo al fine di evitare allarmi. Se infatti avesse
già cominciato a dispiegare in maniera evidente i suoi dirompenti
effetti, in un così vasto territorio, questi creerebbero un tale
allarme che il Parlamento italiano, sostenuto da gran parte dell'opinione
pubblica europea, ben difficilmente introdurrebbe quelle modifiche costituzionali
che l'accordo Verhofstadt-Berlusconi riconosce necessarie perché
il mandato possa essere reso operante nel nostro Paese.
del Trattato istitutivo dalla Comunità europea
che, come si è visto, al suo articolo 13 esplicitamente prevede
per l'entrata in vigore della normativa antidiscriminatoria l'"unanimità"
dei paesi membri. Ora tale unanimità manca non essendo ancora stato
acquisito il consenso dell'Italia.
A prova di questa affermazione
rinviamo il lettore al capitolo III di questa sezione, al cui inizio abbiamo
riportato il testo del compromesso Verhofstadt-Berlusconi. È ben
vero che tale compromesso-accordo si apre con l'enunciazione: "L'Italia
accetta il mandato di cattura europeo", ma dal resto del documento
risulta ben chiaro che, in conformità con l'ordinamento costituzionale
italiano, la ricezione dell'accordo è subordinata alla modifica
della Costituzione da parte del Parlamento con le forme e le maggioranze
previste dalla Costituzione stessa.
In sostanza l'on. Berlusconi,
mantenendosi nei limiti dei suoi poteri istituzionali di capo del potere
esecutivo, non ha scavalcato la Costituzione e il Parlamento, titolare
del potere legislativo, con una specie di colpo di stato di cui, purtroppo,
nessuno si sarebbe accorto. Egli si è solo impegnato a proporre
al Parlamento italiano, unico titolare del potere legislativo, quelle
modifiche della Costituzione che sono necessarie perché il mandato
di arresto europeo nel suo complesso - e non solo, come si è ampiamente
visto, per la normativa antidiscriminatoria - non sia con essa in flagrante
contrasto.
Abbiamo già diffusamente
dimostrato che queste modifiche si risolverebbero nella pratica abrogazione
della Costituzione stessa. Abbiamo del pari espresso la nostra critica
ad un impegno gravissimo quale è quello di proporre al Parlamento
l'introduzione di una riforma costituzionale volta a schiavizzare l'intero
popolo italiano, oltreché ad esautorare ed addirittura svuotare
il Parlamento stesso togliendogli la facoltà di legiferare efficacemente
in materia di diritto penale e di tutela dei diritti fondamentali dei
suoi cittadini. Non ci ripetiamo. Quello che ci preme evidenziare è
che l'accordo Verhofstadt-Berlusconi non è un accordo con l'Italia,
ma solo col capo del suo potere esecutivo, e che, come del resto affermato
da quest'ultimo, il consenso è riservato al Parlamento, che potrà
anche negarlo. Così stando le cose l'unanimità non è
ancora raggiunta, ma sottoposta a una condizione sospensiva (l'approvazione
appunto del Parlamento italiano) che potrebbe anche non verificarsi.
Ne segue che la decisione dei
ministri di quei sei Paesi di dare esecuzione a quella che è ancora
una semplice proposta di legge, si risolve in una violazione della stessa
normativa comunitaria.
Non stiamo qui ad esprimere
il nostro giudizio sulla stessa concezione di democrazia dei ministri
e dei Capi del potere esecutivo degli altri Stati dell'Unione, e sulla
gravità inaudita delle loro decisioni prese all'insaputa dei proprî
popoli e scavalcando i relativi Parlamenti: quello che colpisce l'osservatore
spassionato è il fatto che nel contesto verticistico e tecnocratico
dell'U.E., della democrazia non resta neppure il fantasma. E il bello
si è, giova ripeterlo, che nella rappresentazione mass-mediatica
manovrata dall'Alta Finanza, è stato additato come abnorme non
già l'arbitrio dei ministri degli altri Stati, bensì il
comportamento dell'unico ministro che non ha scavalcato il popolo e il
Parlamento del proprio Paese, per giunta in materia di così drammatica
importanza.
