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Mentana, Ciampi e Porta Pia

      Il 3 novembre del 1867 l'esercito pontificio concludeva vittoriosamente, con la battaglia di Mentana, la campagna militare dell'Agro Romano. Ricordiamo la strepitosa vittoria papalina a Mentana con un ricordo dello zuavo irlandese Patrick Keyves O'Clery e con un articolo di Paolo Gulisano sul ruolo della Massoneria nel risorgimento italiano.
I massoni non si limitarono a minacciare verbalmente la cancellazione dello Stato pontificio dalle carte geografiche, ma la realizzarono con una lunga serie di crimini culminati con il 20 settembre 1870.

Segnalato da Centro Studi Giuseppe Federici

Grassetti, colori, parentesi quadre, sottolineature
e quanto scritto nello spazio giallo sono della Redazione

      A Mentana le truppe pontificie ebbero 30 morti e 103 ferirti. I garibaldini persero almeno 800 uomini, ed è probabile che le perdite effettive siano state superiori al migliaio. Furono fatti prigionieri 1.600 garibaldini e gli altri ripassarono la frontiera in vari punti, consegnandosi a migliaia alle truppe italiane.
Il 6 novembre l'esercito vittorioso rientrava a Roma, ricevuto dall'entusiasmo della gente: la città era imbandierata a festa, la folla gremiva le strade, i balconi, e persino i tetti. I prigionieri furono portati a Castel Sant'Angelo, da dove ritornarono in gruppi alle proprie case. Il 27 novembre, quando ne erano rimasti 200, il Papa fece loro visita. Nel gran salone dov'erano riuniti per incontralo, il Papa passò sorridendo in mezzo a loro, dicendo: Vedete davanti a voi l'uomo che un vostro generale ha chiamato il Vampiro d'Italia. È contro di me che avete preso le armi: e chi sono io? Un povero vecchio.
Parlò con ciascuno di loro, si informò dei loro bisogni, promise vestiti caldi, scarpe, denaro e il viaggio gratuito per ritornare nelle loro città; infine, quando tutti gli si strinsero attorno, baciandogli la mano e acclamandone il nome, li salutò dicendo: A voi cattolici chiedo soltanto di ricordarvi di me in una breve e fervente preghiera a Dio. Tale fu il perdono di Pio IX.
Le notizie di Mentana furono accolte in tutto il mondo cattolico con immensa gioia. Dovunque vennero celebrate Messe di ringraziamento per la vittoria, indette preghiere di suffragio per gli eroi caduti, organizzati manifestazioni e comizi per garantire una difesa della Santa Sede ancora più efficace. Persino nel lontano Canada l'entusiasmo fu grande quanto in Europa, poiché uno zuavo canadese era caduto a Mentana in difesa della Santa Sede; così, quando ogni nazione decise di mandare rinforzi Roma, il Canada si organizzò per inviare un'intera compagnia, che doveva poi coprirsi di gloria nell'ultimo combattimento dell'esercito pontificio.
(Patrick Keyves O'Clery, La rivoluzione italiana, Edizioni Ares, Milano 2000, pag. 650-651)

 

 

