INVITO ALLA LETTURA
"Prima che il mar sia sopra noi richiuso"
Caro lettore,
certamente tra la fine del 2001 e i primi mesi del 2002 hai sentito parlare
del "mandato d'arresto europeo", ma quasi altrettanto
certamente appartieni a quella stragrande maggioranza degli italiani,
anzi degli europei che, senza soffermarvisi, hanno dimenticato il tema
quasi fosse superato dalle incalzanti notizie della cronaca.
Eppure quel tema è
attualissimo e di enorme importanza: esso mette in gioco la libertà
non solo morale, ma anche fisica dei cittadini di tutti gli Stati dell'Unione
Europea, e quindi anche la tua. Certamente quella legge se, come
tutto lascia presagire, entrerà in vigore, cambierà profondamente
la tua vita, forse la travolgerà.
Vale dunque la pena di
sforzarsi a leggere queste pagine, scrivendo le quali abbiamo usato ogni
cura per renderle accessibili anche a chi è del tutto digiuno di
diritto.
Se tu poi, che hai preso
in mano questo libro, sei un politico o un uomo di legge, questo invito
alla lettura è per te tanto più pressante: te ne renderai
conto anche solo scorrendo nell'indice i titoli dei capitoli. Leggi e
poi, se credi, dissenti, ma l'approfondimento dell'argomento è
per te un dovere
oltreché, ne sono certo, una necessità. E se poi tu non
concordi con la (a tratti evidente) Weltanschauung cattolica dell'autore
di queste pagine, cogline comunque l'aspetto anche laicamente condivisibile
da parte di chi coltivi ancora ideali di libertà.
Ben più di mille
altre persone avrebbero avuto più titolo e, non esito a dirlo,
più obbligo dell'autore di queste pagine di trattare e illustrare
diffusamente la questione, ma, per quanto ci risulta, uno solo, almeno
in Italia, lo ha fatto, in un libro che non ha certo avuto l'eco che meritava1.
Anche questo silenzio è per noi motivo di estrema preoccupazione.
AVVERTENZA. Poiché
l'argomento specifico di questo studio è il cosiddetto "mandato
d'arresto europeo", quando, nel corso di esso, ci riferiremo alle
istituzioni dell'Unione Europea, non terremo conto delle loro trasformazioni
successive alla proposta di decisione quadro che lo introduce. In particolare
prescinderemo dalla nascente "costituzione" dell'Unione Europea.
Se ne aspettassimo la definitiva approvazione dovremmo rinviare ancora
la già tardiva redazione di uno studio che si sforza di contribuire
a colmare un vuoto che è per noi motivo di profonda angoscia.
Aggiungiamo che la nostra analisi critica non investe, e non può
investire se non marginalmente, i grandi temi della filosofia del diritto,
e in particolare l'importantissimo argomento dei rapporti fra legge divina,
legge naturale e legge umana, e dei limiti in cui quest'ultima può
eventualmente prescindere dalle altre due. Essa prende come punti di riferimento
i concetti di libertà e di diritto oggi pressoché universalmente
accettati ed espressi nelle costituzioni e nei codici penali dei paesi
occidentali, in particolare dell'Italia.
1 Mario
Spataro, "Il bavaglio europeista - Come l'Europa uccide la libertà",
Ed. "Il Settimo Sigillo", Roma, 2002.
PREFAZIONE
La polemica
mass-mediatica sulla isolata resistenza del governo italiano alla proposta
di leggedel Consiglio dell'Unione europea che quell'organo ha presentato
sotto il sommario titolo di "decisionequadro relativa al mandato
di arresto europeo", appare largamente riduttiva, manipolatoria
efuorviante. Tale resistenza, infatti, è stata ascritta principalmente,
se non esclusivamente, alla preoccupazionedell'attuale Presidente del
Consiglio dei Ministri, on. Silvio Berlusconi, di poter venireprocessato
da qualche tribunale europeo per i suoi precorsi intrallazzi politico-finanziarî.
Questa inconfessabile
preoccupazione avrebbe indotto lo stesso Berlusconi e i suoi alleati ad
ostacolare un'importante tappa del provvidenziale processo di unificazione
dell'Europa per motivibassamente personali e partitici.
Evidentemente non è
questo il modo corretto di affrontare l'argomento. Invero, pur non escludendo
che considerazioni siffatte possano aver avuto un loro peso nell'atteggiamento
del governo italiano, ciò che è necessario fare prima di
esprimere un giudizio su una riforma legislativa - la cui portata, come
il più sprovveduto dei giuristi, dovrebbe capire dal suo stesso
titolo, è vastissima - è prendere conoscenza dei contenuti
e valutarne gli effetti. Sentenziare per sentito dire e senza alcuna cognizione
di causa significa abdicare all'uso del proprio cervello.
Per rendere agevolmente
comprensibile questa trattazione, la suddividiamo in tre sezioni. La prima
sommariamente descrittiva del sistema penale vigente nelle parti che vengono
rivoluzionate dalla proposta di legge comunitaria, la seconda illustrativa
del contenuto di detta "proposta" e la terza, di gran lunga
la più estesa, dedicata a commenti e considerazioni. Con avvertenza
che già la lettura delle due prime brevissime sezioni dà
un'idea dei termini fondamentali della questione e della gravità
della posta in gioco. Peraltro la terza sezione ci è parsa indispensabile
sia per meglio sviluppare gli argomenti affrontati nella seconda, sia
per collocare la proposta nel contesto ideale e storico in cui ha potuto
nascere. Essa aiuta a comprendere, almeno in parte, la filosofia ed i
possibili esiti di quel processo di unificazione dell'Europa che generalmente
viene salutato con acritico entusiasmo, senza minimamente considerare
la direzione che a tale processo è stata impressa e le vastissime
problematiche ed implicazioni che ne derivano in campo giuridico, politico
ed economico.
SEZIONE PRIMA
CENNI SULLA LEGISLAZIONE CHE ATTUALMENTE
DISCIPLINA I PRINCIPALI SETTORI SOVVERTITI DALLA PROPOSTA DI DECISIONE
QUADRO COMUNI-TARIA
I
L'INDIVIDUAZIONE DEL GIUDICE COMPETENTE A CONOSCERE DI UN REATO SECONDO
LA LEGISLAZIONE ANCORA IN VIGORE
Il primo tema
da prendere in considerazione per comprendere la novità della proposta
di decisione quadro comunitaria è quello dell'attuale normativa
sulla individuazione del giudice competente a conoscere di una data imputazione.
In questa nostra breve trattazione facciamo riferimento al diritto italiano.
