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I morti sono veramente morti quando preleviamo i loro organi?

di Paolo Becchi
professore associato di Filosofia del Diritto
presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'università di Genova

Rielaborazione e sunto di Rafminimi
dell'articolo già pubblicato da Sì sì no no del 30-6-2004

Sottolineature, grassetti e colori sono generalmente nostri
Lo spazio a fondo giallo è riservato alle osservazioni della Salpan.org

       Premessa

       Mentre riguardo ai tempi d'inizio vita, il dibattito nel nostro Paese di recente ha avuto un'improvvisa impennata in relazione alla contrastata approvazione della legge sulla procreazione assistita (la 40/2004), sul tema di quando finisce la vita, quello in particolare del trapianto di organi presi da "cadaveri", il dibattito sembra essersi esaurito nel periodo immediatamente seguente all'approvazione della nuova legge sui trapianti (la 91 del 1999).
       Comunque, anche tale dibattito sembrò incentrarsi prevalentemente su un problema  —non secondario—  come è quello del cosiddetto "silenzio-assenso" (introdotto all'articolo 4).
       Si tratta di un criterio discutibile, ma ancor più discutibile è stato il modo con cui l'On. Bindi ha aggirato la detta legge, inviando ai cittadini un tesserino (1) che, non solo non era previsto da tale legge, ma che altresì sul punto nodale, ne ha di fatto impedito l'applicazione. Tanto è vero che, a ormai 5 anni di distanza, siamo ancora in piena fase "transitoria" (prevista per durare al massimo 90 giorni).
       Ma non è solo su QUESTO punto che ci s' intende ora soffermare (già ci si è soffermati in non poche occasioni, delle quali citiamo soltanto: P. Becchi e P. Donadoni, "INFORMAZIONIE CONSENSO ALL'ESPIANTO DI ORGANI DA CADAVERI", in "Politica del diritto, XXXII, N°2-2001, pp. 257-287; P. Becchi, "TRA(I)PIANTI, SPUNTI CRITICI INTORNO ALLA LEGGE IN MATERIA DI DONAZIONI DI ORGANI E ALLA SUA APPLICAZIONE", in "Ragion Pratica", n. 18 del 2002, pp-275-288 e, soprattutto in P. Becchi, «INFORMATION UND EINWILLIGUNG ZUR ORGANSPENDE. DAS NEUE ITALLIENISCHE GESETZ UN SEINE "EWIGE" ÜBERGANGSPHASE» in "Hirntod und Organspende Basal", Schwabe, 2003, pp.149-161).
       In questa sede si vuole far riflettere non sulla legge dei trapianti in sé, ma sul presupposto su cui essa poggia. Vale a dire su quali certezze abbiamo che, nel momento in cui si effettua il prelievo, il donatore sia già "cadavere".
       Le tesi che si esporranno saranno documentate in forma, spero, più esaustiva, in un'antologia di prossima pubblicazione dalla E.S.I di Napoli: "QUESTIONI MORTALI. L'ATTUALE DIBATTITO SCIENTIFICO SULLA MORTE CEREBRALE ED IL PROBLEMA DEI TRAPIANTI".

 

 

 

 

 

 

 

 

(1) Si trattava di un tesserino che per formato e composizione
non garantiva e
non "certificava"
assolutamente nulla
:
un tesserino che poteva benissimo essere sostituito dal suo contrario! insomma una sonora presa in giro!!!

