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«Sono come don Camillo»
«Era un prete che sapeva come trattare i nemici di Nostro Signore»
di Giancarlo Beltrame

Fonte: L’Arena - lunedì 30 ottobre 2006 - cronaca pag. 8

         Qualcuno direbbe: una volta tanto le proteste fanno effetto, ma non è così.
         Infatti il quotidiano L'Arena finge di "rettificare" lo scivolone di cronaca del sig. g.b. Ora noi aggiungiamo soltanto che avremmo gradito un maggior rispetto per la nostra Religione e per un Prete: non ci piace vederlo chiamare soltanto Vilmar Pavesi, così semplicemente, senza neppure uno straccio di "don", anche perché crediamo che un tal prete un po' più di rispetto e un po' più di calore se lo meriti, se non altro per non fargli rimpiangere il lontano Brasile e per confermarlo nell'idea che la terra dei suoi avi è ancora ospitale. Se poi il cronista b.g. vuole fare il laico duro e puro, gli ricordiamo che
è da uomini seri riconoscere il valore degli avversari e quindi il rispettarli.

La Redazione

Grassetti, colori, parentesi quadre, sottolineature, corsivi
e quanto scritto nello spazio giallo sono generalmente della Redazion

       - Piacere, sono don Camillo...
       - Allora non è arrabbiato.
       - Don Camillo mi piace. Quello sì che era un vero prete che sapeva come trattare i nemici di Dio.
       - E preconciliare, le piace?
       - Sono anche preconciliare, tanto è vero che vado vestito come prima del Concilio e come dovrebbero vestire tutti i sacerdoti. Ma pseudoprete, no, non mi è piaciuto. Lei ha un po’ esagerato. Io sono un prete.
       - Ci spieghi allora che prete è...
       - Volentieri.

       Vilmar Pavesi ha appena finito di celebrare un’ora e mezzo (1) di messa in latino, secondo il messale del 1962 e l’antico rito tridentino (2), nella chiesa di Santa Toscana, davanti alla quale venerdì sera si era tenuta la manifestazione leghista con Mario Borghezio, alla quale aveva partecipato anche lui (e l’avevamo descritto come uno «pseudoprete preconciliare alla don Camillo»).


Don Vilmar Pavesi in abito talare e tricorno davanti a Santa Toscana

 

       In chiesa, alle sue spalle, perché nel vecchio rito il sacerdote sta rivolto al tabernacolo (3), un’ottantina di fedeli, anzi di «fedelissimi».
       Tra di loro Amos Spiazzi, veterano -sempre assolto- di tante inchieste sulle stragi degli anni ’60 e ’70 e su tentativi di colpo di Stato e organizzazioni sovversive, Palmarino Zoccatelli di Famiglia e Civiltà, Maurizio Ruggiero del movimento legittimista Sacrum Imperium, Nicola Cavedini, presidente di UnaVoce, ossia il gotha dell’integralismo tradizionalista cattolico scaligero, e ancora l’avvocata Augusta Selmo, che vive nel quartiere, e, un po’ a sorpresa (4), il direttore amministrativo dell’Ulss 22 Michele Romano.


Un momento della Messa in latino a Santa Toscana (fotoservizio Marchiori)

       - Dove è nato?
       - Sono nato in Brasile, a Nova Aurora, nel 1970.
       - E da dove viene il suo nome?

       - Vilmar è un nome tedesco, che significa Guglielmo, mentre Pavesi è italiano.
       - Quindi la sua famiglia è italiana?
       - Sì, emigrati da Crema nel 1875, nelle prime migrazioni dall’Italia. Se non parlo molto bene l’italiano è perché in famiglia si parlava il dialetto cremasco.


Una donna in
chiesa con il velo

       - Lei sarebbe quindi di fatto un immigrato extracomunitario...
       - Ho la doppia cittadinanza, brasiliana e italiana. L’ho ottenuta qui in Comune a Verona, dimostrando di essere discendente per linea paterna da italiani.