Va ancora rilevato, sempre sul
piano istituzionale, che, pur nella sua deformità, l'accordo Verhofstadt-Berlusconi
contiene implicita l'ammissione che l'intera materia del mandato di
arresto, e non solo, quindi, quella inerente la discriminazione89,
postula, per la sua entrata in vigore, l'unanimità dei consensi.
Va comunque
detto che anche se il programma in questione è stato attuato
lo è stato solo in parte. Infatti l'Inghilterra, avvalendosi
dello stop imposto dalla riserva italiana, manifesta ora salutari perplessità.
89
Abbiamo visto come il "reato" di "discriminazione"
per una serie di impliciti riferimenti a leggi vigenti, ad articoli di
legislazione europeista e alla Carta di Nizza, oltreché a manipolazioni
semantiche, sia contenuto in tutta la sua estensione nella generica locuzione
"razzismo e xenofobia"
Il problema
scottante che si pone per il mandato di arresto, si pone pure per la nascente
"Costituzione europea". Ci si chiede infatti: è
istituzionalmente possibile che la Carta che regolerà la vita di
centinaia di milioni di persone sia decisa da poche decine di individui,
espressione di chissà quali interessi, senza il consenso dei popoli
e dei Parlamenti che li rappresentano?
O non si dovrà invece
sottoporre quel documento dapprima al vaglio dei Parlamenti, poi a quello
di un referendum da effettuarsi in ogni Stato dell'Unione, previa una
congrua e leale illustrazione degli effetti concreti che ne deriveranno?
XXIV
ANCORA SULLE INCONGRUENZE DELLA CLASSE POLITICA ITALIANA
DI FRONTE AL MANDATO D'ARRESTO EUROPEO. - PRINCIPIO DI UNANIMITÀ
E PRINCIPIO DI MAGGIORANZA NELLE DECISIONI COMUNITARIE: ATTENZIONE! -
IL LETARGO DEI GIURISTI. - UN SIGNIFICATIVO ANTICIPO: LA RICHIESTA DI
ESTRADIZIONE DI ORIANA FALLACI
Al capitolo
II di questa sezione abbiamo accennato alla sorprendente incongruenza
della nostra classe politica nel suo complesso. Essa, invero, dopo anni
e anni di un riformismo giudiziario costantemente orientato verso un crescente
garantismo processuale, che ha reso interminabili i processi e il più
delle volte solo nominali le pene, nella sua stragrande maggioranza messa
di fronte al mandato di arresto europeo che sopprime tutte indistintamente
le garanzie e criminalizza tutti i cittadini, o tace tranquilla, o addirittura
approva.
In quella sede abbiamo ricordato
la riforma dell'articolo 111 della Costituzione introdotta con la legge
costituzionale 23.11.1999 nr. 2 sotto il governo di centrosinistra con
l'approvazione di quasi tutte le altre forze politiche, all'insegna del
cosiddetto "giusto processo". Rinviamo nuovamente il
lettore al testo di quell'articolo ispirato al più spinto garantismo
e lo invitiamo a dirci se in esso trovi una sola proposizione che
non sia radicalmente contraddetta dal mandato di arresto europeo.
La distanza astrale fra lo spirito
del nuovo articolo 111 della Costituzione e quello del detto mandato risulta
evidentissima anche solo dalla prima frase con cui tale articolo introduce
il programma che il legislatore italiano è chiamato ad attuare,
e sta effettivamente attuando, mediante una serie di innovazioni legislative.
"Ogni processo - esordisce infatti quella norma - si
svolge nel contraddittorio fra le parti, in condizioni di parità,
davanti a un giudice terzo ed imparziale".
Per dare un'idea al lettore,
digiuno di diritto processuale penale, del punto cui il Parlamento italiano
ha spinto la sua ormai annosa opzione garantista, che risale a ben prima
del codice di procedura penale del 1989, ricordiamo che attualmente se
un imputato, poniamo di omicidio, confessa il suo delitto davanti alla
polizia, e ripete la confessione davanti al pubblico ministero e persino
davanti al giudice dell'udienza preliminare, ebbene, di tali confessioni
il giudice del dibattimento, chiamato a pronunciare la sentenza che conclude
il processo, non avrà traccia se non eccezionalmente nel proprio
fascicolo processuale.