Con avvertenza, peraltro, che i principî che lo ispirano sono sostanzialmente
analoghi a quelli che informano le legislazioni degli altri Stati dell'Unione
Europea.
Tra i varî criterî
vigenti per l'individuazione del giudice competente a conoscere di un
determinato reato, restringiamo poi la nostra indagine principalmente
alla competenza per territorio, perché è quella che in linea
principale viene sconvolta, o meglio travolta, dalla proposta di legge
del Consiglio dell'Unione Europea.
L'importanza che riveste ai
fini della tutela della libertà e dell'onorabilità della
persona il fatto che un cittadino sia eventualmente processato non già
da un qualsiasi giudice dello Stato - che esercita le sue funzioni magari
a mille chilometri di distanza dal luogo in cui si afferma sia stato commesso
l'illecito penale - ma da un organo giudiziario determinato in base a
criterî oggettivi e predeterminati, è tale da essere stato
enunciato come cardine indefettibile del nostro sistema giudiziario dalla
stessa Costituzione, il cui articolo 25, al primo comma, stabilisce che
"nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito
dalla legge".
La ragione di questa norma è
evidente: si vuole scongiurare il pericolo, o anche soltanto il sospetto,
che un giudice possa attivarsi in relazione a una data persona e a un
dato reato non già per dovere del proprio ufficio, ma per motivi
personali di interesse, rancore o vendetta, ovvero per ragioni politiche
o su pressioni di gruppi di potere.
Il criterio fondamentale per
individuare il giudice territorialmente competente è quello del
luogo in cui il reato è stato consumato (articolo 8, 1° comma
codice di procedura penale). L'importanza che il legislatore ascrive alla
competenza per territorio è tale che la sua violazione, se tempestivamente
eccepita, produce l'annullamento della sentenza ed è rilevabile
in tutti e tre i gradi del giudizio previsti dal nostro ordinamento, e
quindi fin davanti alla Corte di cassazione.
Tutta l'articolazione della
struttura giudiziaria dello Stato, suddivisa in tribunali e corti d'appello,
è da sempre finalizzata a tutelare il principio della competenza,
anche territoriale, considerato come una condizione indispensabile per
una giustizia imparziale e affidabile.
Del resto non è chi non
veda quanto sarebbe sospetto e grave il fatto che l'azione penale per
un reato, vero o presunto, ipoteticamente consumato a Torino fosse promossa
dalla procura della repubblica di Reggio Calabria, o viceversa.
Solo la Corte di cassazione
ha competenza per l'intero territorio dello Stato. Ciò peraltro
dipende dal fatto che la sua funzione principale è quella di controllare
e tutelare in ultima, estrema istanza, la corretta applicazione da parte
dei giudici procedenti dei principî giuridici che, in quanto tali,
sono di ordine generale, contribuendo con le sue pronunce alla certezza
del diritto. Tale certezza, invero, è un altro indispensabile presupposto
di libertà e sicurezza del cittadino che deve sapere, o almeno
poter sapere, rivolgendosi magari a un avvocato o a un commercialista,
quali condotte siano permesse e quali proibite.
L'importanza che a tutt'oggi
si ascrive al rispetto del principio costituzionale in base al quale il
cittadino ha diritto che il suo processo, penale o civile che sia, venga
giudicato da quello che, come si è visto, la Costituzione chiama
"il giudice naturale precostituito per legge", è tale
che il Consiglio Superiore della Magistratura, andando ben al di là
della disciplina dei codici, esige che all'inizio dell'anno i capi degli
uffici giudiziarî predispongano delle tabelle da cui risultino criterî
il più possibile automatici di assegnazione delle cause ai varî
giudici cui sono preposti. Una simile rigidità ha i suoi non piccoli
inconvenienti, perché spesso rende assai difficile per i presidenti
delle corti di appello e dei tribunali e per i procuratori della Repubblica
tenere adeguato conto sia delle attitudini e della preparazione, che dei
carichi di lavoro dei singoli magistrati, su taluno dei quali, per puro
caso, possono ricadere più procedimenti di grande impegno, mentre
altri potrebbero cavarsela con un pari numero di processucoli di poco
conto. Ciononostante si è ritenuto e si ritiene (ricordiamo da
ultimo la circolare del 21.12.2001 del Consiglio Superiore della Magistratura)
che questi pur eventualmente gravi inconvenienti debbano essere messi
in conto pur di garantire il più possibile il principio di imparzialità
del giudice, che non deve poter esser scelto dal capo dell'ufficio in
base a criterî discrezionali che potrebbero dare adito a "manovre",
o anche solo a sospetti di manovre.
II
L'ESTRADIZIONE OGGI
L'altro argomento che è
importante tener presente prima di passare alla disamina dei punti fondamentali
della proposta di decisione quadro del Consiglio dell'Unione Europea è
quello della attuale disciplina dell'estradizione, e cioè della
consegna a uno stato estero di persona contro cui l'autorità giudiziaria
del medesimo ha pronunciato sentenza di condanna o emesso altro provvedimento
restrittivo della libertà personale.
Trattasi di una procedura che
il legislatore ha ritenuto di dover circondare di controlli e cautele
per evitare il pericolo di rendersi cieco esecutore di provvedimenti ingiusti
o comunque discutibili.
Anche su questo delicato tema
interviene anzitutto la Costituzione, che al suo articolo 26 stabilisce
che l'estradizione del cittadino italiano "può essere consentita
soltanto ove sia espressamente prevista dalle convenzioni internazionali"
e comunque, sia per l'italiano che per lo straniero, mai "per reati
politici" (vedasi anche l'art. 698 1° comma cod. proc. pen.).
Senza scendere ad ulteriori
particolari, irrilevanti ai nostri fini, è qui importante ricordare
che, per quanto concerne gli Stati dell'Unione Europea, la materia in
esame è regolata dalla Convenzione di estradizione, firmata a Parigi
il 13 dicembre 1957, recepita dall'Italia con legge 30 gennaio 1963 nr.
300.
Tale Convenzione, pur ampliando
pericolosamente, come meglio vedremo fra breve, l'istituto dell'estradizione
in ambito europeo, mantiene pur sempre dei consistenti limiti a tutela
dell'imputato e del condannato dall'autorità giudiziaria di uno
degli Stati che vi hanno aderito.
Fermo, invero, restando in linea
generale quanto si è detto sulla competenza del giudice italiano
per i reati commessi nel territorio dello Stato, essa riprende il principio
costituzionale secondo il quale ogni Parte contraente ha sempre "la
facoltà di rifiutare l'estradizione dei propri cittadini"
(art. 6, 1° comma) sebbene incriminati o condannati per illeciti consumati
nel territorio dello Stato richiedente.
