Precisiamo che articoli, recensioni, comunicazioni, eventi, appuntamenti... e quant'altro vengono da noi pubblicati non in base ad una adesione ideologica o morale, ma solo se ce ne viene fatta esplicita richiesta (anche con una semplice comunicazione fatta alla nostra Redazione a scopo di pubblicazione), pur rimanendo noi liberi di soddisfare o meno i desiderata.

 

 
 

La seduta spiritica di Prodi e l'omicidio Moro

di Francesco Agnoli

Ci sembra molto attuale parlare di Romano Prodi, grande salvatore della patria, di colui che ci salva dalle nequizie berlusconiane, e qui, parlando di nequizie non pensiamo proprio che Francesco Agnoli intenda fare solo una battuta umoristica, crediamo invece che nequizie il Cavaliere ne abbia accumulato tante, e tutte reali! Basti osservare che ha costruito il suo impero mediatico sulla sporcizia, sull'immoralità, sulla pornografia, sull'osceno, sulle veline e sul grande fratello. I suoi canali grondano sudiciume a tutto spiano, non fanno che mostrare cosce, seni, pance, ombelichi... Certi personaggi poi la fanno da padrone: conviventi, divorziati, invertiti, travestiti, pornostar, lesbiche, sporcaccioni, sboccati... sembra che in Italia non esistano più persone "normali", anzi sembra che nella nostra bella Italia Cattolica il normale debba reputarsi anormale. Non parliamo poi del linguaggio: la sua regola si chiama volgarità. Dicono che in Italia l'agricoltura sia fallita: non è assolutamente vero: basta accendere un qualsiasi canale TV per vedere l'enorme produzione di cavoli...
E la Chiesa cosa fa di fronte a tanto scempio, di fronte a tanto scandalo? Tace! Vergognosamente tace! Perché?
Berlusconi spesso si atteggia ad anticomunista, ma sappia che l'immoralità è già comunismo, porta al comunismo! "Corrompete i cuori", diceva Lenin... E Berlusconi li corrompe alla perfezione! È un artista ed un esperto consumato.
E allora forse non è un gran male sperare che un oscuro Romano possa, pur non volendolo, arginare lo strafare, lo strascandalo berlusconiano.

Ma vedete un po' a che personaggi ci siamo ridotti!...