      La massoneria conquistò l'Urbe. Ciampi magnifica la breccia di Porta Pia, ma nel 20 settembre non ci fu nulla di eroico, anzi... di Paolo Gulisano
      Roma, 20 settembre 2005: il presidente della Repubblica italiana Carlo Azeglio Ciampi inaugura l'inizio del nuovo anno scolastico alla presenza di un migliaio di alunni e studenti di varie scuole italiane. Si potrebbe pensare che l'autorevole inquilino del Quirinale proponga un discorso teso a sottolineare il ruolo dell'educazione, della formazione, della cultura che ci fa uomini e cittadini migliori, ma la data è troppo ghiotta, e il presidente, col suo trascorso di militante del Partito d'Azione, custode del radicalismo risorgimentale anti-cattolico, non se la fa sfuggire, e alza un peana in onore di ciò che questa data, venti settembre, rievoca: la presa di Porta Pia, la conquista di Roma, la fine dello Stato Pontificio.
Quello che fu oggettivamente un atto di guerra, un'aggressione unilaterale contro uno Stato sovrano e, più di ogni altra cosa, una sfida durissima lanciata alla Chiesa, viene celebrato da Ciampi come un grande, storico avvenimento che sta alle origini dello Stato italiano. Tutto sommato, dal suo punto di vista, che è quello del laicismo azionista, l'anziano ospite del Quirinale ha qualche ragione: la presa di Porta Pia fu un fatto clamoroso che segnò il destino dello Stato italiano, e determinò indelebilmente la cultura politica e la mentalità della classe dirigente fino alla caduta del fascismo. Non di meno, è assurdo e improponibile che dopo oltre 130 anni si vogliano esaltare quell'avvenimento e quella ideologia di fronte ai ragazzi del nostro tempo, che alla scuola, agli educatori, alla società, chiedono ben altro.
Se proprio si vuole guardare al XX settembre 1870, allora sarà bene che si racconti la storia per come è andata, e a quel punto sarà difficile che Carlo Azeglio Ciampi e chi la pensa come lui abbiano ancora il coraggio di menar vanto di quegli avvenimenti; al contrario, sarebbe il caso che venissero fatte delle scuse per quel venti settembre, per quell'odiosa violenta aggressione a Roma, intesa come centro del Cristianesimo, centro spirituale mondiale secondo forse alla sola Gerusalemme, capitale per secoli della Cristianità, che era divenuta nell'800 l'obiettivo e la vittima designata di quel processo rivoluzionario cui è stato dato il nome retorico e pomposo di Risorgimento, termine che vuole esprimere una variante laica della cristiana «resurrezione».
Il culmine di questo processo di unificazione con spoliazione delle diverse e libere realtà nazionali e statali presenti nella penisola italiana doveva essere la conquista di Roma, la sottomissione del potere temporale del Papa a quello dei sovrani sabaudi che attraverso la progressiva annessione dei vari regni italiani -la celebre politica del carciofo- avevano stabilito la propria supremazia nell'ambito del nuovo Stato venutosi a creare.
Un «sogno italiano» che corrispondeva ad un'antica aspirazione della Massoneria, all'utopia più coltivata: quella di distruggere il Cristianesimo e sostituirlo con un culto neo-gnostico, con aspetti esoterici per gli iniziati e con una dimensione essoterica, pubblica, per il popolo. Il grande scontro che ebbe luogo nell'Italia dell'800 non era solo per dar vita ad una nuova entità statale, un paese dalla media importanza strategica proteso nel Mare Mediterraneo, ma era una battaglia preparata da lungo tempo per sconfiggere la Roma cristiana, la sede del Vicario di Cristo.
La conquista di Roma e la sconfitta della Chiesa divennero l'ossessiva aspirazione della setta. Per realizzare questo obiettivo, tuttavia, era necessario che l'organizzazione prendesse saldamente piede negli Stati della penisola. Il 20 giugno 1805 venne così costituito il primo Grande Oriente d'Italia.
Il secolo XIX vede in Italia una formicolante attività di società segrete collegate in vario modo ai princìpi massonici. Vi aderivano soprattutto militari, avvocati, notai, giudici, medici, farmacisti, imprenditori: una irrequieta borghesia provinciale con caratteristiche che variavano a seconda della geografia e della filosofia politica: un gradualismo monarchico e moderato nel Meridione, istanze socialmente più avanzate e repubblicanesimo nel Nord. Appartenevano ad organizzazioni chiamate Società degli Adelfi (che in greco significa fratelli) oppure Sublimi Maestri Perfetti fino alla più celebre Carboneria. Nell'immagine allegorica del carbonaio è evidente la derivazione massonica: col fuoco del carbone si ottiene la purificazione, mediante un'operazione di tipo alchemico attuata in tre fasi: l'opera al nero, l'opera al rosso, l'opera al bianco. Lo scopo dell'organizzazione politico-iniziatica era -secondo i suoi statuti- di «liberare la foresta dai lupi», ovvero liberare l'umanità dai tiranni, e ciò educando gli uomini alle virtù del perfetto cittadino.
In questo ambito spiritualista viene concepita l'idea di «risorgimento»: «Il simbolo iniziatico della «Rinascita» (o «carbonizzazione») veniva assimilato dalla Carboneria allo schema cristiano della salvezza, il dramma-catarsi del Calvario: passione-morte-risurrezione. Un simbolo che, nel particolare contesto storico, si caricava anche di motivazioni sociali; sì che la rigenerazione morale riguardava non solo l'individuo ma pure l'intero popolo, sino a diventare istanza di cambiamento politico: la rinascita del popolo diveniva il programma del suo risorgere spirituale e politico, ovvero il suo Risorgimento, il nome che poi assunse l'intero evento storico, un nome nato dal patrimonio semantico massonico e carbonaro».
Iniziò dunque una lunga marcia di avvicinamento, un processo di unificazione statale che assunse subito delle caratteristiche assolutamente peculiari: l'Italia infatti, caso unico nella storia, venne a crearsi come nazione in opposizione alla religione. Da sempre il senso dell'appartenenza ad una patria (intesa letteralmente come «terra dei padri») era andato di pari passo con l'appartenenza ad una fede; il focolare e l'altare erano sempre stati, nella storia dei popoli, una cosa sola. L'identità nazionale si fonda, prima che su una comunità linguistica o etnica, su un elemento religioso. La nascita delle grandi nazioni medievali, come la Francia, l'Inghilterra, la Germania, vede come protagonisti dei santi, chiamati a battezzare i popoli e ad unirli in una comunità di destino: San Bonifacio in Germania, Sant'Agostino di Canterbury in Inghilterra, Clodoveo in Francia, Stefano in Ungheria, Adalberto e Boleslao in Boemia e in Polonia.
Da sempre il senso di appartenenza di un popolo ad una etnia o a una cultura ha trovato fondamento nel senso religioso: fa eccezione il caso italiano, dove una nazione viene assemblata dando come orientamento politico l'ostilità alla religione, individuando come nemico il capo della Chiesa, il Vicario di Cristo, costituendo uno Stato senza fondamenta religiose, che confidava di creare un tessuto sociale con riferimenti all'etica massonica del buon cittadino. Questo Stato settario e anticattolico voleva febbrilmente la conquista di Roma.
Lo fece con una caparbia azione ideologica che portò alla sostituzione della Fede con l'ideologia, del sano realismo cristiano con l'utopismo, della devozione ai santi con l'idolatria nei confronti dei nuovi miti, di quegli «eroi» che la propaganda risorgimentale impose pesantemente: personaggi come Garibaldi, Mazzini, Cavour e Vittorio Emanuele che tanto piacciono a Ciampi, ma non certo a noi.
(Da Il Federalismo del 16 ottobre 2005)

 

 

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