È precisamente nel contesto
del "giusto processo", promosso dal rinnovato articolo 111 della
Costituzione, che la coalizione politica attualmente al potere ha reintrodotto
con la famosa "legge Cirami", la remissione dei procedimenti
penali da parte della Corte di Cassazione ad altro giudice diverso da
quello competente per territorio quando vi sia un legittimo sospetto sulla
serenità e imparzialità di quest'ultimo.
Si prescinda dalle polemiche
su questa specifica legge, che peraltro innegabilmente si muove nella
direzione garantista di cui si è detto: ci si chiede con quale
coerenza e quale coraggio un Parlamento che coralmente ha fatto dell'articolo
111 la propria stella polare in materia processuale potrebbe approvare
le riforme costituzionali che - travolgendo non solo quel medesimo articolo
con tutta la legislazione che lo ha introdotto e seguito, ma persino le
fondamentali e tradizionali garanzie pacificamente riconosciute anche
dal codice fascista del 1930 - dovrebbero rendere possibile il mandato
di arresto europeo. Sembrerebbe che il cittadino italiano potesse dormire
sereno fra due guanciali. Invece i segnali che provengono tanto dalla
maggioranza quanto dalla minoranza parlamentari, non ci lasciano affatto
tranquilli. Per quanto riguarda la prima abbiamo già espresso le
nostre motivate perplessità in ordine all'accordo Verhofstadt-Berlusconi.
Ancor più preoccupante
appare la proposta di riforma del codice di procedura penale che va sotto
il nome del suo relatore, on. Pittelli, e di altri esponenti della maggioranza.
Al suo articolo 3, infatti, essa stabilisce che non possono più
giudicare in materia penale i giudici che abbiano "manifestato
opinioni discriminanti in materia di sesso, di razza, di lingua, di religione,
di orientamento politico, di condizioni personali o sociali".
Se questa proposta sarà
approvata potranno essere ammessi in magistratura solo dei sordomuti,
a condizione però che siano anche analfabeti. Nel frattempo
la giurisdizione penale sarà sospesa perché sarà
impossibile trovare un solo giudice che non abbia espresso "opinioni
discriminanti" in materia politica o di altro genere. A ben vedere
il processo Pittelli è una logica conseguenza (se di logica è
lecito parlare in questo clima apertamente demenziale) della legge Mancino:
posto che distinguere è delitto, non è ammissibile che criminali
discriminatori siedano sui banchi dei giudici.
Un altro aspetto di cui una
parte largamente prevalente della maggioranza parlamentare - trascinata
da quella eurolatria, da noi denunciata al capitolo IX - sembra non rendersi
conto, è il pericolo che l'Unione Europea divori i Paesi che la
compongono cancellandone ogni traccia di autonomia, e quindi di sovranità,
in un processo di sempre più invadente centralismo. Nel quadro
di questo processo un settore di grande importanza è costituito
dalla graduale sostituzione del principio per cui le decisioni di maggior
rilievo, come appunto quella in esame, debbono essere prese all'unanimità
dai rappresentanti degli Stati membri, con quello per il quale dovrebbe
essere sufficiente la maggioranza degli stessi. Gli sforzi in
tal senso sono evidenti. Per conseguire questo risultato si sostiene sempre
più spesso che richiedendo l'unanimità si finisce col paralizzare
l'U.E. relegandola al rango di oggetto passivo privo di voce nel campo
della politica internazionale, e a tal fine si evidenziano le sue spaccature
in occasione della crisi dell'Iraq. Politica estera comune ed esercito
unificato - si sostiene - postulano decisioni a maggioranza. Preme in
questa direzione anche l'ingresso di sempre nuovi Paesi. È mai
possibile, si dice, che il dissenso del solo Lussemburgo, o di Malta,
o di Cipro possa bloccare l'unanime decisione di tutti gli altri Stati
dell'Unione?
Si badi bene che non si tratta
solo di una tendenza, ma di una linea programmatica enunciata nel Trattato
di Maastricht come modificato da quello di Amsterdam sia per quanto riguarda
la politica estera e la difesa90,
sia per quanto concerne la nascita di una "cittadinanza europea"91
che inevitabilmente svuoterebbe di significato quella nazionale, sia,
infine, in ordine alla repressione del razzismo e della xenofobia, e alla
semplificazione, o meglio, abrogazione, delle procedure di estradizione92.