S. P.
Grassetti, colori e sottolineature sono nostri.


       Romano Prodi, l'uomo del futuro, il salvatore della patria dopo le nequizie berlusconiane, ha un passato pulito, da eroe senza macchia. Per questo si candida nel senso antico, come i romani di un tempo: con la toga bianca e immacolata.
       Romano viene da una famiglia democristiana, che ha fatto successo nel mondo universitario e politico: suo fratello Paolo è stato professore di storia nelle università di Trento e Bologna, mentre l'altro fratello, Vittorio, ha insegnato, tra le altre cose, all'Istituto di Fisica dell'Università di Bologna, prima di entrare in politica nel 1995, candidando con l'Ulivo come presidente della provincia di Bologna, carica che ha ottenuto e a cui è stato riconfermato nel 1999. E' divenuto poi membro della presidenza dell'Unione Nazionale delle Province Italiane e Presidente dell'UPI regionale. Fratelli dunque, di una certa fama e di un certo successo. Ma il migliore è senz'altro lui, Romano.
       Giovane professore di economia industriale a Bologna nel 1971, nel '78 diviene ministro dell'Industria nel governo Andreotti e tra il 1982 e il 1989 è prescelto da Ciriaco De Mita alla guida dell'IRI, a cui viene richiamato nel 1993 da Ciampi; ci rimane sino alla vittoria di Berlusconi nel 1994.
       A Bologna, in università, dove è stato allievo di Beniamino Andreatta, ha colleghi illustri, che faranno strada, come Alberto Clò e Mario Baldessarri.
       Il 1978 è l'anno della morte di Aldo Moro, lo statista della DC ucciso dalle Brigate Rosse: una morte oscura, la sua, che getta il paese nell'angoscia e la DC nell'imbarazzo più totale: agiscono con determinazione, i compagni di partito, per liberare Moro? Fino a che punto le BR fanno tutto da sole? Sono imbeccate da qualcuno o coperte da qualche potere innominabile? Ancora oggi tutte queste domande rimangono senza risposta, come pure un'altra domanda: che ruolo ha Romano Prodi, ancora sconosciuto al grande pubblico, in queste vicende?
Il 10 giugno 1981, davanti alla Commissione Moro, Romano viene chiamato a testimoniare su un fatto assai strano: una seduta spiritica svoltasi nei giorni del sequestro Moro, il 2 aprile 1978, nella casa di campagna di amici, seduta nella quale viene fuori, stranamente, un nome importante.
       Ma lasciamo la parola a Prodi: "Era un giorno di pioggia, facevamo il gioco del piattino, termine che conosco poco perché era la prima volta che vedevo cose del genere. Uscirono Bolsena, Viterbo e Gradoli. Nessuno ci ha badato: poi in un atlante abbiamo visto che esiste il paese di Gradoli. Abbiamo chiesto se qualcuno sapeva qualcosa e visto che nessuno ne sapeva niente, ho ritenuto mio dovere, anche a costo di sembrare ridicolo, come mi sento in questo momento, di riferire la cosa. Se non ci fosse stato quel nome sulla carta geografica, oppure se fosse stata Mantova o New York, nessuno avrebbe riferito. Il fatto è che il nome era sconosciuto e allora ho riferito immediatamente". Romano Prodi racconta dunque agli inquirenti di aver partecipato ad una seduta spiritica, lui cattolico, e di averne ricavato una notizia giudicata subito importante, che gli sembrava necessario comunicare ad altri, che gli appariva degna di grande considerazione, pur essendo stata ottenuta in quello strano modo poco ortodosso, senza alcuna conferma di tipo razionale.
       La notizia, data dai fidatissimi spiriti evocati, è che Moro, rapito 17 giorni prima, il 16 marzo 1978, è tenuto prigioniero nel paese di Gradoli, sul lago di Bolsena, vicino Viterbo: il piattino, muovendosi velocissimo, ha infatti indicato questi tre nomi, con estrema precisione geografica.
       Così, mentre il governo democristiano chiama un sensitivo che cerca Moro con tecniche da rabdomante, il professor Prodi, in seguito alla suddetta seduta, si reca a Roma, solo due giorni dopo, il 4 aprile, per trasmettere l'indicazione ad Umberto Cavina, capo ufficio stampa dell'on. Benigno Zaccagnini. Quale è la reazione dei vertici della DC? Scetticismo, qualche sorrisetto di compatimento verso il professore che si distrae con gli spiriti? No, Romano viene ritenuto attendibile al punto che il 6 Aprile la questura di Viterbo, su ordine del Viminale, organizza un bliz nel borgo medievale di Gradoli, sul lago di Bolsena, alla ricerca della prigione di Moro.
       Dunque il 2 aprile si svolge la seduta, il 6 aprile c'è l'irruzione a Gradoli, che l'onorevole DS Pellegrino, presidente della Commissione parlamentare per il terrorismo e le stragi nel 1998 (governo Prodi), riassume così: la seduta dei prof. Prodi, Clò e altri, su indicazione del primo, "diede luogo a una vera e propria incursione nel paese di Gradoli, mentre fu trascurata l'altra indicazione, che la stessa moglie dell'onorevole Moro aveva fornito, relativa all'esistenza a Roma di una via Gradoli" (audizione Baldassarri, reperibile negli archivi telematici parlamentari, www.parlamento.it/parlam/bicam/terror); "il 6 aprile la televisione trasmise le immagini dell'irruzione militare nel paese di Gradoli: serbo un ricordo molto preciso, ricordo ancora le tute mimetiche e questo paesetto con le sue casette dove si vedevano gli uomini che entravano con il mitra e facevano una perquisizione; un intero paese fu perquisito" (audizione Clò).
