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È scomparso l'On. Silvio Vitale, l'ultimo "autentico napoletano spagnolo"
Seppe far rinascere l'orgoglio di sentirsi napoletani

Segnalato da Rafminimi

       Ho conosciuto personalmente l'On. Silvio Vitale a Civitella del Tronto: persona seria e di poche parole. Mi sembrava strano che un "onorevole" fosse presente tra le nostre file, tra le file del Tradizionalismo Cattolico e Monarchico, perché  —realisticamente parlando—  il mondo corrotto, amorale, immorale e arrivista della politica liberaldemocratica, mal si accorda con il cristiano vivevere e operare, impregnato di morale cattolica che fa dell'ONORE una regola di vita..., ma evidentemente l'On. Vitale era un'ECCEZIONE.
       Oggi piangiamo l'amico e lodiamo l'esempio, ma credenti che Dio premia i buoni e certi che di lassù Silvio può aiutarci meglio e di più, lo preghiamo perché continui a guidarci nella buona battaglia,
                                                per la maggior gloria di Dio
                                                per l'Altare
                                                e per il Trono!
       Ai suoi familiari e parenti tutti, le mie più sentite condoglianze, unitamente a quelle dell'intera Redazione.

S. P.

       Ma diamo spazio e voce al ricordo di altri due amici...

Grassetti, colori, parentesi quadre, sottolineature
e quanto scritto nello spazio giallo sono della Redazione

       Silvio Vitale, direttore della rivista tradizionalista napoletana "L'Alfiere" è improvvisamente scomparso martedì 25 maggio.
       Ha vissuto pienamente i suoi 77 anni, che non dimostrava minimamente, continuando a lavorare su imponenti studi e ambiziosi progetti.
       Stava portando a termine la traduzione del monumentale saggio di Francisco Elias de Tejada Napoli spagnola, pubblicato da Controcorrente, di cui a breve sarebbero dovuti uscire i due tomi conclusivi.

   

       La sua figura, legata alla rivista "L'Alfiere" (che riprende il nome dal romanzo-capolavoro di Carlo Alianello), è stata un faro per il tradizionalismo napoletano: Silvio Vitale, rifiutando il semplicistico aggettivo di "borbonico" che gli veniva costantemente affibbiato, specificava che il concetto di tradizionalismo non si identificava esclusivamente con l'ultima dinastia che aveva retto lo scettro di Napoli, ma comprendeva tutto il pensiero che, nel corso dei secoli, la città ed il regno avevano prodotto.

   

       Ha partecipato alla guerra civile, è stato attivo nella politica (nel [vecchio] Msi, ricoprendo le cariche di consigliere regionale e deputato al Parlamento Europeo), nella vita culturale (tra l'altro organizzando l'annuale ritrovo a Gaeta nella ricorrenza del 13 febbraio, giorno di resa della fortezza borbonica), diventando amico personale di importanti (ancorché meno conosciute) figure di studiosi come lo stesso Elias de Tejada e Attilio Mordini ed ospitando sulla sua rivista, che dirigeva dal 1960, le più prestigiose firme della cultura monarchica.

   

       Un altro dei meriti di Silvio Vitale è quello di aver contribuito a riscoprire Antonio Minutolo, Principe di Canosa, figura emblematica della cultura controrivoluzionaria, più realista del re e quindi "scomodo" anche dopo la restaurazione: dopo il 1799 fu sul punto di pagare per aver cercato di ripristinare il potere dei Sedili (le antiche circoscrizioni cittadine) e dopo il definitivo ritorno dei Borbone fu allontanato dalla corte perché rivelatosi ministro troppo zelante.
       Vitale ha tradotto in italiano corrente alcuni suoi lavori (come il più citato che letto I pifferi di montagna): lo svecchiamento ha molto giovato alla comprensione dell'opera del grande incompreso (che finì a Modena, collaborando ad una rivista reazionaria con Monaldo Leopardi, padre di Giacomo).

   

       Anche negli ultimi tempi Napoli e la napolitanità erano al centro dell'attenzione di Silvio Vitale: la sua ultima pubblicazione è uno studio sugli stemmi del Regno di Napoli, dai Normanni ai Borbone, e la prossima settimana si realizzerà il suo ambizioso progetto di un Istituto di Studi Storici dedicato all'approfondimento della storia napoletana.

   

       Con Silvio Vitale scompare una delle ultime figure di "napoletano autentico", di appartenente alla "hidalguia" della Napoli "quando era Napoli", come scriveva Francisco Elias de Tejada, che sul finire degli anni '50 lamentava la mancanza di intellettuali locali che (ri)conoscessero l'importanza della tradizione culturale locale e non cercassero, da parvenu, di accantonarla per sentirsi piuttosto "europei". Tranne poche eccezioni, rilevava lo studioso spagnolo, tra cui Antonio Altamura, Carlo Curcio, Giuseppe Coniglio e lo stesso Silvio Vitale, che di lì a poco avrebbe raccolto il "grido di dolore" di Elias de Tejada e, fondando "L'Alfiere", la rivista tradizionalista napoletana, fece per primo rinascere, lui davvero, l'orgoglio di sentirsi napoletani.

Gianandrea de Antonellis

   

 

       "La maledizione degli uomini è che dimenticano". In questo modo il Mago Merlino, nel magnifico Excalibur di John Boorman segnava il limite espremo della caduta dell'uomo. L'allontanarsi dell'umanità dalla vocazione originaria dell'intimità con Dio si impetra parallelamente alla perdita di memoria di sé e della propria gente. E viceversa. Ecco perché -simmetricamente- chi opera in difesa della memoria dei popoli si guadagna la mercede riservata a chi riporta i figli perduti alla Casa del Padre.