Il tradizionalista
Maurizio Ruggiero

       - Dove ha compiuto i suoi studi?
       - Nel seminario di Anapolis, dove c’erano due sacerdoti padovani, della famiglia del papa Sarto (Pio X, ndr) (5), che mi hanno insegnato il valore della tradizione. Loro mi hanno insegnato ad amare la Chiesa di sempre e a dire la messa in latino.
       - E lì è stato ordinato sacerdote...
       - No, non in Brasile. Dopo la mia ordinazione diaconale, sono stato mandato dal mio vescovo Dom Manoel Pestana Filho in Spagna, per fare il dottorato in filosofia all’università di Navarra a Pamplona, dove mi sono laureato in filosofia.
       - Allora è diventato prete in Spagna?
       - Nemmeno, siccome il mio rettore di Anapolis era un sacerdote tedesco, Ingo Dollinger, di origine bavarese, amico personale di Ratzinger e buon amico del vescovo di Vaduz, monsignor Wolgang Haas, ha chiesto al mio vescovo il permesso per farmi ordinare da Haas, visto che mi trovavo già in Europa.
       - Così è andato in Liechtenstein...
       - No, l’ordinazione è avvenuta in Baviera, con altri quattro sacerdoti francesi, tedeschi e statunitensi della Fraternità di San Pietro. E secondo il rito tradizionale celebrato da monsignor Haas, vescovo molto pio che ho avuto la grazia di conoscere. (6)
       - Cos’è la Fraternità di San Pietro?
       - Sono quei cattolici che erano seguaci del vescovo Lefebvre e con un accordo con Giovanni Paolo II hanno accettato l’autorità del papa, mantenendo, però, il rito tridentino. (7)
       - E lei ne fa parte.
       - Io sono sacerdote diocesano e la mia diocesi è Anapolis. Il mio vescovo è Dom João Wilk. E qui a Verona monsignor Carraro.
       - Dicono che lei però non abbia il «Celebret», ossia il permesso di celebrare e svolgere ministero.
       - Io ce l’ho il “Celebret”. Sarebbe impensabile che potessi dire la messa ogni domenica e nei giorni di precetto, e adesso, da un mese, ogni giorno anche in un monastero di suore, e ascoltassi anche le confessioni, se non l’avessi. Ho il permesso sia del mio vescovo in Brasile sia di Carraro, con cui ho parlato tre-quattro volte.
       - Ma come è arrivato a Verona?
       -
Sono arrivato provvidenzialmente. Avevo sempre avuto il desiderio di venire a lavorare come sacerdote in Italia, per quello che rappresenta per la cristianità. Avevo guardato nei siti Internet e visto che c’era questa chiesa dove si celebrava pubblicamente con il permesso del vescovo la messa in latino e, dato che qui avevo una parente che già me ne aveva parlato, mi sono messo in contatto con UnaVoce, l’associazione per la salvaguardia della liturgia latino-gregoriana. Loro mi hanno pagato il trasferimento e adesso dal giugno 2005 sono qua.
       - E di che cosa vive?
       - Della carità dei fedeli di Verona, che da più di un anno, con tanti sacrifici, mi aiutano sia per l’affitto sia per avere una vita dignitosa. E un sacerdote di Pordenone, morto poco tempo fa, mi ha lasciato in eredità la sua automobile.
       - L’aiuteranno anche per i vestiti...
       - Certo. Per gli abiti talari e i cappelli, come il tricorno che porto oggi. E ho anche un saturno a tesa larga che metterò quando farà più freddo.
       - Cosa pensa di Benedetto XVI?
       - Guardo con molta speranza all’apertura alla celebrazione della messa in latino. Spero che il papa firmi presto il decreto di liberalizzazione di questo rito venerabile e millenario.
       - Da cosa nasce il suo tradizionalismo?
       - Senza tradizione non è possibile alcun progresso
       - Nella sua omelia non usa certo parole di pace, anzi parla di crociate...
       - Dicevano i latini: “Si vis pacem para bellum”. Ci sono troppi nemici e avversari delle verità cattoliche e del loro ordine. Non c’è giustizia senza la forza. E oggi è un tempo in cui c’è bisogno di crociati.

(1) Siamo quindi ben lontani dalle frettolose messe moderne...

(2) Facciamo notare che quel rito è impropriamente detto tridentino, infatti esso risale agli Apostoli, sicché se gli si volesse dare una coloritura dispreggiativa, di "superato", ci si sbaglierebbe di grosso!

(3) Se si considera che nel tabernacolo c'è Nostro Signore Gesù Cristo in corpo, sangue, anima e divinità, la frase sarebbe più corretta  se dicesse che in quel "vecchio" rito il Sacerdote sta rivolto a Dio, ovvero non dà le spalle a Dio, ma al popolo.

(4) Perché tanta meraviglia? È tanto strano assistere ad una Messa (maiuscolo) vera?

(5) A loro noi abbiamo fornito varie copie del nostro Catechismo

(6) Come si vede, di "don Camillo" ce n'è in giro... Grazie a Dio!