Un altro importantissimo limite
è che l'estradizione può essere concessa solo se il fatto
cui la richiesta si riferisce è previsto come reato anche dalla
legge dello Stato in cui si trova l'arrestato o il condannato (art. 2,
1° comma), e questo, si badi bene, pure nel caso che il fatto sia
stato commesso da un cittadino dello Stato richiedente (arg. ex art. 1).
Ciò non è ancora
sufficiente: occorre infatti anche che le legislazioni di entrambi gli
Stati coinvolti stabiliscano per la fattispecie in questione una pena
restrittiva della libertà personale non inferiore, per entrambi,
ad un minimo fissato (art. 2, 1° comma).
Se poi la legislazione dello
Stato che chiede la consegna dell'imputato o del condannato commina per
il reato di cui trattasi la pena di morte, non contemplata, invece, almeno
per tale reato, da quella dello Stato cui la richiesta è rivolta,
l'estradizione potrà essere accordata solo a condizione che la
Parte richiedente dia assicurazioni ritenute sufficienti dalla Parte richiesta
che tale pena non sarà eseguita (art. 11).
L'estradizione, inoltre, è
subordinata (art. 14, 1° comma) alla condizione che la persona cui
si riferisce non venga giudicata o sottoposta a restrizioni della libertà
personale per fatti anteriori diversi da quello (o da quelli) per cui
è concessa2.
2
Salvo due tassative eccezioni: 1) se vi sia il ponderato consenso dello
Stato estradante e purché si tratti di un reato che
comporti l'obbligo di estradizione ai sensi della stessa Convenzione di
Parigi; 2) se l'estradato, avendone avuta la possibilità,
non abbia lasciato il territorio dello stato richiedente l'estradizione
entro 45 giorni dal rilascio, o vi sia tornato
dopo averlo lasciato.
La ragione
e l'importanza di quest'ultima limitazione sono evidenti: lo Stato che
propone la domanda potrebbe avvalersi dell'estradizione ottenuta per un
reato di scarsa gravità, per poi processare l'estradato, una volta
giunto nel suo territorio, per un diverso reato precedente, eventualmente
politico, e quindi anche di opinione, per il quale potrebbero essere previsti
persino l'ergastolo o la pena di morte. La Convenzione, infatti, recepisce
il principio costituzionale in base al quale "l'estradizione non
sarà accordata se il reato per il quale è richiesta sia
considerato dalla Parte richiesta come reato politico o come fatto connesso
a reato di tale natura" (art. 3, 1° comma).
È altresì escluso
che la persona consegnata ad uno dei Paesi aderenti alla Convenzione possa
poi essere da questo a sua volta estradata in altro Paese senza l'esplicito
consenso dello Stato che ha concesso la prima estradizione. Ciò,
naturalmente, sempre che si tratti di fatti anteriori all'estradizione
stessa (art. 15).
Una previsione molto importante
nell'attuale momento storico, caratterizzato da una fiscalità particolarmente
vorace, è quella concernente i reati in materia tributaria. Per
essi l'estradizione - sempre subordinata alla condizione che il fatto
sia considerato come reato anche dalla legge dello Stato cui l'estradizione
è richiesta e con i limiti di pena di cui si è detto - può
essere concessa solo se vi sia un esplicito accordo in tal senso "per
ogni singolo reato o categoria di reati" (art. 5).
Altro limite importantissimo:
l'arresto della persona non condannata con sentenza irrevocabile è
sempre subordinato ad una verifica dell'Autorità giudiziaria del
Paese richiesto, che deve accertare se, secondo la legge di tale Paese,
ricorrano i presupposti per una così grave misura (art. 22).
La ricorrenza di queste condizioni,
e di altre ancora che qui non elenchiamo, necessarie per l'estradizione,
è valutata da una Corte d'appello italiana che di massima è
quella del luogo di residenza del condannato o dell'imputato (art. 701,
4° comma codice procedura penale). A tale Corte debbono essere fatti
pervenire per via diplomatica: a) "l'originale o la copia autentica
sia della sentenza di condanna esecutiva, sia del mandato di cattura o
di qualsiasi altro atto avente la stessa efficacia
"; b) "una
esposizione dei fatti per i quali l'estradizione viene richiesta".
In detta esposizione debbono essere "indicati con la massima possibile
esattezza" "il tempo e il luogo della loro (dei fatti, N.d.A.)
consumazione, la loro qualificazione giuridica e i riferimenti alle disposizioni
di legge loro applicabili" che devono venire allegate in copia (art.
12 della Convenzione).
La Corte investita del caso,
"se le informazioni dalla parte richiedente si rivelino insufficienti",
chiede "le informazioni complementari necessarie" eventualmente
fissando un termine decorso vanamente il quale la domanda di estradizione
non avrà seguito (art. 13 della Convenzione). In questa procedura
l'imputato o il condannato è assistito da un difensore che, in
caso di accoglimento della domanda di estradizione, può proporre
ricorso per cassazione (art. 703, 704 e 706 cod. proc. penale).
Una tutela a carattere più
generale è prevista poi a livello legislativo e politico, nel senso
che ogni Stato può recedere dalla Convenzione (art. 31) o comunque
escludere dall'estradizione determinate categorie di reati (art. 2, 5°
comma). È questo un punto più importante di quanto possa
a prima vista sembrare perché da un lato fa salva la sovranità
e libertà dello Stato, e con esse il potere di controllo del suo
corpo elettorale, e dall'altra permette di intervenire e rimediare a eventuali
abusi da parte di altri Stati.
Giova aggiungere che, come si
è accennato, la disciplina dell'estradizione nei confronti dei
Paesi della Comunità Europea, amplia in maniera preoccupante quella
prevista in linea generale - anche se convenzionalmente derogabile - dal
codice di procedura penale. Quest'ultimo infatti, all'articolo 705, stabilisce
che, finché non sia sopravvenuta sentenza irrevocabile di condanna,
la concessione dell'estradizione è subordinata ad una valutazione
della Corte di appello, che può concederla solo quando, con apposita
sentenza, accerti che sussistono "gravi indizî di colpevolezza"
È un'importante garanzia che il legislatore si è ritenuto
in dovere di dare all'imputato straniero nel presupposto che, prima di
attivare le proprie forze di polizia per privare della libertà
una persona ospite del suo territorio, lo Stato italiano sia tenuto a
delibare la fondatezza dell'accusa, anche per evitare di rendersi cieco
strumento di persecuzioni politiche o di altro genere. Abbiamo parlato
di cittadino straniero perché, come si è detto, per il cittadino
italiano l'estradizione in linea di massima è esclusa.