   

       La scomparsa di Silvio Vitale, padre indiscusso di quelle generazioni di ricercatori che hanno preso in mano l'amore e la fiaccola di Carlo Alianello, costituisce da un lato una perdita umana incolmabile, e nello stesso tempo una grandiosa occasione di rilancio dei valori per cui Silvio Vitale ha vissuto, e per i quali noi stessi attestiamo modestamente di vivere.

   

       I meriti culturali di Silvio Vitale sono direttamente proporzionali alla sua modestia e pacatezza, pertanto unici, e praticamente irraggiungibili nel panorama della cultura-spettacolo dell'Italia oramai post-tutto.
       Anima di quel singolarissimo organo di stampa dalla vita trentennale che è L'Alfiere, un titolo ripreso da un celebre e oramai scomparso romanzo di Alianello, dedicato integralmente alla riscoperta della storia ed alla difesa della dignità delle genti del Regno delle Due Sicilie, è stato l'antesignano e nello stesso tempo l'esempio personale che ha dato vita a quell'ampio filone di studi, polemica culturale, riscoperta comunitaria che nel Meridione d'Italia si è riunito sotto la fragile bandiera dell' "antirisorgimento" e ha dato vita, fra l'altro, alle diverse espressioni del mondo "neo-borbonico".

   

       Di fronte a questi mille rivoli, spesso dalla breve durata ma mai sedati, Silvio Vitale ha conservato lo sguardo e lo spirito del gentiluomo partenopeo: sempre pronto ad aiutare, a spendersi, a partecipare alle iniziative più diverse e talvolta improbabili.        Sempre senza spirito di profitto, né affettazione.
       La sua importante esperienza politica di livello parlamentare lo aveva riportato alle radici storiche del suo popolo: ai parlamentari ha sempre preferito i Sanfedisti, ai palazzi dell'Italia unita il contatto con la gente. La sua conoscenza personale e pluridecennale dei vizi (molti) e delle virtù (fate voi) della destra italiana ne aveva fatto un innamorato scettico, che alle reiterate delusioni riservate a chi "fa politica" col cuore della Testimonianza, ha risposto con lo stile di un cavaliere spagnolo, scusando tutto con una mezza frase e defilandosi senza far rumore né proclami, con il rispetto aristocratico che si deve ad una Dama fedifraga ma ancora, in fondo, sempre amata.

   

       Tornando pertanto alle proprie radici, a Napoli ed alla sua Nazione distrutta dalle allucinazioni giacobine e liberali, alla grande cultura del Regno abbeverata da sorgenti romane, spagnole, mediterranee, soprattutto ed intimamente cattoliche.

   

       Senza Silvio Vitale non avremmo avuto nulla di quanto, dal 1989 ad oggi, ha sottratto i vari Bicentenari (della rivoluzione francese, delle insorgenze antigiacobine) e le ritualistiche celebrazioni di un risorgimento ridotto a favola massonica e liberale al formalismo ed alla noia della verità di regime.

   

       Senza Silvio Vitale non avremmo avuto la possibilità di leggere quasi nulla di Giacinto De' Sivo e del Principe di Canosa, poco di Monaldo Leopardi, la metà di quel che sappiamo ora su quel sant'uomo del Cardinale Fabrizio Ruffo e sulle Insorgenze antigiacobine del 1799-1815, un esile spicchio della verità del Brigantaggio antipiemontese, proprio niente infine di quell'affresco rutilante e seducente che è la Napoli Spagnola di Francisco Elias de Tejada. Tutto al di fuori e contro quell'accademia spocchiosa e vuota, foderata di milioni di euro ed arroccata nei Castel Sant'Elmo dei palazzi del potere massonico napoletano.

   

       Ma i meriti di Silvio Vitale non si esauriscono entro questi limiti, pure vastissimi. Il suo maggior merito è stato esser fedele alla propria eredità Napoletana senza perder d'occhio l'Europa, ed aver cresciuto, senza darne tanto l'avviso, alcune generazioni di studiosi, ricercatori, polemisti che hanno lentamente ma inesorabilmente incrinato il muro di gomma della retorica giacobina, marxista e liberale attorno alle radici ed alla storia dell'unità d'Italia.

   

       La sua gentile mano di organizzatore è stata dietro ai Convegni annuali di Civitella del Tronto e di Gaeta, e a cento occasioni in cui piccole agorà si sono aperte per il popolo del Sud d'Italia. Io lo ricordo ironico ed appassionato assieme, mentre con altri pochi amici stendevamo i testi della Mostra "Un tempo da riscrivere: il Risorgimento italiano" presentata al Meeting per l'Amicizia fra i Popoli del 2000 e allagata dai travasi di bile di Scalfari e Montanelli; l'immenso successo di quell'iniziativa non lo scosse, come non lo scossero le cento sconfitte.

   

       Ora Silvio Vitale è tornato a vegliare per sempre gli spalti di Gaeta e i sassi di Civitella, e nel silenzio della sera passeggia quieto per i vicoli di Napoli e nei cento borghi del Regno conosciuti ed amati. Mi piacerebbe che dopo Carlo Alianello anche la sua opera e il suo esempio non si perdessero per la meschinità degli uomini. Io non sono un cittadino del Regno di Napoli, ma di una Romagna non meno antica e tormentata; spero divenga presto possibile che assieme a tutti coloro che ne hanno apprezzato in primo luogo l'onestà intellettuale si possa tenerne viva la memoria. Le occasioni, ci avrebbe detto Silvio con un sorriso triste, ancor oggi purtroppo non mancano.

       Riposi in pace.

Adolfo Morganti

   
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