Romano Prodi, l'uomo del futuro,
il salvatore della patria dopo le nequizie berlusconiane, ha un passato
pulito, da eroe senza macchia. Per questo si candida nel senso antico,
come i romani di un tempo: con la toga bianca e immacolata.
Romano viene da una famiglia
democristiana, che ha fatto successo nel mondo universitario e politico:
suo fratello Paolo è stato
professore di storia nelle università di Trento e Bologna, mentre
l'altro fratello, Vittorio, ha
insegnato, tra le altre cose, all'Istituto di Fisica dell'Università
di Bologna, prima di entrare in politica nel 1995, candidando con l'Ulivo
come presidente della provincia di Bologna, carica che ha ottenuto e
a cui è stato riconfermato nel 1999. E' divenuto poi membro della
presidenza dell'Unione Nazionale delle Province Italiane e Presidente
dell'UPI regionale. Fratelli dunque, di una certa fama e di un certo
successo. Ma il migliore è senz'altro lui, Romano.
Giovane professore di economia
industriale a Bologna nel 1971, nel '78 diviene ministro dell'Industria
nel governo Andreotti e tra il 1982 e il 1989 è prescelto da
Ciriaco De Mita alla guida dell'IRI, a cui viene richiamato nel 1993
da Ciampi; ci rimane sino alla vittoria di Berlusconi nel 1994.
A Bologna, in università,
dove è stato allievo di Beniamino Andreatta, ha colleghi illustri,
che faranno strada, come Alberto Clò e Mario Baldessarri.
Il 1978 è l'anno della
morte di Aldo Moro, lo statista della DC ucciso dalle Brigate Rosse:
una morte oscura, la sua, che getta il paese nell'angoscia e la DC nell'imbarazzo
più totale: agiscono con determinazione, i compagni di partito,
per liberare Moro? Fino a che punto le BR fanno
tutto da sole? Sono imbeccate da qualcuno o coperte da qualche potere
innominabile? Ancora oggi tutte queste domande rimangono
senza risposta, come pure un'altra domanda: che ruolo ha Romano Prodi,
ancora sconosciuto al grande pubblico, in queste vicende?
Il 10 giugno 1981, davanti alla Commissione Moro, Romano viene chiamato
a testimoniare su un fatto assai strano: una seduta spiritica svoltasi
nei giorni del sequestro Moro, il 2 aprile 1978, nella casa di campagna
di amici, seduta nella quale viene fuori, stranamente, un nome importante.
Ma lasciamo la parola a Prodi:
"Era un giorno di pioggia, facevamo il gioco del piattino, termine
che conosco poco perché era la prima volta che vedevo cose del
genere. Uscirono Bolsena, Viterbo e Gradoli. Nessuno ci ha badato: poi
in un atlante abbiamo visto che esiste il paese di Gradoli. Abbiamo
chiesto se qualcuno sapeva qualcosa e visto che nessuno ne sapeva niente,
ho ritenuto mio dovere, anche a costo di sembrare ridicolo, come mi
sento in questo momento, di riferire la cosa. Se non ci fosse stato
quel nome sulla carta geografica, oppure se fosse stata Mantova o New
York, nessuno avrebbe riferito. Il fatto è che il nome era sconosciuto
e allora ho riferito immediatamente". Romano
Prodi racconta dunque agli inquirenti di aver partecipato ad una seduta
spiritica, lui cattolico, e di averne ricavato
una notizia giudicata subito importante, che gli sembrava
necessario comunicare ad altri, che gli appariva degna di grande considerazione,
pur essendo stata ottenuta in quello strano modo poco ortodosso, senza
alcuna conferma di tipo razionale.
La notizia, data dai fidatissimi
spiriti evocati, è che Moro, rapito 17 giorni prima, il 16 marzo
1978, è tenuto prigioniero nel paese di Gradoli, sul lago di
Bolsena, vicino Viterbo: il piattino, muovendosi velocissimo, ha infatti
indicato questi tre nomi, con estrema precisione geografica.
Così, mentre il governo
democristiano chiama un sensitivo che cerca Moro con tecniche da rabdomante,
il professor Prodi, in seguito alla suddetta seduta, si reca a Roma,
solo due giorni dopo, il 4 aprile, per trasmettere l'indicazione ad
Umberto Cavina, capo ufficio stampa dell'on. Benigno Zaccagnini. Quale
è la reazione dei vertici della DC? Scetticismo, qualche sorrisetto
di compatimento verso il professore che si distrae con gli spiriti?
No, Romano viene ritenuto attendibile al punto
che il 6 Aprile la questura di Viterbo, su ordine del Viminale, organizza
un bliz nel borgo medievale di Gradoli, sul lago di Bolsena,
alla ricerca della prigione di Moro.
Dunque il 2 aprile si svolge
la seduta, il 6 aprile c'è l'irruzione a Gradoli, che l'onorevole
DS Pellegrino, presidente della Commissione parlamentare per il terrorismo
e le stragi nel 1998 (governo Prodi), riassume così: la seduta
dei prof. Prodi, Clò e altri, su indicazione del primo, "diede
luogo a una vera e propria incursione nel paese di Gradoli, mentre
fu trascurata l'altra indicazione, che la stessa moglie dell'onorevole
Moro aveva fornito, relativa all'esistenza a Roma di una via Gradoli"
(audizione Baldassarri, reperibile negli archivi telematici parlamentari,
www.parlamento.it/parlam/bicam/terror); "il 6 aprile la televisione
trasmise le immagini dell'irruzione militare nel paese di Gradoli: serbo
un ricordo molto preciso, ricordo ancora le tute mimetiche e questo
paesetto con le sue casette dove si vedevano gli uomini che entravano
con il mitra e facevano una perquisizione; un intero paese fu perquisito"
(audizione Clò).