SEZIONE SECONDA
LA PROPOSTA DI DECISIONE QUADRO EUROPEISTA E LE SUE
NOVITÀ
I
LE DUE PRINCIPALI NOVITÀ:
1) CHIUNQUE SI TROVA NEL TERRITORIO
DELL'UNIO-NE EUROPEA PUÒ ESSERE ESTRADATO SU RICHIESTA DI UN QUALSIASI
GIUDICE DI UN QUALUNQUE STATO MEM-BRO;
2) QUESTO PRINCIPIO VALE ANCHE PER
UN'AZIONE COMPIUTA NEL TERRITORIO DELLO STATO DI CUI L'E-STRADANDO È
CITTADINO E CHE PER LA LEGGE DI TALE STATO È PERFETTAMENTE LECITA
Così
presentato a grandi linee l'attuale panorama legislativo in materia di
competenza territoriale dell'Autorità giudiziaria e di estradizione,
possiamo passare alla rassegna delle principali novità volute dal
Consiglio dell'Unione Europea.
A tale riguardo è istruttivo
tener presente che il progetto che prendiamo in esame costituisce una
linea arretrata e di compromesso rispetto ad un altro precedente e ancor
più estensivo che aveva trovato resistenze da parte dei rappresentanti
di alcuni Stati. Con avvertenza inoltre che i richiami alle pagine si
riferiscono al quaderno redatto dalla Segreteria Generale della Camera
dei Deputati italiana distribuito ai membri di quel ramo del Parlamento
nazionale.
La più sconvolgente di
tali novità concerne quella competenza per territorio su cui ci
siamo soffermati al capitolo I della prima sezione. In base ad essa chiunque
potrà essere estradato su richiesta dell'autorità giudiziaria
di uno qualsiasi degli Stati membri anche per fatti commessi nel territorio
dello Stato di cui è cittadino (per brevità d'ora innanzi
ci riferiremo il più delle volte specificamente all'Italia, ma
il discorso, ovviamente, vale sempre per tutti i paesi membri). Viene
così annichilita la garanzia prevista dal 1° comma dell'art.
25 della Costituzione e con essa vengono rottamate o svuotate di significato
tutte le norme, le strutture giudiziarie, le cautele e le garanzie relative
all'individuazione del "giudice naturale precostituito per legge"
precedentemente illustrate. Paradossalmente le regole sulla competenza
territoriale resterebbero in vigore all'interno dell'ordinamento, e quindi
del territorio italiano, di talché per un reato commesso a Ragusa
non potrei essere giudicato a Siracusa, ma potrei benissimo esserlo dal
più remoto tribunale della Norvegia.
Viene sconvolta anche la competenza
per materia, graduata sulla gravità dei reati, nel senso che, ad
esempio, l'imputato che in base alla legge italiana dovrebbe essere giudicato
da una corte d'assise, o comunque da un giudice collegiale, con le maggiori
garanzie che ne derivano, potrebbe venir pro-cessato e condannato con
procedura sommaria in base alla legisla-zione dello Stato richiedente.
La seconda novità
in ordine di importanza che, combinata a quella testé illustrata,
sconvolge, o meglio, travolge il sistema penale vigente - novità
che il Consiglio dell'Unione Europea esalta come una grande conquista
di civiltà giuridica (pag. 59) - è quella per cui, all'interno
di ben 32 categorie di "reato" definite in termini di sconcertante
ampiezza e genericità, e quindi capaci di abbracciare una serie
indefinita e indefinibile di figure "criminose", viene soppressa
senza possibilità di deroga la condizione per la quale (v. supra,
sez. I, cap. II) l'estradizione può essere concessa solo se il
fatto per cui è richiesta costituisca reato anche per la legge
italiana: cosiddetto "principio della doppia punibilità"3.
La soppressione di tale principio, è importante notarlo,
è prevista in linea generale anche per tutti gli altri reati.
Per essi, tuttavia, si consente agli Stati membri di derogare a
tale novità, e quindi di mantenere in vigore il requisito della
doppia punibilità (art. 2, 4° comma). Si tratta però
di una deroga che la proposta contempla con palese sfavore, come espressione
di una mentalità europeista non ancora sufficientemente matura.
Ciò è dimostrato anche dal fatto che lo stesso art. 2, al
suo terzo comma, prevede che il Consiglio "in qualsiasi momento,
deliberando all'unanimità" possa "inserire altre
categorie di reato" in aggiunta alle 32 di cui si è detto,
mentre l'art. 25, al secondo comma, per aggirare l'ostacolo dell'unanimità
richiesta dal detto articolo 2, stabilisce che l'aggiunta di tali nuove
categorie di reato per le quali la deroga in questione non è ammessa,
possa essere convenuta anche in accordi bi- o plurilaterali fra gli Stati
membri.
3
La soppressione dei limiti di competenza territoriale risulta dall'articolo
4, 1° e 7° comma (in linguaggio europeistico "paragrafo")
della proposta di decisione quadro, nel quale si stabilisce che lo Stato
richiesto "può rifiutare di eseguire il mandato di arresto
europeo" se esso "riguarda reati
commessi in tutto
o in parte nel suo territorio" e comunque, ma solo a determinate
condizioni, commessi "al di fuori del territorio dello Stato membro
emittente". È evidente che se nei due casi così
contemplati - e cioè mandato emesso da un giudice di uno Stato
per reati commessi nel territorio dell'altro Stato cui chiede l'estradizione,
e mandato emesso dal detto giudice per reati commessi nel territorio di
uno Stato terzo, diverso sia da quello cui appartiene il giudice che lo
ha spiccato sia da quello in cui l'estradando risiede - il detto mandato
"può", ma solo può non essere applicato (
nel secondo caso, peraltro, solo a certe condizioni) se ne deve desumere
che esso, in linea di massima è valido ed efficace in tutta l'area
comunitaria. Quanto al principio della doppia punibilità, la sua
abrogazione è enunciata nel 1° e 2° comma dell'articolo
2, in cui si legge che "il mandato di arresto europeo può
essere emesso
indipendentemente dalla doppia incriminazione per
il reato".
Sulla consistenza e le prospettive della possibilità di non dare
esecuzione al mandato di arresto emesso al giudice di un altro Stato,
rinviamo il lettore a quanto diremo al capitolo I della III sezione.
Ci pare utile,
a questo punto, addurre un esempio per chiarire a chi non abbia dimestichezza
col diritto le allucinanti conseguenze di questi due capisaldi della "civiltà
giuridica" propugnata dall'Europa unita:
un Paese qualsiasi dell'Unione
considera "specie animale protetta" di cui vieta il commercio
(dodicesima delle ipotesi previste dall'articolo 2 per le quali l'estradizione
non può quasi mai essere negata) le tartarughe palustri
che in altri Stati, invece, sono liberamente vendibili o il cui traffico
è, tutt'al più, punito con una semplice sanzione amministrativa.