È in questa prospettiva
di crescente centralizzazione eurocratica che ai primi di dicembre del
2002 Romano Prodi, nella sua autorevolissima veste di Presidente della
Commissione europea, distribuì agli altri 19 commissarî e
inviò a Giscard d'Estaing un documento di 145 pagine che doveva
costituire l'abbozzo della nascente Costituzione comunitaria. La caratteristica
saliente di tale documento era appunto la generalizzazione del principio
di maggioranza e la marginalizzazione di quello di unanimità93.
90
In particolare art. 17.
91
Preambolo, 9° capoverso.
92
Artt. 29 e 31, lettera b).
93
Su quella che è stata definita la "Costituzione Prodi"
vedasi "Avvenire", 5.12.2002, pag. 14. Giova qui osservare
che quand'anche il principio di maggioranza non venisse recepito nella
costituzione europea, ciò non sarebbe affatto segno di scampato
pericolo. Nulla, invero, vi è di più instabile della legislazione
comunitaria: le sue trasformazioni sono continue, e avvengono all'insaputa
di tutti. L'unico dato costante è la direzione: immancabilmente
centripeta verso l'Europa e centrifuga dal controllo democratico delle
singole nazioni.
Di fronte all'avanzare
del rullo compressore europeista uno dei primi accorgimenti da assumere
è evidentemente quello di scongiurare l'ulteriore allargamento
dell'Unione ad altri Paesi. Ogni allargamento, invero, come si è
detto, preme in direzione dell'accoglimento del principio di maggioranza
e della conseguente perdita di autonomia degli Stati membri, ridotti sempre
più a pallide larve prive di poteri decisionali.
Ebbene, nonostante queste evidenze,
il Presidente del Consiglio dei Ministri italiano, onorevole Berlusconi,
che pure, come meglio vedremo in seguito, non poco ha da temere dalla
attuale tecnocrazia europeista, caldeggia l'ingresso nell'Unione dell'immensa
Russia coi suoi popoli variegati, e persino - su questo punto almeno d'accordo
col Presidente della Commissione europea Romano Prodi - della Turchia.
Sorprende che non si renda conto
delle gravissime implicazioni insite nell'ingresso di un grande paese
islamico, di un ingresso, cioè, che avrebbe come inevitabile effetto
l'ulteriore sbiadimento, per non dire la totale elisione dei già
pallidi riferimenti valoriali comuni, con conseguente aumento degli spazî
di arbitrio dell'anonimo potere eurocratico.
Sui gravissimi problemi che
porrebbe l'ingresso della Turchia nell'U.E. ci siamo già soffermati
al capitolo VI di questa terza sezione. Nel richiamarci a quanto detto
in quella sede, ci pare illuminante, per il nostro specifico argomento,
un recente fatto di cronaca. Il settantenne Padre cappuccino Roberto Ferrari,
da 45 anni in Turchia, ha battezzato su sua richiesta un giovane islamico.
Ebbene, le autorità turche lo hanno messo sotto inchiesta togliendogli
il passaporto e proibendogli il rientro in Italia94.
Questo mentre ancora vige una precaria costituzione che proclama la Turchia
stato laico. Tanto laico che in quel Paese preti e frati non possono vestire
il loro abito.
94 Cfr. "Avvenire",
12.6.2003, pag. 16.
Giova aggiungere
che chiunque abbia un minimo di reminiscenze storiche non può dimenticare
che la Turchia per secoli ha rappresentato l'antiEuropa per eccellenza,
costantemente proiettata alla conquista e all'assoggettamento, alla devastazione
e allo sterminio delle terre cristiane e alla riduzione degli europei
non convertiti all'Islam al rango di "dhimmi" e cioè
di cittadini di serie c), non solo privi di ogni diritto politico, ma
anche tenuti al pagamento di un tributo a favore dei loro dominatori e
signori. Far entrare la Turchia in Europa significa dunque, in realtà,
negare l'Europa in quanto tale, perché questo termine come è
stato da più parti osservato, ha un significato ben più
storico, di civiltà, che non geografico. L'Europa, invero, dal
punto di vista fisico forma un tutt'uno con l'Asia di cui è solo
una propaggine. L'inclusione della Turchia nell'U.E. segna quindi, a ben
vedere, il trapasso dall'europeismo al mondialismo, e cioè all'estensione
del potere occulto tecnocratico e finanziario al mondo intero: il sognato
Governo Mondiale, o repubblica Universale vagheggiato dalla frammassoneria
fin dalla sua fondazione, avvenuta quasi tre secoli or sono.