       1) Ridefinizione del concetto di morte

       Si è ritenuto doveroso legiferare (a mio avviso giustamente) su un'entità non più grande di uno spillo, contenuta in una provetta, per proteggerla, mentre su di un uomo in carne ed ossa, che presenta temperatura corporea intorno ai 37°C, colorito roseo, battito cardiaco ed atto respiratorio, possiamo fare tutto ciò che è lecito fare con un cadavere.
       Si obietterà: gli embrioni sono comunque già vivi, mentre, una volta che è stata accertata la morte cerebrale, il paziente non è più vivo: un cadavere che sembra vivo, ma che non lo è più.
       Tale conclusione è presentata come un dato di fatto scientifico pacificamente acquisito una volta per tutte, alla fine degli anni '60 del XX Secolo, quando un comitato, istituito presso la Facoltà di Medicinaa dell'Università di Harvard, giunse in un suo celebre Rapporto ad equiparare in sostanza la diagnosi di coma irreversibile (stabilendone i criteri clinici di accertamento) alla morte cerebrale e, quest'ultima, alla morte di fatto (in "JUORNAL OF THE AMERICAN MEDICAL ASSOCIATION, N° 205, 1968, pp. 337-340).

   

       2) Motivi della fortuna di tale ridefinizione

       Nasceva così la nuova definizione di morte, che, nel corso degli anni seguenti incontrò larga fortuna. Ciò per diversi motivi.
       In primo luogo rispecchiava le conoscenze scientifiche di allora, le quali sembravano confermare la tesi che i pazienti in coma irreversibile andassero incontro in un tempo relativamente breve ad arresto cardiaco..
       In secondo luogo una tale definizione offriva il miglior sostegno alle pratiche trapiantistiche che proprio in tale periodo erano agli inizi. [...]. Se si guarda alle legislazioni, l'intreccio tra la nuova definizione di morte ed i trapianti risulta ben visibile.
       Già nel 1969, con un decreto del Ministro della Sanità dell'11 agosto ed uno del 9 gennaio 1970, veniva introdotto il criterio della morte cerebrale, utilizzando i parametri di Harvard, proprio con esplicito riferimento al problema del prelievo di organi per i trapianti. Da allora il legislatore si limitò ad indicare i diversi criteri per l'accertamento della morte, non spingendosi sino al punto di volerne dare una definizione. Ciò avvenne solo con la legge N° 578 del 1993, secondo la quale, la morte "si identifica con la cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell'encefalo" (arti.1).
       La legge non solo dà per scontato ciò che non è, ovvero che si conoscano tutte le funzioni dell'encefalo, introducendo così il concetto di "morte cerebraleTOTALE", ma altresì cambia di rotta rispetto alla legislazione precedente, generalizzando l'uso dei criteri di morte cerebrale ed estendendoli a tutti, che siano donatori o meno.

   

