Nel Natale
1998, l'associazione «Nessuno tocchi Caino», sorta da
una costola del Partito Radicale, ha organizzato una marcia in Piazza
San Pietro, per chiedere l'intervento del Pontefice nella sua battaglia
contro la pena di morte. Associazioni come «Amnesty International»
hanno dato il loro appoggio. Proprio la presenza di tale associazione
che, più correttamente andrebbe chiamata «Amnesy International»,
perché ha sempre dimenticato, volutamente, di fare campagne
a favore di condannati di gruppi di destra, per non parlare del suo
appoggio a campagne filo-abortiste, dovrebbe dar da pensare.
Il comprendere
la lotta contro l'istituto della pena capitale nell'impegno contro
la «cultura della morte», come stanno facendo molti ecclesiastici,
è frutto di una bella confusione d'idee.
Cominciamo a sfatare un assunto
che l'attuale pseudo-buonismo dà per scontato: la pena di morte,
una bella cosa certo non è, ma non è illecita!
E' un madornale equivoco confondere
l'inviolabile diritto alla vita dell'innocente, con la situazione
del colpevole che, nel momento in cui ha spento una vita altrui, immediatamente
ha implicitamente rinunciato alla propria, e quindi al proprio diritto
alla vita.
Questo in astratto.
Nel concreto, ci sono da valutare tante situazioni.
In primo luogo, ovviamente, l'accertamento
della colpa, poi l'opportunità della pena .
Tanto per dirne una (sorprenderò
qualcuno), ma nell'attuale situazione italiana, ringraziamo il Signore
che i politici e certa Magistratura che ci ritroviamo non possiedono
anche quest'altra arma.
Dato che molti rappresentanti
del mondo cattolico sono in prima fila contro tale istituto, ricordiamo
qual è il reale insegnamento della Chiesa, presente anche nel
Catechismo del 1992. Seguiremo in quest'analisi due opere fondamentali:
« Iota Unum » di Romano Amerio, (ed. Ricciardi, Milano/
Napoli 1986) e, soprattutto: «Pena di morte e Chiesa Cattolica»
di Catholicus (ed. Volpe Roma 1990). Catholicus era uno pseudonimo
usato dal defunto Padre Enrico Zoffoli, passionista.
Un cattolico non può sottoscrivere
della pena di morte fine a se stessa l'elogio che ne fa Baudelaire,
(chissà se lo sanno i suoi ammiratori).
Di tutt'altro sapore è
quanto ne dice Joseph de Maistre, autore di quell' indimenticabile
«Elogio del boia», secondo il quale anche l'essere chiamato
a spegnere la vita altrui è una vocazione.
La Chiesa ha sempre fondato,
con Sant'Agostino, San Tommaso d'Aquino e Taparelli d'Azeglio, il
giudizio non negativo su tale somma pena sui seguenti testi del Nuovo
Testamento:
1) «Vuoi tu non dover temere
l'autorità'? Fai il bene ed avrai lode da essa (..) Ma se fai
il male allora devi temere poiché il magistrato non porta la
spada inutilmente, essendo ministro di Dio e vendicatore dell'ira
divina» (San Paolo Lettera ai Romani cap. XIII, 4);
2) « Ma chi avrà
indotto al male uno di questi piccini (...) sarebbe meglio per lui
che gli fosse appesa una macina da mulino al collo e fosse sommerso
nel profondo del mare» ( Vangelo di San Matteo cap.XVIII, 6).
In effetti, proprio San Tommaso
molto si dilunga su cosa comporta la morte per il condannato. Certo
che ad una cultura che esclude ogni riferimento metafisico, che reputa
quindi un'altra vita solo pallida eventualità, è normale
che la condanna a morte sembri il massimo affronto.
Non a caso è la massoneria,
società che ha sempre diffuso l'indifferentismo religioso,
in prima fila in tale impegno (non nei paesi anglosassoni però,
dove influenza la vita pubblica in modo esplicito e diretto, là
gli sta bene che ci sia, eccome!).
L'Aquinate proprio circa la condanna
a morte, raccomanda la massima cura nell'assistere spiritualmente
tali galeotti. Questo perché la pena capitale paga in un colpo
solo tutti i debiti residui con l'umana e la divina Giustizia, cosa
che la semplice morte naturale non fa. Pertanto
al colpevole che, sinceramente pentito delle proprie colpe, offra
la propria punizione in espiazione, si applicano in pieno le parole
di Gesù' al Buon Ladrone: «Oggi sarai con me in Paradiso».
Non si deve dimenticare che,
secondo la cultura cristiana, prima che cominciasse a girare il sofisma
della «rieducazione» (il Senatore Pisanò, che in
carcere c'era stato, sia come giornalista sia come detenuto, raccontava
che vi aveva conosciuto ogni razza di uomini: il rassegnato, il disperato,
il vendicativo, il tutto sommato soddisfatto, ma il « rieducato»
no!), il fine della condanna è triplice.
Tanto per incominciare deve servire
a proteggere e difendere la società dai propri membri cattivi.
Poi deve far espiare il colpevole.
Infine deve riparare le ingiustizie
da lui commesse.