In conclusione la condotta del
Governo italiano appare stranamente contraddittoria: da un lato, invero,
si tenta, pur con tutti i limiti e le timidezze qui denunciati, di impedire
all'U.E. di impadronirsi della vita e dei beni di tutti i cittadini mediante
il suo mandato di arresto, dall'altro, però, mentre si vorrebbe
tener chiusa questa porta, si abbattono tutti i muri della sovranità
in cui essa è inserita e senza i quali non avrebbe senso, favorendo
il prevalere del principio di maggioranza contro quello di unanimità.
Infatti, alla Convenzione incaricata di redigere la bozza della Costituzione
europea, i rappresentanti italiani Amato, Fini e Follini sono stati, insieme
con Prodi, strenui sostenitori del principio di maggioranza. È
poi largamente prevedibile che durante il semestre di presidenza italiana
l'attuale Presidente del Consiglio dei Ministri si farà, al pari
dei suoi predecessori, un punto di onore nel portare avanti il detto principio,
nel contesto di quella eurolatria di cui si è detto al capitolo
IX. Eppure, se detta eurolatria non facesse schermo, dovrebbe essere evidente
quanto da noi accennato all'inizio del capitolo II di questa sezione,
e cioè che in un'entità politica costituita da 25 popoli
parlanti quasi altrettante lingue diverse, e quindi impossibilitati a
comunicare fra loro a livello di cittadini elettori, ogni passo verso
la centralizzazione, è una pugnalata al principio di democrazia,
dal momento che, si ripete, il 100% degli italiani, o dei francesi, o
dei tedeschi, o di qualunque altro popolo, potrebbe ritrovarsi senza voce
in presenza di scelte decisive per il proprio avvenire, come appunto quella
del mandato di arresto europeo. Solo rilevantissime ed effettive autonomie
locali possono evitare che l'Europa diventi una gabbia di ferro.
Venendo poi alla attuale minoranza
parlamentare sono noti a tutti il suo atteggiamento largamente favorevole
al mandato d'arresto e le accuse che essa muove a Berlusconi di volerlo
ostacolare, con grave danno per il processo di integrazione europea, solo
per mettersi al sicuro da eventuali procedure promosse nei suoi confronti
da giudici di altri Paesi dell'Unione per illecite manovre speculative.
Nel considerare nuovamente un
simile modo di affrontare il tema, non possiamo che ribadire quanto detto
nell'"invito alla lettura", e cioè che esso appare manipolatorio
e fuorviante e quindi estremamente funzionale al piano eurocratico di
schiavizzazione universale. Così facendo, invero, si distrae l'attenzione
dell'opinione pubblica dal contenuto e dalle inevitabili conseguenze di
una legge di inaudita gravità, cui si offre copertura ingannevolmente
trasferendo la discussione dal piano del diritto a quello della polemica
personale.
Pur di fronte all'atteggiamento
in parte incoerente, per non dire schizofrenico, ed in parte inerte della
maggioranza e a quello depistante della minoranza parlamentare, esprimiamo
il dubbio e l'augurio che i parlamentari dell'uno e dell'altro schieramento,
nella loro grande maggioranza, non si siano resi conto, al pari del cittadino
qualunque, dell'enorme portata della posta in gioco e della paurosa responsabilità
che assumono di fronte al popolo e alla storia. E parliamo di popolo e
di storia per non chiamare in causa ancora una volta il nome di quel Dio
la cui religione ha fondato e mantenuto l'Europa facendone il faro della
civiltà umana, ma che oggi i 105 membri della Convenzione (nome
che, non per caso, ricorda la Rivoluzione francese e il Terrore giacobino)
vogliono relegato al rango del fondatore di un qualsiasi club di filosofastri.
Ancor più dell'atteggiamento
dei politici ci sgomenta quello dei giuristi, e cioè di coloro
che per le loro specifiche competenze professionali avrebbero dovuto lanciare
per primi il grido d'allarme.