Ebbene, in virtù delle due citate novità (abbattimento dei
limiti sulla competenza territoriale e soppressione del principio della
doppia punibilità) il cittadino del secondo Stato che mette in
vendita, si badi bene, in patria, esemplari di tali tartarughe
potrà essere estradato su richiesta di un qualsiasi giudice del
citato paese straniero.
Il tutto con l'aggravante che,
non essendo prevista una delibazione delle prove a suo carico, la sua
estradizione potrà aver luogo anche nel caso che l'accusa sia palesemente
infondata e che egli non abbia mai neppur visto una tartaruga palustre
in vita sua. Infatti, come specifica con agghiacciante chiarezza il citato
documento parlamentare: "
Non rileva
che l'incriminazione
che ha dato origine all'emissione di un mandato d'arresto europeo non
esista
nel territorio dello Stato di esecuzione" (pag.
59).
II
SOPPRESSA LA LIMITAZIONE PER I REATI POLITICI
Sempre seguendo
l'ordine che abbiamo tenuto nel trattare, nella I sezione, le garanzie
previste dall'attuale legislazione, osserviamo brevemente che la "proposta
di decisione quadro" non prevede alcuna riserva o limite riguardo
ai reati politici. La garanzia costituzionale, quindi, risulta
abrogata. Vedremo anzi in seguito che proprio i reati di opinione e quindi,
in senso lato, politici sono uno dei principali, per non dire il principale
obiettivo della decisione quadro comunitaria.
III
VERSO LA TOTALE SOPPRESSIONE DELLA CONDIZIONE CHE
L'ESTRADATO NON SIA GIUDICATO PER FATTO DIVERSO ANTERIORE A QUELLO PER
CUI L'ESTRADIZIONE È STATA CONCESSA E DI QUELLA CHE LO STATO CUI
VIENE CONSEGNATO NON LO ESTRADI A SUA VOLTA CONSEGNANDOLO A UNO STATO
TERZO
Al capitolo
II della prima sezione abbiamo illustrato la grande importanza della garanzia
richiamata nel titolo di questo capitolo. È peraltro evidente che
essa appare pressoché svuotata in un contesto legislativo tutto
proteso ad affermare il principio della esecutività in tutto lo
spazio comunitario di ogni sentenza emessa da qualsiasi
giudice di uno qualunque degli Stati membri.
Comunque, per togliere di mezzo
ogni dubbio, il legislatore europeo preferisce demolire tale garanzia
in maniera esplicita. Infatti, anche se non la abbatte tutta di un colpo,
favorisce e auspica la sua graduale soppressione attraverso atti governativi
che sfuggono al controllo dei Parlamenti e che restano totalmente ignoti
al semplice cittadino. Al primo comma dell'articolo 22 stabilisce infatti
che:
"ogni Stato membro può
notificare al Segretariato generale del Consiglio dell'Unione europea
che nei suoi rapporti con altri Stati membri che hanno effettuato la stessa
notifica si presume che sia stato accordato l'assenso all'azione penale,
alla condanna o alla detenzione ai fini dell'esecuzione di una pena
o di una misura privativa della libertà per eventuali reati
anteriori alla consegna diversi da quello per cui è stato consegnato"
(l'estradato - aggiunta nostra: il testo è privo di soggetto, N.d.A.)4.
Anche a prescindere da questa
larghissima falla palesemente destinata ad allargarsi e ad assurgere a
regola generale con l'estendersi delle "notifiche" di assenso
presunto, va altresì rilevato che la condizione che l'estradato
non sia giudicato per fatto diverso anteriore è già ampiamente
vulnerata dalla stessa decisione quadro.
4
A parte la notevole involuzione del periodo, si notino la grossolanità
e la frettolosità dei Soloni europei: in un articolo di legge,
che esige sempre la massima precisione, e per giunta in così grave
materia, essi scrivono il predicato verbale "è stato consegnato"
dimenticando il soggetto: l'imputato o il condannato.
Invero, sempre
il citato articolo 22 (comma 3, lettera g, e comma 4), stabilisce che,
qualora lo Stato richiedente espressamente faccia domanda di sottoporre
l'estradando a procedimento penale per fatto diverso anteriore, lo Stato
richiesto - in una serie vastissima di casi, direttamente ed indirettamente
scaturente dalla decisione quadro stessa - non può negare il suo
consenso.
Il successivo articolo 23 allarga
ulteriormente la breccia prevedendo che, sempre con notifica al Segretariato
generale del Consiglio dell'Unione europea, il Paese che concede l'estradizione
ne consenta, in linea generale e senza limite alcuno, una o più
successive estradizioni ad altri Stati dell'Unione che abbiano fatto la
stessa notifica. Ne consegue che l'imputato o condannato potrà
essere estradato dal Paese che per primo ne ha chiesto la consegna ad
un secondo e, successivamente, magari, ad un terzo, un quarto e così
via. Tutto ciò sempre per imputazioni diverse anteriori
rispetto a quella per cui è stata concessa la prima estradizione5.
A questo punto ci pare opportuno
introdurre un altro esempio per illustrare le conseguenze pratiche
di questa innovazione, ovviamente sempre correlata alle due grandi novità
presentate al capitolo I di questa seconda sezione: il signor Rossi viene
estradato dall'Italia in Svezia in forza dell'art. 2, 1° comma della
"proposta di decisione quadro" per espiarvi una "misura
di sicurezza" di 4 mesi corrispondente all'incirca alla nostra libertà
controllata6, per una presunta
contravvenzione stradale commessa in un qualsiasi paese dell'Unione Europea,
per la quale è stato condannato in contumacia e a sua insaputa
in quello Stato7. Una volta
estradato, se il governo italiano ha effettuato la detta notifica, egli
può essere processato e condannato, sempre in Svezia, per un "reato"
precedentemente "commesso" in Italia per il quale, in ipotesi,
è comminata una pena molto più grave (ad esempio il "reato"
di "xenofobia", diciassettesima figura prevista dall'articolo
2 della proposta). Espiata quella seconda pena potrà venire consegnato,
poniamo, all'autorità greca per qualche altro fatto (magari un'altra,
distinta, manifestazione di "prevenzione" nei confronti di questo
o quel gruppo etnico o religioso di immigrati, oppure "traffico di
essenze vegetali protette" - dodicesima ipotesi dell'articolo 2 della
proposta) e così via, col solo limite teorico del numero degli
Stati aderenti all'Unione, dell'entità delle pene da espiare (un
ergastolo potrebbe bloccarlo alla prima estradizione) e dei termini di
prescrizione dei reati previsti dalle varie legislazioni. Sarà
sufficiente che
5
L'art. 23, comma 1, prevede che l'Autorità giudiziaria del paese
che effettua l'estradizione "in un caso specifico" possa
negare tali successive estradizioni. Ciò significa che le stesse
saranno eccezionalmente ("in un caso specifico") paralizzate
da tale Autorità giudiziaria, che può decidere come meglio
crede, e pertanto è arbitra assoluta dei destini dell'estradando.