La «rieducazione»
è un tipico frutto dell'utopia di Rousseau, secondo cui l'uomo
nasce buono per natura ed è la società a guastarlo.
Pertanto, in ultima analisi, il reo è innocente!
Quando l'assassino Buffet salì
sulla ghigliottina, gridò la sua speranza di essere l'ultimo
ghigliottinato di Francia. Avrebbe dovuto gridare quella di essere
l'ultimo assassino!
Di recente si è molto
parlato di quel condannato che ha ottenuto, grazie all'intercessione
papale, la grazia. Ma preferisco
ricordare un altro personaggio. Alcuni
anni fa, un «serial killer» che aveva stuprato ed ucciso
numerosi bambini, condannato a morte, non volle assolutamente che
si organizzassero campagne in suo favore. Pretese che la pena fosse
eseguita al più presto (normalmente tra quando la sentenza
è pronunciata e quando è eseguita passano decenni) proprio
perché era sinceramente pentito di ciò che aveva fatto
e non vedeva l'ora di ricevere la giusta punizione. Chiese solo di
poter girare una videocassetta, con la quale narrare la sua storia.
E ciò allo scopo di mettere le famiglie in guardia dalla pornografia,
di cui era stato gran consumatore fin dall'infanzia. Tale film si
può reperire in Italia, rivolgendosi alla piccola casa editrice
protestante EUN di Marchirolo (Varese).
La Chiesa, ripeto,
non solo non fa sua, ma al contrario respinge la celebrazione della
pena capitale fine a se stessa o quale atto sacro ed altamente religioso,
così come lo ritiene Baudelaire.
Che la reputi cosa non bella
traspare dal codice di diritto canonico del 1917 che colpiva
di irregolarità perpetua cioè, salvo speciale
dispensa papale, rendeva permanentemente inabili a ricevere il sacerdozio
non solo il boia, non solo il giudice che aveva comminato la pena
capitale, non solo il PM che l'aveva chiesta, ma persino i testimoni
che, con le loro dichiarazioni l'avevano resa possibile (l'Ordine
francescano, poi, estendeva tale provvedimento anche ai figli di tutti
costoro, rifiutandosi di accettarli). Però, non è illecita.
Il concetto che il reo ha rinunciato
di per sé al proprio diritto alla vita, è espresso pari
pari a come l'ho scritto io, da Pio XII nei suoi discorsi ai neurologi
francesi del 14 settembre 1952 ed al congresso internazionale dei
giuristi cattolici del 5 febbraio 1955.
Che
Dio proibisca la vendetta privata, perché se ne vuol riservare
l'esclusivo monopolio è verissimo.
MA che, sulla base del versetto
di Romani XIII, 4 da me citato, che, sempre secondo le dichiarazioni
di Pio XII in quelle occasioni, ha valore universale, tanto nel tempo
che nello spazio, lo stato sia il ministro incaricato di eseguirla,
è altrettanto vero.
Che la redenzione del reo sia
un evento a carattere metafisico, è una verità ormai
taciuta da tutti.
Lo ripeto. Se un'altra vita è
vista solo come remota eventualità, è normale che la
pena capitale sia il massimo affronto.
Ma chi sa che la vita non finisce
quaggiù, sa che vita e morte sono mezzi per unirsi a Dio.
La compagnia di San Giovanni
Decollato era una congregazione incaricata di curare l'assistenza
spirituale ai condannati a morte. Quante conversioni ha operato San
Giuseppe Cafasso! Quante lettere di condannati a morte della Resistenza
( e della RSI) sono esempi di conversioni solenni! Da Nicola di Tauldo,
assistito sul patibolo da Santa Caterina da Siena, a Felice Robol,
confortato da Antonio Rosmini, a Jacques Fesch, ghigliottinato nel
'57, quanti delinquenti hanno avuto necessità della suprema condanna
per raggiungere un commovente grado di perfezione spirituale.
Il fatto che la pena capitale
paghi in un colpo solo tutti i debiti residui con l'umana e la divina
giustizia è una sentenza di San Tommaso D'Aquino (Summa theologica,
alla voce "mors").
La pena di morte (come ogni pena),
se non si degrada ad arbitrio di un tiranno, presuppone
sempre una sorta di «diminuzione morale» del reo.
La società non priva un
colpevole del diritto alla vita o alla libertà. Si limita a
prendere atto che, tale diritto (inviolabile nell'innocente) lui, reo, lo ha già «scemato»,
in un certo qual senso.
In conclusione: la pena di morte,
anzi ogni pena, è illegittima se si pone
come indipendenza dell'individuo verso la legge morale, se i concetti
di bene e di male, di giusto e di sbagliato, sono posti sul solo piano soggettivo, mentre se vengono considerati su quello oggettivo,
allora anche la pena è legittima contro chi volontariamente viola la legge morale, il bene e il giusto.
Non c'è alcun diritto
incondizionato ai beni della terra. L'unico diritto
inviolabile è quello ai mezzi
necessari per la felicità eterna, nessuna pena lo può escludere, nemmeno quella capitale.
Carmine Bellezza