Incuranti del fatto che i giudici
vedranno mostruosamente stravolta la loro funzione, per non parlare del
destino che li attende quali cittadini spogliati di ogni diritto, essi
si perdono in relativamente piccole polemiche su altre questioni di livello
nazionale. Quasi che l'U.E. non esistesse o comunque fosse una realtà
che ben poco li riguarda.
Anzi, la maggior parte di coloro
fra essi che, spesso perché coinvolti nella politica, hanno raggiunto
posizioni di maggiore visibilità, lanciano messaggi sostanzialmente
favorevoli al mandato d'arresto europeo.
Invero la voce preoccupatissima
e indignata dell'ex Presidente della Corte costituzionale Vincenzo Caianiello,
purtroppo recentemente deceduto, che non a caso ha richiamato il precedente
giacobino95, non ha trovato
molta eco. Ricordiamo fra le altre, a titolo di merito, le esatte prese
di posizione di Giuliano Pisapia e quelle del professor Giuliano Vassalli
e dell'avvocato Giuseppe Frigo, Presidente dell'Unione delle camere penali.
Bisogna però dire che anche coloro che, come quest'ultimo, hanno
formulato diagnosi e giudizî appropriati e corretti, non si sono
poi impegnati per una mobilitazione della classe forense, e in genere
degli uomini di legge, di fronte a una così grave minaccia per
l'avvenire di tutti, compreso il loro. Passato il clamore del momento,
l'argomento di vita o di morte è stato lasciato cadere perdendosene
il ricordo nel mare magnum delle notizie di cronaca in cui ogni giorno
cancella il ricordo del precedente.
95
In una sua intervista a "Il Foglio", richiamata nel citato
libro di Mario Spataro "Il bavaglio europeista, come l'Europa
uccide la libertà", pag. 62.
Di contro si
registrano interventi di prestigiosi uomini di legge altamente favorevoli
al mandato. Segnaliamo anzitutto quello dell'ex P.M. Antonio di Pietro,
punta di diamante del "pool Mani Pulite". Costui, eurodeputato,
e quindi perfettamente al corrente della questione, è giunto a
chiedere, unitamente ad Armando Cossutta, che fosse intimato tassativamente
all'Italia di aderire al mandato d'arresto entro e non oltre il 1°
gennaio 2004. Anche Elena Paciotti, già presidente dell'Associazione
Nazionale Magistrati, esponente al suo interno di Magistratura Democratica,
e lei pure europarlamentare, ha difeso a spada tratta la "decisione
quadro" affermando, con pesante aggravio della sua responsabilità,
che la materia era stata ben discussa, e quindi le era ben nota, e che
la lista era stata, evidentemente con notevole moderazione, "limitata
a 32 reati". Favorevole anche Luciano Violante, anch'egli ex
magistrato, che ha preferito stendere sulla questione la consueta e depistante
cortina fumogena della coda di paglia berlusconiana96.
96
Per le citazioni ci riportiamo alla preziosa antologia contenuta nel citato
volume di Mario Spataro "Il bavaglio europeista, come l'Europa
uccide la libertà", capitolo II, pagg. 45 e seguenti.
Paradigmatica
e illuminante è poi la posizione di Francesco Saverio Borrelli,
già capo del citato "pool Mani Pulite" e successivamente
Procuratore generale di Milano. Egli, invero, in un primo momento, di
fronte all'enormità del progetto europeo è insorto, sia
pure in tono prudente e dimesso e restringendo la propria valutazione
a un solo aspetto della questione: "Dovrà prima esserci
- ha sostenuto - un lavoro di adattamento dei vari ordinamenti. Purché
non al ribasso e a discapito delle garanzie del cittadino. Vorrei per
esempio sapere se il mandato è impugnabile e davanti a quale autorità.
Non possiamo pensare che un cittadino contro i provvedimenti restrittivi
nazionali possa ricorrere al Tribunale della libertà, ma contro
quelli che vengono da un altro stato non possa ricorrere". Riferendosi
poi al contrasto fra i principî fondamentali del nostro ordinamento
giuridico ed un arresto immotivato e arbitrario, quale quello previsto
dal mandato europeo, ha aggiunto: "Nel nostro paese sono necessari
per l'arresto, oltre a gravi indizi di colpevolezza, almeno uno dei tre
parametri che sono il pericolo di fuga, l'inquinamento delle prove e la
reiterazione del reato"97.