6
Giova considerare la sconcertante genericità del legislatore europeo,
peraltro già presente nella convenzione di Parigi del 1957. Invero
in Italia l'espressione "misura di sicurezza" ha un significato
ben definito nel contesto del sistema penale di tale Stato. Ora, senza
bisogno di indagini di diritto comparato, è certissimo che in altri
Paesi dell'U.E. tale termine, anche se ricorrente in tutti, del che dubitiamo,
indica istituti certamente diversi, eventualmente equiparabili alle sanzioni
sostitutive di cui alla legge italiana nr. 689 del 1981, tra le quali
appunto figura la libertà controllata addotta nel nostro esempio.
Con avvertenza che abbiamo ipotizzato una sanzione di durata quadrimestrale
perché è la misura minima per cui è prevista l'estradizione
(art. 2, 1° comma).
7
È evidente che l'esempio è astratto, formulato, cioè,
a prescindere da uno studio della legislazione svedese, ignota all'estensore
di queste pagine. Al tempo stesso, però, esso è anche assai
concreto, perché riflette situazioni che certamente, per questa
o per quella contravvenzione e nei rapporti con questo o quel Paese dell'U.E.,
verranno a prodursi. È poi evidente che ogni esempio può
essere rovesciato nel senso che, reciprocamente, il Paese richiedente
potrebbe essere l'Italia e l'estradato cittadino svedese.
una persona o un'organizzazione a lui avverse lo denuncino
presso le autorità giudiziarie di vari Stati per fare di lui un
pellegrino degli istituti di pena di mezza Europa8.
8
Come si è detto all'inizio del presente capitolo, la soppressione
del divieto di estradizione per fatto diverso anteriore, una volta tolti
di mezzo il limite della competenza territoriale e quello del principio
della doppia punibilità, perde gran parte del suo significato.
Invero, abbattuti quei due baluardi di libertà, qualunque giudice
di qualunque Paese dell'Unione Europea, potrà fare estradare e
gettare in galera qualunque cittadino di qualunque altro Paese della medesima
per fatti che afferma commessi in qualsiasi parte del suo territorio,
senza altro limite di tempo che quello della prescrizione dell'asserito
reato secondo la propria legge nazionale.
Di fronte a
siffatte enormità passano in secondarissimo piano aspetti della
proposta che pure in concreto metterebbero l'imputato o il condannato
in condizioni di grave, sproporzionata difficoltà. Cionondimeno
è opportuno prenderli in considerazione, perché in qualsiasi
altro contesto apparirebbero sconcertanti, iniqui e mostruosamente vessatorî.
A tal fine torniamo al già prospettato esempio di una condanna
di 4 mesi ad una misura analoga alla libertà controllata prevista
dalla nostra legislazione, inflitta dall'Autorità giudiziaria svedese
per una contravvenzione stradale. Se lo Stato italiano non si avvarrà
della facoltà di eseguire esso stesso tale misura nel suo territorio
(art. 4, comma 6), il povero signor Rossi si troverà di fronte
all'oneroso impegno di procurarsi un alloggio in Svezia per ivi venire
sottoposto ai controlli di legge. Dovrà allora sobbarcarsi le spese
dell'albergo e, per giunta, non solo si troverà sperduto in un
paese di cui non conosce la lingua, lontano dai propri affetti, ma con
ogni probabilità perderà anche il lavoro in patria per la
troppo lunga assenza. Il tutto portando bensì l'ipotesi ai suoi
estremi, ma senza tuttavia uscire dal quadro normativo della proposta,
e quindi delle sue possibili applicazioni. Si aggiunga che, al limite,
la contravvenzione stradale per cui nell'esempio si chiede l'estradizione
potrebbe essere stata commessa in Italia ed essere contemplata dalla legge
di tale Stato come semplice illecito amministrativo, come tale penalmente
irrilevante. Ciò sempre in forza della soppressione delle regole
sulla competenza territoriale e del principio di doppia punibilità.
IV
LE INFRAZIONI FISCALI E QUELLE IN MATERIA DI DOGANA
E DI CAMBIO
Abbiamo visto
al capitolo II della prima sezione i limiti posti all'estradizione per
questo tipo di reati dalla Convenzione di Parigi del 13 dicembre 1957.
Orbene tali limiti, importantissimi in una materia così delicata
nella quale, per di più, sono possibili, per non dire frequentissime,
infrazioni anche colpose, determinate da disattenzione o ignoranza di
normative complesse e mutevoli, sono praticamente soppressi dalla proposta.
Essa, infatti, all'articolo 4, 1° comma, stabilisce che "in
materia di tasse e di imposte, di dogana e di cambio, l'esecuzione del
mandato di arresto europeo può essere rifiutata in base al fatto
che la legislazione dello stato membro di esecuzione non impone lo stesso
tipo di tasse o di imposte o non contiene lo stesso tipo di regolamenti
in materia di tasse o di imposte, di dogana e di cambio della legislazione
dello stato emittente".
Cosa si ricava da questa disposizione?
Prima di tutto ed evidentemente che l'estradizione non può quasi
mai essere rifiutata quando il fatto per cui viene richiesta si riferisca
a una tassa o imposta, ovvero a una norma in materia di dogana o di cambio
che, pur non costituendo reato, e magari neppure illecito amministrativo
per la legge italiana, tuttavia sia "dello stesso tipo" di
tasse, imposte o norme in materia di dogana o di cambio previste dalla
legge dello stato richiedente, L'espressione insidiosamente vaga e comprensiva
"dello stesso tipo", lascia un margine ben ristretto
alla facoltà di rifiuto. Invero si potrebbe agevolmente sostenere
con riferimento - a titolo di esempio e per non dilungarci troppo - alle
sole imposte, che poiché esse sono dirette o indirette, sul reddito
o sul capitale, sulle persone fisiche o sulle persone giuridiche, non
vi è praticamente "tipo" di imposte e, di conseguenza,
"tipo di regolamenti" che le concernono, per cui l'estradizione
possa essere rifiutata.