       3) Il dibattito sulla morte cerebrale

       Proprio negli anni '90, mentre nel nostro Paese si accettava non solo la "morte cerebrale", ma ci si spingeva a definirla per legge, negli USA cominciava a manifestarsi un forte ripensamento al riguardo.
       Per la verità già da subito erano emerse perplessità sulla nuova definizione di morte.
       Hans Jonas, a meno di un mese dalla pubblicazione del Rapporto di Harvard, intervenendo ad un convegno dedicato agli esprimenti sugli esseri umani, manifestò la sua ferma opposizione alla morte cerebrale. Il motivo conduttore era il seguente:
       non conosciamo con certezza la linea di confine tra la vita e la morte ed una definizione, tra l'altro introdotta proprio con l'intento palese di favorire il prelievo degli organi, non può certamente colmare quel deficit conoscitivo.
       Quando il cervello ha smesso irreversibilemente di funzionare, possiamo sospendere i trattamenti di sostegno artificiale (anzi  —come Jonas precisò in seguito—  non solo possiamo, ma DOBBIAMO farlo, perché sarebbe contrario alla dignità umana tenere un essere umano in quelle condizioni), non già perché il paziente sia morto, ma perché non ha senso prolungare la vita in quelle condizioni.
       Già in Jonas troviamo il dilemma (ben sottolineato da Jonsen, nel suo "THE BIRTH OF BIOETHICS", New York, Oxford University Press, 1998, p. 240) che sta alla base di tutta la discussione:
       a) si deve cessare il supporto vitale per consentire al paziente di morire?
       b) o spegniamo il respiratore ad un corpo già morto?
       Come è noto fu la seconda via ad essere imboccata e, dal momento che si staccava il respiratore ad un morto, perché non mantenerlo ancora un po' acceso per favorire i trapianti?
       Per Jonas, invece, si doveva percorrere l'altra strada e la critica alla nuova definizione di morte divenne il suo cavallo di battaglia. Lo scritto più noto, pubblicato nel 1974 (ma scritto nel '70) con il titolo significativo "AGAINST THE STREAM", CONTROCORRENTE [il che è tutto un programma!] è ormai divenuto un classico.
       Nel 1992 tornò sull'argomento.
       In Germania, nell'ottobre di quell'anno, una giovane donna era rimasta vittima di un incidente stradale. In seguito a ciò entrò in coma irreversibile. Fatti gli accertamenti previsti fu dichiarata in morte cerebrale. Con il consenso della famiglia, si stava per procedere agli espianti, quando i medici si accorsero che la ragazza era incinta. Ovviamente fu sospeso tutto ed i medici decisero di far portare avanti la gravidanza.
       La discussione sulla morte cerebrale si accese in Germania.
       Molti si chiesero come fosse possibile per un "cadavere" portare avanti una gravidanza [IL FIGLIO PARTORITO DALLA "MORTA"; L'ESSERE CHE SORGE DAL NON-ESSERE! ASSURDO!] e, addirittura, come purtroppo successe, "decidere" di interromperla con un aborto spontaneo.
        Jonas, che era amico personale di uno dei medici coinvolti, gli scrisse dicendo la sua: "Nolente o volente, tu, mio caro amico, o meglio, voi avete contraddetto con il vostro agire ben ponderato la contemporanea dichiarazione di morte del suo oggetto. Avete detto: con la respirazione (e le altre cure) vogliamo impedire al corpo di Marion di diventare cadavere (2), in modo che possa proseguire la gravidanza. Credendolo capace di ciò, o perlomeno volendo dargliene la possibilità, avete puntato sul residuo di vita che in esso vi era. Cioè della vita di Marion! Infatti il corpo è tanto unicamente il corpo di Marion, quanto il cervello era il cervello di Marion. Che l'esperimento questa volta sia fallito (sembra che in casi precedenti meno estremi sia riuscito) può essere tanto poco portato a riprova del fatto che esso non è ammissibile, quanto un aborto spontaneo a riprova del fatto che non è possibile una gravidanza in generale. Voi credevate sinceramente nella chance della sua riuscita, vale a dire nella capacità funzionale del corpo cerebralmente morto che era a tal fine necessaria e mantenuta dalla vostra abilità, cioè credevate alla sua VITA temporaneamente prolungata per il bambino. Non vi è permesso negare questa credenza in altri casi di coma per altri scopi" [Il testo sarà presente nella citata antologia in corso di stampa].
       Si potrebbe obiettare che, per quanto interessante, tutto ciò non dimostra altro che la grande coerenza dell'autore.
       A prescindere che questo è sicuramente vero, fatto sta che, con il passar del tempo, tale posizione cominciò a risultare molto meno isolata di quanto non sembrava all'inizio.
       Oltre a Jonas qui sarebbero meritevoli di considerazione Josef Seifert e Robert Spaemann: entrambi credono che, nell'incertezza o nell'impossibilità di provare con sicurezza che una persona è morta, si dovrebbe trattarla come ancora viva.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



 

 

 

 

 

 

 

 


(2) Ma non è secondo il giuramento d'Ippocrate il dover mantenere in vita l'ammalato? l'impedire che la Marion di turno diventi cadavere? Tale agire dovrebbe essere la norma!!!