Successivamente però
quel personaggio, nel suo clamoroso discorso per l'inaugurazione dell'anno
giudiziario 2002, lasciandosi obnubilare dagli ardori della polemica tra
il suo ufficio e il presidente Berlusconi, palesemente riferendosi a quest'ultimo,
ha effettuato una virata di 180 gradi spingendosi fino a dire: "Si
è tentato, per fortuna con mezzi tecnicamente inidonei,
di frapporre ostacoli, con la legge sulle rogatorie e con le riserve unilaterali
all'estradizione semplificata - alias mandato di arresto europeo - e l'orchestrazione
di campagne di rabbiosa disinformazione"98.
97
Id., pag. 94.
98
"L'Adige", 13 gennaio 2002, pag. 3.
Insomma a distanza
esatta di un mese (la precedente dichiarazione era apparsa su "Il
Giornale" del 13 dicembre 2001 e il discorso inaugurale è
del 12 gennaio 2002) quello che era un attentato alle "garanzie
(e cioè alle libertà, N.d.A.) del cittadino"
è diventato una "fortuna"! Triste esempio di come
non solo in Italia, ma ancor più in tutta Europa, l'immane pericolo
sia sottovalutato anche da chi possiede tutti gli strumenti per riconoscerne
la gravità.
Diremo allora che siamo delusi?
Certamente. Sorpresi? Anche. Tuttavia non tantissimo. Non possiamo infatti
dimenticare il precedente della più volte citata legge Mancino
che dal 1992 figura nella nostra legislazione come un monstrum
anticostituzionale per eccellenza, un focolaio canceroso che una volta
uscito dal suo parziale letargo porterebbe alla morte di tutte le libertà.
Ebbene, contro quella legge perversa siamo stati, ch'io sappia, gli unici
a intervenire con un libretto che ha avuto una sua modesta diffusione,
ma non fra i cultori e gli operatori del diritto.
Eppure ci eravamo intrattenuti
sull'argomento con autorevoli cattedratici cui avevamo esternato il nostro
sgomento, constatando che essi, al pari certamente di tanti altri, condividevano
le nostre, peraltro ovvie, valutazioni. Nessuno però ha ritenuto
di muoversi pubblicamente. Ci chiedete quale sia il motivo di questa inerzia
anche laddove non è ascrivibile al correre vorticoso della vita
moderna? Ebbene, la risposta ci pare chiara: il timore.
Proprio l'enormità di
una legge di cui, come si è detto, sarebbe eufemistico dire che
impone il "pensiero unico" perché, come si è visto,
in realtà criminalizza il pensiero, e quindi la ragione in quanto
tale, ha paralizzato ogni resistenza. Si è più o meno chiaramente
capito che una simile mostruosità giuridica non poteva essere stata
promossa e imposta che da "lobbies" potentissime, ben superiori
all'autorità del Parlamento, e contro cui, quindi, sarebbe stato
temerario schierarsi. Ci si è accorti che essa aveva un precedente,
varato su scala internazionale da quell'abbozzo di governo mondiale che
è l'ONU, e la prudenza ha tappato tutte le bocche, paralizzato
tutte le penne.
Ma è stata una prudenza
malintesa perché è assai più facile estirpare il
cancro in sul nascere che non quando ha messo radici. Se fin da allora
si fossero denunciate ad alta voce l'assurdità e la pericolosità
di quella legge, portando la polemica all'attenzione dei giuristi su scala
internazionale, oggi la difesa contro il mandato di arresto europeo sarebbe
enormemente agevolata.
Non che, specialmente in Italia,
la reazione sia mancata. È stata però una reazione pavida
e tacita: si è preferito cioè far conto che la legge Mancino
non esistesse. Solo poche procure della Repubblica, invero, hanno elevato
incriminazioni per violazione dei suoi articoli, e comunque lo hanno fatto
in maniera molto selettiva e mirata perché, come si è detto
a suo luogo, se l'avessero applicata in tutta la sua effettiva latitudine
avrebbero dovuto mettere sotto processo gli esponenti di tutte le religioni,
di tutti i partiti politici e, in ultima istanza, i proprî stessi
magistrati.
Oggi però la normativa
antidiscriminatoria, estesa su scala internazionale, già rivela
la sua perversa potenzialità offrendoci eloquenti anche se pallidi
anticipi di efficienza liberticida.