Fallita l'operazione seduta
spiritica-Prodi-Clò, il 18 aprile i vigili del fuoco, a causa
di una perdita d'acqua, scoprono a Roma, in via Gradoli 96, là
dove diceva la Signora Moro, un covo delle BR appena abbandonato, che
si rivelerà essere la "base operativa del capo della colonna
romana delle BR, Mario Moretti, che aveva preso parte non solo all'organizzazione
ma anche all'agguato di via Fani" ("Lo Stato" 9/12/97).
Di fronte ad eventi simili,
ad una sequenza così ravvicinata (2,6,18 aprile) viene spontaneo
porsi la domanda che l'onorevole Pellegrino pose ad Alberto Clò,
allora ministro dell'Industria del governo Prodi, nel 1998: "aver
fatto uscire il nome di Gradoli paese, aver determinato l'irruzione
militare nello stesso, con il clamore che ciò poteva suscitare,
poteva anche essere un modo per segnalare
ai brigatisti che le forze di sicurezza si stavano avvicinando a quel
luogo (cioè a via Gradoli a Roma, ndr)?".
Certo i punti oscuri in questa vicenda sono tanti.
Anzitutto vi sono professori
universitari, sedicenti cattolici, che si danno alle sedute spiritiche
e vi attribuiscono tanta credibilità da far mettere a soqquadro
un paese.
In secondo luogo c'è
uno spirito che indica il nome giusto, Gradoli,
ma depista unendolo a Bolsena e Viterbo, quando il nome di
via Gradoli a Roma era già uscito in diverse occasioni: già
il 18 marzo, solo due giorni dopo il rapimento Moro, quando due poliziotti
si erano recati in via Gradoli 96 per una soffiata, ma trovando
la porta chiusa se ne erano inspiegabilmente andati; più
avanti, in varie occasioni, e poi per bocca della stessa signora Moro,
come abbiamo già visto.
In terzo luogo
l'abbandono del covo di via Gradoli avviene dopo l'irruzione nel paese
medievale di Gradoli, quasi quest'ultima avesse funto da
segnalazione. Risulta anche molto strano che chi aveva dato tanta importanza
alla rivelazione di Prodi su Gradoli, dopo l'inutile irruzione in quel
paese, non abbia pensato di provare subito, con la stessa fretta, in
via Gradoli a Roma come molte segnalazioni, meno sensazionali e più
scientifiche, indicavano. Infatti la scoperta
del covo di via Gradoli, il 18 aprile, fu voluta dai brigatisti stessi,
non determinata dalle investigazioni. Racconta Alessandro Visini che
i vigili del fuoco, e non la polizia, giungono in via Gradoli per una
perdita d'acqua segnalata da un inquilino, una
strana perdita in quanto "il rubinetto della vasca è sostenuto
da una scopa che indirizza volutamente il getto dell'acqua verso la
fessura, con lo scopo di ottenere l'allagamento".
Tutte queste incongruenze
sono state sempre notate dagli studiosi, sebbene spesso con una certa
superficialità, ma è la stessa Commissione parlamentare
d'inchiesta sul terrorismo e le stragi, proprio all'epoca del governo
Prodi, e per merito di un suo sostenitore, che nel 1998 riapre il caso
con le audizioni citate di Baldassarri e di Clò, ministro
di Prodi e proprietario della casa in cui si era tenuta la
famosa seduta.
Ebbene, invece di risolvere
la questione, invece di chiarire qualcosa, dopo tanti anni di misteri,
Alberto Clò ripete quanto sostenuto in passato da lui e dall'amico
Romano. Quel giorno, in un clima festoso e svagato, un po' stridente
con ciò che stavano per fare, lui, Prodi e altri amici avevano
interrogato gli spiriti: "Signor presidente, il piattino formò
il termine Gradoli a seguito di una domanda con la quale si chiedeva
quale fosse la località specifica nella quale si trovava l'onorevole
Moro
Ribadisco che il modo in cui il piattino si muoveva non porta
oggi ma portava fin da allora ad escludere assolutamente che questo
potesse essere manovrato da una singola persona. Sottolineo il fatto
che, appunto, quel che colpiva era la velocità del movimento
del piattino e l'erraticità di questo movimento
Pertanto
giuro [...] il mio profondo convincimento è che nessuno in quella
occasione sia riuscito a governare il movimento del piattino, facendo
fessi tutti gli altri".
Su tutti questi fatti Romano
Prodi, presidente del Consiglio prima e presidente della Commissione
europea poi, ha steso una coltre di silenzio, ritenendo che la spiegazione
degli spiriti fosse sufficiente: eppure bisognerebbe che si spiegasse
meglio, visto che l'omicidio di Moro e della sua scorta ha segnato una
svolta nella storia del nostro paese.
Solo
4 anni dopo questi fatti Romano fa il salto di qualità: da semplice
professore diviene uno degli uomini più potenti d'Italia.
Anche se il grande pubblico non lo conosce, Prodi agisce dietro le quinte,
da nuovo presidente dell'IRI.
Francesco Agnoli
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