Il regime dell'estradizione
in questa materia, dunque, lungi dall'essere, come pur sarebbe stato ragionevole
attendersi, più garantista, è ancor più vincolante
per il Paese richiesto di quello previsto per gli altri "reati"
che non rientrano nei 32 ripetuti tipi elencati nel secondo comma dell'articolo
2.
Richiamiamo inoltre l'attenzione
del lettore sulla aleatorietà di quel "può"
riferito all'eventuale rifiuto alla domanda di estradizione, da parte
dell'Autorità giudiziaria del Paese richiesto. Trattasi, invero,
di un'eventualità meramente discrezionale che, come tale, non garantisce
alcun diritto allo sventurato estradando.
Nel valutare la latitudine di
questa norma va tenuto sempre ben presente il rivoluzionario principio
della perseguibilità del cittadino di uno Stato per fatti posti
in essere nel territorio del medesimo e per esso leciti, ma previsti come
reati dalla legge di altro Paese dell'Unione Europea. Tradotto in pratica,
ciò significa che Tizio, cittadino italiano che vive in Italia
ed è in regola con la legge italiana, o che comunque è incorso
in una infrazione fiscale, doganale o di cambio che la stessa sanziona
solo in via amministrativa, può essere estradato perché
la sua condotta non rispetta la normativa, poniamo, del Portogallo che
prevede, invece, una pena detentiva o una misura di sicurezza intesa nel
senso illustrato al capitolo precedente.
V
E LA PENA DI MORTE?
La proposta
in esame prevede l'estradizione fra Stati membri dell'Unione solo per
pene o "misure di sicurezza" detentive o comunque limitative
della libertà personale (artt. 1 e 2). Della pena di morte non
fa menzione. Essa tuttavia è preceduta da un preambolo articolato
in 14 punti che ne illustra lo spirito e gli scopi e che non può
quindi essere ignorato dalle autorità chiamate ad applicarla. Il
tredicesimo di questi punti, contraddistinto nel testo col numero 12 bis,
prende invero in considerazione tale pena e insieme con essa la tortura,
formulando un'enunciazione programmatica che così suona:
"Nessuna persona dovrebbe
essere allontanata, espulsa o estradata verso uno Stato allorquando sussista
un serio rischio che esse vengano sottoposte alla pena di morte,
alla tortura o ad altri trattamenti o pene inumane o degradanti".
È evidente che la disposizione,
correlata al testo della proposta, si riferisce all'estradizione in Stati
non appartenenti all'Unione. Colpiscono però quel condizionale
"dovrebbe" e quell'espressione "serio rischio",
quasi ci potesse essere un rischio di morte poco "serio"
che può anche essere affrontato. Aperture simili, specialmente
in clima di crescente globalizzazione, e quindi caratterizzato da un graduale
abbassamento delle barriere non solo doganali anche verso gli altri Paesi
del mondo, sembrano attenuare non poco le garanzie del cittadino dell'Unione
di non essere estradato in uno Stato dove sarà sottoposto alla
pena capitale.
Il timore è tanto più
giustificato in quanto la proposta di decisione quadro in esame ne sostituisce
una precedente, presentata il 19 settembre ed emendata il 29 novembre
2001, ancor più estensiva di essa, ritirata per superare le perplessità
di alcuni Stati membri, nella quale figurava (pag. 125) un articolo 37
bis intitolato "pena di morte" del seguente tenore:
"L'esecuzione di un
mandato d'arresto europeo può essere soggetta alla condizione che
lo stato membro emittente si impegna (sic) a non estradare la persona
ricercata verso un paese terzo in cui essa potrebbe rischiare di essere
condannata alla pena di morte".
Cosa comportava questa norma?
Che in linea generale, salvo specifica condizione limitativa apposta dall'Autorità
del Paese di residenza, Tizio avrebbe potuto venir consegnato dallo Stato
richiedente a uno Stato terzo, vale a dire estraneo all'Unione Europea,
per una imputazione per cui quest'ultimo Paese prevede la pena di morte9.
9
L'art. 23, comma 4 prevede che l'estradizione venga effettuata anche nei
confronti di paesi terzi, ma, in questo caso, con l'assenso dello Stato
dell'esecuzione in base alla sua legislazione nazionale.
Per tornare
alla concretezza dell'esempio, Tizio, cittadino italiano residente in
Italia, condannato a 4 mesi di una misura analoga alla libertà
controllata, per un fatto commesso in Italia e non previsto come reato
dalla legge italiana da un giudice della Svezia, avrebbe potuto da questo
Paese venire estradato, poniamo in Arabia Saudita o in Cina, per ivi venir
processato magari per un fatto anteriore, in ipotesi commesso in Italia,
per il quale l'uno o l'altro di tali Stati prevede la pena di morte. In
condizioni siffatte è evidente che il malcapitato, che si fosse
visto arrivare un mandato d'arresto europeo anche per una semplice contravvenzione,
con obbligo di espiare la pena nel Paese richiedente, avrebbe iniziato
un viaggio verso un ignoto in cui tutto avrebbe potuto attenderlo, onde
sarebbe stato per lui prudente disporre le proprie cose come se non avesse
dovuto mai più far ritorno.
Ci si domanda a questo punto:
la nuova formulazione della proposta elide almeno questo pericolo estremo
della pena capitale? È questo un argomento su cui torneremo in
seguito.
VI
LA NUOVA NORMATIVA, UNA VOLTA APPROVATA, È
IRREVERSIBILE
Abbiamo visto
al capitolo II della prima sezione di questo studio che la Convenzione
di Parigi del 1957 prevede la possibilità per ogni Stato che vi
abbia aderito, di recedere da essa, o comunque di escludere eventuali
reati (artt. 31 e 2, 5° comma del citato testo di legge).
Si tratta - come si è
detto - di una provvida riserva che, pur di fronte a un regime dell'estradizione
incomparabilmente più garantista di quello attuale, mentre da un
lato lascia a ogni Stato la sua sovranità, dall'altro, soprattutto,
gli consente di reagire di fronte ad eventuali abusi delle Autorità
di altri Stati aderenti.
La proposta in esame non contiene
questa riserva: nel proclamato contesto di una progressiva marcia verso
una sempre più stretta unificazione politica dell'Europa, essa,
infatti, costituirebbe un vero non senso. Ogni passo in tale direzione
non consente pentimenti o ritorni.