Proprio mentre scriviamo queste
pagine, giunge infatti la notizia di una richiesta di estradizione nei
confronti di Oriana Fallaci da parte delle autorità elvetiche per
il famoso libro "La rabbia e l'orgoglio" in cui quella
scrittrice manifesta la propria avversione per la religione islamica,
con riferimento alle ben note, umilianti condizioni della donna nei paesi
musulmani99.
99
"La Repubblica", 15.5.2003, pag. 31. Titolo: "Chiesta
l'estradizione l'Italia per le frasi contenute nell'ultimo libro "La
rabbia e l'orgoglio". Il ministro Castelli: "Non possiamo concederla.
- Razzismo, la Svizzera vuole processare la Fallaci".
È l'ennesima
dimostrazione dell'esattezza della tesi che enunciavamo - e scusateci
se battiamo sempre questo chiodo - otto anni or sono nel nostro libretto
sulla legge Mancino, allorché affermavamo fin da allora che tutte
le convinzioni, e non solo quelle religiose, cadevano sotto la mannaia
(o dovremmo forse dire la ghigliottina?) delle leggi antidiscriminatorie.
Infatti la Fallaci non si esprime affatto in quanto cattolica, ché
tale certamente non è, bensì da un punto di vista squisitamente
"laico".
Se in Italia fosse già
in vigore il mandato d'arresto comunitario la denuncia sarebbe stata certamente
inoltrata a un giudice accuratamente scelto per le sue convinzioni in
un altro Paese dell'Unione, il più lontano possibile dal nostro,
e la scrittrice fiorentina sarebbe già scomparsa dall'orizzonte
degli italiani, presto dimenticata, al pari di tanti altri, nel gran crogiolo
dello spazio comunitario di "libertà, sicurezza e giustizia".
"Sicurezza" intesa peraltro nel senso in cui si usa questo vocabolo
parlando di carceri di "massima sicurezza". In ogni modo quello
che è rimandato non è tolto, e la Fallaci farà bene
a stabilirsi definitivamente negli USA se non vorrà finire ingoiata
da un qualche accogliente carcere turco. Anche perché se il ministro
Castelli è dichiarato indisponibile per la sua nota posizione in
materia, non è affatto detto che farebbero altrettanto i ministri
di altri Stati dell'Europa in cui ella volesse recarsi.
Prima di chiudere questo capitolo
vogliamo brevemente soffermarci su un argomento di grande importanza:
alcuni giuristi affermano - e in tal senso è implicitamente il
citato giudizio critico dell'ex Procuratore generale di Milano, dottor
Borrelli - che il mandato d'arresto europeo potrebbe essere accettato
qualora vi fosse una precedente omologazione dei varî ordinamenti
penali. È un errore gravissimo: l'omologazione delle legislazioni
dice ben poco quando resta in piedi il principio dell'abolizione dei limiti
di competenza territoriale, di per sé sola sufficiente a consentire
qualunque arbitrio. Anche il principio dell'abolizione di ogni controllo
sulle estradizioni basta da solo a togliere ogni garanzia al cittadino,
che potrà essere arrestato in base a qualunque imputazione di comodo.
Si dimentica poi un fatto che dovrebbe essere ben noto ad ogni giurista,
e cioè che omologazione delle disposizioni di legge non significa
affatto omologazione delle giurisprudenze. E le giurisprudenze contano
più degli articoli di legge: abbiamo avuto modo di rendercene conto
parlando, al capitolo XX, dell'articolo 58 del codice penale sovietico
del 1926.
In ogni modo l'omologazione
delle leggi può ottenersi solo sostituendo i diritti penali delle
singole nazioni con un diritto penale comunitario unico. Il che cancellerebbe
grandissima parte delle residue autonomie degli Stati.
Illusorie sono poi - si ripete
- le discussioni sulla lista dei reati: abbiamo già visto che anche
mantenendo solo la generica fattispecie di "terrorismo"
in regime di competenza territoriale universale o anche solo di abrogazione
del principio della doppia punibilità, tutto, assolutamente tutto,
diviene possibile per via della genericità e della conseguente
elasticità del vocabolo in questione. Per non parlare del già
ricordato impegno, contenuto nell'"Allegato", di togliere ogni
limite all'estradizione.
|