       4) Ripensamenti

       Sorpendemente, alla conclusione e all'ammissione che la "morte cerebrale" sia un espediente, a dir poco discutibile, sono giunti autori di ben altro versante culturale.
       Peter Singer, pensatore ben noto per le sue esplicite posizioni spiccatamente utilitaristiche, è tra questi (vedere "UN PASSO INDIETRO E DUE AVANTI. PETER SINGER E I TRAPIANTI" in "Bioetica"X, 2, 2002, pp. 226-247).
       All'inizio degli anni '90, il famoso professore dell'Università di Melbourne, fu chiamato in un importante ospedale di quella città, a far parte del comitato che doveva occuparsi proprio del problema dei consensi, in particolare nelle questioni connesse con l'anencefalia. I neonati colpiti da tale malformazione non sono in grado di diventare pienamente coscienti, poichè privi della parte superiore del cervello (ossia degli emisferi cerebrali, corteccia compresa) e della volta cranica destinata a contenerlo. La parte inferiore, formata dal tronco encefalico, invece, è sovente intatta, anche se a volte poco sviluppata. Tali neonati sono dunque in grado di respirare spontaneamente, ma hanno prognosi infausta: in un periodo di tempo variabile da qualche ora a poche settimane, vanno incontro ad arresto cardio-circolatorio.

   
(Va peraltro osservato che recenti ricerche effettuate da D.A. Shewmon tendono a mostrare come la notevole plasticità del cervello possa consentire, in alcuni casi, al tronco encefalico di assumere certe funzioni, che altrimenti sarebbero corticali. Tali esperienze mettono in discussione quanto sino ad oggi si sapeva circa le basi neuroanatomiche della coscienza. Vedere D.A. Shewmon, "RECOVERY FROM BRAIN DEATH": A NEUROLOGIST'S APOLOGIA", in "Linacre Quarterly, February 1997, pp. 30-96).
   

       Singer, che fino ad allora era stato un sostenitore sfegatato della "morte cerebrale totale", si trovava a confrontarsi con un concetto diverso, ovvero la "morte cerebrale corticale". Insomma si trattava di dichiarare morti anche gli anencefalici.
       Il comitato di cui faceva parte voleva andare in questa direzione, ma, lasciando tutti interdetti, Singer non li seguì. Spiegò le motivazioni di tale suo dissenso in "RETHINKING LIFE & DEATH" (1974).
       Il succo è il seguente:
       la commissione di Harvard si trovava di fronte a pazienti in condizioni disperate che vivevano esclusivamente grazie a macchine che nessuno osava spegnere. Organi che sarebbero potuti essere usati per i trapianti, erano resi inutilizzabili, perché per espiantarli si aspettava l'arresto circolatorio [con la parziale e paradossale eccezione delle cornee, che espiantate dopo, spesso liberano delle "tanatostimoline" che ne favoriscono l'attecchimento —aggiunge Rafminimi—].
       La commissione aveva pensato di risolvere entrambi i problemi, classificando come morti coloro il cui cervello avesse cessato di avere attività rilevabile.
       Singer non crede al valore della vita in sè, reputando che un animale senziente ha più diritti di un feto o di un adulto in coma, ma tale sua idea, comunque, non gli fa perdere di vista che la prassi di risolvere i problemi ricorrendo alle ridefinizoni funziona ben di rado.
       In altri termini Singer non crede alla morte cerebrale, ma tuttavia è d'accordo con l'espianto degli organi perché (a suo dire) la vita non è un valore sacro e inviolabile.

Paolo Becchi

   

Sin qui il sunto di Rafminimi, ma precisiamo che l'articolo continua con altre annotazioni interessantissime, titolate in Sì si no no con
       Inaccertabilità della morte cerebrale -
       La morte cerebrale non è un indicatore della morte ravvicinata dell'intero organismo -
       Un grosso interrogativo -.

       Invitiamo quindi il lettore ad approfondire l'argomento andando al
                                                 n. 12 del 30 Giugno 2004 di Sì sì no no.

   
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