Sembra sempre più vicina
la liberazione di Brian Savio O'Connor, il cattolico indiano arrestato
più di sei mesi fa a Riad dalla polizia religiosa saudita «Muttawa'in»
con l'accusa di aver professato la propria fede.
Un caso, quello di O'Connor,
che nelle scorse settimane è venuto alla luce anche grazie a
una campagna di informazione e sensibilizzazione dell'opinione pubblica
promossa da varie agenzie e siti cattolici.
Nei giorni scorsi proprio
l'agenzia AsiaNews ha raggiunto al telefono il dottor Naharan, che ha
visitato O'Connor nella prigione di Ali Hira a Riad:
Ho trovato O'Connor
in discrete condizioni fisiche, mentre prima aveva sofferto molto ha
riferito Naharan.
Mi ha detto di non
essere stato ancora informato in via ufficiale sui capi di accusa per
cui si trova in carcere. La polizia religiosa saudita lo ha accusato
di due reati: aver predicato il cristianesimo e possesso di liquori.
Insomma, si direbbe il classico
caso di intolleranza religiosa, fenomeno molto diffuso a Riad.
L'Arabia Saudita infatti è
una monarchia assoluta fondata sui principi dell'islam wahabita. Il
codice penale si basa sulla sharia, la legge islamica. E tutto il suolo
saudita è ritenuto sacro dai musulmani in quanto estensione dell'haram,
la terra che ospita le città sante di La Mecca e Medina.
Per questo motivo in Arabia
è vietata la professione di qualsiasi tipo di confessione religiosa
diversa dall'islam (1). Tanto che la «Muttawa'in» è
diventata famosa fra gli stranieri che soggiornano nel Paese per motivi
di lavoro, per i suoi blitz all'interno delle case, alla ricerca di
coloro che si ritrovano con amici o parenti della stessa fede religiosa,
per un momento di preghiera o di raccoglimento.
O'Connor era stato fermato
da agenti della polizia religiosa saudita mentre passeggiava nelle vie
di Riad. Dopo un'identificazione sommaria, l'indiano è stato
trascinato a calci e pugni in una moschea e lì torturato e minacciato
di morte, per essere poi portato in carcere.
Nei giorni scorsi O'Connor
avrebbe ricevuto la visita del rappresentante del principe Salman Ibn
Abdul Aziz, il governatore della regione di Riad, il quale ha garantito
all'indiano la liberazione entro due settimane.
Jonh Dayal, attivista cattolico
indiano, segretario generale dell'All India Christian Council, è
stato uno dei primi a mobilitarsi, scrivendo una lettera al re saudita
Fahd bin Abdulaziz al-Saud.
Anche il gruppo statunitense
per la libertà religiosa Freedom House ha chiesto al segretario
di Stato Powell di affrontare con il governo saudita il caso.
(Da Avvenire del 7 agosto 2004)