Questa impossibilità
di pentimenti e ripensamenti è strutturale e istituzionale. Invero
lo Stato che aderisce alla proposta si spoglia di una parte - abbiamo
visto quanto importante per la libertà dei singoli - del suo potere
legislativo, cui rinuncia trasferendola irrevocabilmente ad una entità
politica, l'Unione Europea appunto, ad esso sovraordinata, che lo trascende
e lo vincola. Ne consegue che neppure il suo corpo elettorale, in ipotesi
al 100% dei voti, e tanto meno il Parlamento, anche se all'unanimità,
hanno più titolo per tornare indietro.
L'unica possibilità di
sottrarsi potrebbe essere, se ciò sarà consentito dalla
nascente Costituzione europea, il recesso dall'Unione. Accenneremo in
seguito alle gravissime difficoltà cui andrebbe incontro una simile
decisione.
VII
IL DIRITTO DI DIFESA E LA FUNZIONE DELL'AVVOCATO NELLA
NUOVA PROCEDURA DI ESTRADIZIONE
L'articolo
12 della proposta reca il titolo "Diritti del ricercato"
e al secondo comma afferma che "il ricercato arrestato ai fini
dell'esecuzione di un mandato di arresto europeo ha il diritto di essere
assistito da un consulente legale e da un interprete conformemente al
diritto interno dello Stato membro di esecuzione".
Colpisce il termine inedito
"consulente legale" al posto di quello usuale in procedura
penale di "difensore", che di per sé solo esprime un
programma e una funzione. Sennonché, a ben vedere, alla diversità
di nome corrisponde una diversità di prospettive e di compiti.
Invero, a prescindere dalla cennata, immensa latitudine delle 32 categorie
di "reato" per cui l'esecuzione del mandato di arresto europeo
non può venir condizionata dal principio della doppia punibilità,
ci si domanda quale attività difensiva possa in concreto svolgere
questo "consulente" nel caso in cui, in conformità
alla regola generale dell'articolo 2 comma 4°, tale principio
non venga fatto valere nemmeno per le altre categorie di reati. Al riguardo
va infatti tenuto presente che i "motivi di non esecuzione facoltativa"
previsti dall'articolo 4 della proposta, sono rimessi alla mera, insindacabile
discrezionalità dell'Autorità Giudiziaria del Paese che
deve provvedere all'estradizione, che può applicarli o disapplicarli
a suo piacimento10.
10
In questa trattazione per linee generali non possiamo scendere alla disamina,
che sarebbe peraltro sconcertante, dei "motivi di non esecuzione
facoltativa". Ci limitiamo pertanto a richiamare solo tre dei casi
in cui il mandato "può" non essere eseguito perché
essi sembrano temperare notevolmente la portata dei principî eversivi
sin qui illustrati:
1) se il mandato concerne un fatto che non costituisce reato in base alla
legge dello Stato richiesto,
purché però non rientri in una delle 32 categorie di "reato"
previste dall'art. 2 della proposta
(art. 4, 1° comma) e non si tratti di un reato in materia tributaria,
doganale o di cambio, per cui vige il regime illustrato al capitolo IV;
2) se il reato sia stato commesso in tutto o in parte nel
territorio dello Stato in cui si trova
l'estradando (art. 4, comma 7, prima ipotesi);
3) se tale Stato "non consente l'azione penale per gli stessi reati
commessi al di fuori del suo
territorio" (art. 4, comma 7, seconda ipotesi).
Questi motivi di non esecuzione sono peraltro grandemente svalutati per
un quadruplice ordine di ragioni:
1) perché, come si è appena visto, costituiscono eccezioni
non più che facoltative a una
regola generale, che quindi di massima va rispettata;
2) per l'enorme estensione delle 32 categorie di reato previste dall'articolo
2, su cui ci soffermeremo in
seguito, e in particolare dalla diciassettesima di tali categorie (razzismo
e xenofobia);
3) perché, come pure fra poco vedremo, la proposta costituisce,
secondo le enuncia- zioni programmatiche
contenute nell'"Allegato" che l'accompagna, solo un ponte di
passaggio in vista di una prossima futura legislazione in cui i detti
motivi di non esecuzione facoltativa,
al pari di ogni altro limite alla "libera" estradizione, saranno
definitivamente soppressi.
4) Perché comunque la scelta di estradare o meno il malcapitato,
in questi casi, non è presidiata
da alcuna garanzia, ma è rimessa al mero ed insindacabile arbitrio
del giudice chiamato a pronunciarsi
al riguardo.
A questo punto
è evidente che al legale chiamato ad assistere l'estradando altra
possibilità non resta che quello di verificare se ricorrano i requisiti
puramente formali e burocratici del mandato d'arresto, stabiliti dall'articolo
9, con avvertenza però che tali requisiti non mancheranno mai dal
momento che è previsto (articolo 9, 2° comma) che il mandato
sia compilato sulla base di un semplice formulario standard prestampato
che non lascia margine ad errori od omissioni.
Esclusa ogni possibile discussione
sulla prova del reato, argomento che il mandato non può e non deve
neppure sfiorare (art. 9), un esiguo margine di difesa - fondato solo,
si ripete, sulla misericordia del giudice - resterà dunque quasi
soltanto in quei Paesi in cui sarà mantenuto in linea di deroga,
peraltro, come vedremo al capitolo seguente, solo provvisoriamente, il
principio della doppia punibilità.
Occorre infatti tener sempre
presente il caposaldo della proposta costituito dalla eversione dei principî
sulla competenza per territorio in nome di una competenza universale legittimata
invocando (punto 5 dell'allegato) l'esigenza di un "sistema di
libera circolazione delle decisioni giudiziarie penali", allo
scopo di fare dell'intero territorio europeo "uno spazio di libertà,
sicurezza e giustizia".
In conclusione si può
ben dire che l'unico "diritto" che, nella nuova procedura per
estradizione, in pratica rimane a chi vi è sottoposto, e che infatti
il citato articolo 12 prevede al 1° comma, è quello di "acconsentire
alla propria consegna all'autorità giudiziaria emittente".
Invero, qualora egli non presti tale consenso, il "diritto"
che in alternativa gli compete è quello dell'"audizione
a cura dell'autorità giudiziaria dell'esecuzione". Sennonché,
dal momento che tale autorità, come si è detto, non ha alcun
potere di prendere in considerazione le sue discolpe, non si vede a cosa
questa audizione gli possa servire, né a cosa posa giovargli, in
questo frangente, l'assistenza del difensore, se non forse a tentar di
parare eventuali grossolane future falsificazioni probatorie dell'autorità
emittente.
È dunque giocoforza riconoscere
che nel procedimento di estradizione il diritto alla difesa è stato
pressoché soppresso, e l'avvocato ridotto a una semplice comparsa,
la cui principale funzione è quella di mantenere nell'opinione
pubblica l'illusione che tale diritto sia ancora esistente e rispettato.
|