(7) Non crediamo che don Vilmar si sia espresso esattamente in questi termini, vescovo Lefebvre... hanno accettato l'autorità... Ma non vogliamo essere troppo polemici. Aggiungiamo soltanto che un Cattolico, e un Sacerdote in particolare, Messa e Papa li scrive in maiuscolo.

 

L’Arena - lunedì 30 ottobre 2006 - cronaca pag. 8

L’omelia durante la messa in latino
con il rito tradizionale

 «Ci vorrebbe un imperatore
che chiami i cristiani alla crociata» 

       Assistere a una messa in latino è come un tuffo nell’infanzia. I turiboli che spargono incenso, i rituali salmodiati, le donne con il velo sulla testa. Ed è curioso come questi elementi rituali siano straordinariamente vicini ad alcuni altri della religione islamica (8), dalle nenie dei muezzin ai chador delle donne. Un paragone che per i tradizionalisti, lo sappiamo, è come un bestemmia. (9)
       Il celebrante, Vilmar Pavesi, come è del vecchio rito, nel cuore della messa ha un rapporto diretto con Dio cui i fedeli possono solo assistere, senza udirne le parole in latino. Si volta solo per le letture, dispensare la comunione, spostandosi da un lato all’altro della ringhiera (10) dove sono inginocchiati i fedeli, e per l’omelia.
       Una predica molto diversa da quelle cui siamo abituati dopo il Concilio. Pavesi parte invitando i fedeli a immaginare che un discendente del beato Carlo d’Asburgo riceva in visione da Dio il mandato di restaurare l’antico Sacro Impero. Il sogno continua con il predestinato che va a Roma da papa Benedetto XVI, lo convince della sua santità e della necessità della sua missione e ne viene «consacrato imperatore di tutto il mondo, di tutti i paesi, di tutte le nazioni affinché possa iniziare la restaurazione del cristianesimo». Dopo di che il nuovo imperatore si reca a Montecassino, «la culla dell’Europa cattolica», e comincia a «chiamare tutti i nobili d’Europa per fare un mese di esercizi spirituali», al termine del quale saranno «disponibili al martirio». Essi chiameranno i fedeli «a combattere per la riconquista dell’Europa cattolica che purtroppo è in mano al relativismo e all’islamismo».
       «Pensate», continua Pavesi, «che prima la città santa di Roma venga restituita al santo padre, poi rinasca lo Stato Pontificio e a catena risorgano il Regno delle Due Sicilie, la Serenissima Repubblica di San Marco...». E poi la crociata deve continuare perché anche la Cina e l’Africa devono diventare cattoliche e si deve «restaurare la cristianità, tradita in Europa da ecclesiastici come Lutero dall’iniqua rivoluzione francese e dai sui falsi princìpi, e dall’empia dottrina del comunismo». Da Santa Toscana, «chiesa dei crociati», continua, deve partire la conquista a Nostro Signore Gesù Cristo di tutti i regni e tutte le persone, perché l’istinto dei cattolici è lo spirito dei crociati». I credenti devono essere «militanti, militanti, militanti, militanti!» anche a Verona. E anche il bimbo che nel giorno di Cristo Re ha fatto la sua prima comunione è «un nuovo crociato, capace da solo di sconfiggere tutti i nemici di Nostro Signore Gesù Cristo». Amen (11). (g.b.)

 

 

 


(8) Il caro sig g.b. non poteva fare accostamento peggiore e più sbagliato: mi ha dato l'impressione di certi mabuba che portavano la lettera del missionario su una forcella, credendo che dentro vi fosse il cervello del padre. Evidentemente il mabuba nostrano non sa assolutamente niente di religione cattolica ed è male informato su quella islamica, d'altra parte ignora del tutto la musica sacra, anzi la musica e basta, sembra infatti che non distingua la differenza tra un cinguettio e un raglio d'asino.

(9) Noi tradizionalisti sappiamo che la bestemmia è un'altra cosa: il suo paragone è soltanto un raglio d'asino! Se poi sapeva che quel paragone era una bestemmia, e ciò nonostante l'ha fatto, significa che voleva offendere...

(10) Balaustra, non ringhiera: un po' di proprietà lessicale non guasterebbe.

(11) Gli ultimi tre periodi e quell'amen fuori virgolette hanno il sapore dello sfottò: lo sfottò di chi non ha capito nulla e ride scioccamente di quel che ha udito: il riso dell'ebete!

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