       Fallita l'operazione seduta spiritica-Prodi-Clò, il 18 aprile i vigili del fuoco, a causa di una perdita d'acqua, scoprono a Roma, in via Gradoli 96, là dove diceva la Signora Moro, un covo delle BR appena abbandonato, che si rivelerà essere la "base operativa del capo della colonna romana delle BR, Mario Moretti, che aveva preso parte non solo all'organizzazione ma anche all'agguato di via Fani" ("Lo Stato" 9/12/97).
       Di fronte ad eventi simili, ad una sequenza così ravvicinata (2,6,18 aprile) viene spontaneo porsi la domanda che l'onorevole Pellegrino pose ad Alberto Clò, allora ministro dell'Industria del governo Prodi, nel 1998: "aver fatto uscire il nome di Gradoli paese, aver determinato l'irruzione militare nello stesso, con il clamore che ciò poteva suscitare, poteva anche essere un modo per segnalare ai brigatisti che le forze di sicurezza si stavano avvicinando a quel luogo (cioè a via Gradoli a Roma, ndr)?".
Certo i punti oscuri in questa vicenda sono tanti.
       Anzitutto vi sono professori universitari, sedicenti cattolici, che si danno alle sedute spiritiche e vi attribuiscono tanta credibilità da far mettere a soqquadro un paese.
       In secondo luogo c'è uno spirito che indica il nome giusto, Gradoli, ma depista unendolo a Bolsena e Viterbo, quando il nome di via Gradoli a Roma era già uscito in diverse occasioni: già il 18 marzo, solo due giorni dopo il rapimento Moro, quando due poliziotti si erano recati in via Gradoli 96 per una soffiata, ma trovando la porta chiusa se ne erano inspiegabilmente andati; più avanti, in varie occasioni, e poi per bocca della stessa signora Moro, come abbiamo già visto.
       In terzo luogo l'abbandono del covo di via Gradoli avviene dopo l'irruzione nel paese medievale di Gradoli, quasi quest'ultima avesse funto da segnalazione. Risulta anche molto strano che chi aveva dato tanta importanza alla rivelazione di Prodi su Gradoli, dopo l'inutile irruzione in quel paese, non abbia pensato di provare subito, con la stessa fretta, in via Gradoli a Roma come molte segnalazioni, meno sensazionali e più scientifiche, indicavano. Infatti la scoperta del covo di via Gradoli, il 18 aprile, fu voluta dai brigatisti stessi, non determinata dalle investigazioni. Racconta Alessandro Visini che i vigili del fuoco, e non la polizia, giungono in via Gradoli per una perdita d'acqua segnalata da un inquilino, una strana perdita in quanto "il rubinetto della vasca è sostenuto da una scopa che indirizza volutamente il getto dell'acqua verso la fessura, con lo scopo di ottenere l'allagamento".
       Tutte queste incongruenze sono state sempre notate dagli studiosi, sebbene spesso con una certa superficialità, ma è la stessa Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo e le stragi, proprio all'epoca del governo Prodi, e per merito di un suo sostenitore, che nel 1998 riapre il caso con le audizioni citate di Baldassarri e di Clò, ministro di Prodi e proprietario della casa in cui si era tenuta la famosa seduta.
       Ebbene, invece di risolvere la questione, invece di chiarire qualcosa, dopo tanti anni di misteri, Alberto Clò ripete quanto sostenuto in passato da lui e dall'amico Romano. Quel giorno, in un clima festoso e svagato, un po' stridente con ciò che stavano per fare, lui, Prodi e altri amici avevano interrogato gli spiriti: "Signor presidente, il piattino formò il termine Gradoli a seguito di una domanda con la quale si chiedeva quale fosse la località specifica nella quale si trovava l'onorevole Moro…Ribadisco che il modo in cui il piattino si muoveva non porta oggi ma portava fin da allora ad escludere assolutamente che questo potesse essere manovrato da una singola persona. Sottolineo il fatto che, appunto, quel che colpiva era la velocità del movimento del piattino e l'erraticità di questo movimento…Pertanto giuro [...] il mio profondo convincimento è che nessuno in quella occasione sia riuscito a governare il movimento del piattino, facendo fessi tutti gli altri".
       Su tutti questi fatti Romano Prodi, presidente del Consiglio prima e presidente della Commissione europea poi, ha steso una coltre di silenzio, ritenendo che la spiegazione degli spiriti fosse sufficiente: eppure bisognerebbe che si spiegasse meglio, visto che l'omicidio di Moro e della sua scorta ha segnato una svolta nella storia del nostro paese.
       Solo 4 anni dopo questi fatti Romano fa il salto di qualità: da semplice professore diviene uno degli uomini più potenti d'Italia. Anche se il grande pubblico non lo conosce, Prodi agisce dietro le quinte, da nuovo presidente dell'IRI.

Francesco Agnoli

[Indice degli articoli]   [Home]